Jeff Cotton fu chitarrista per Captain Beefheart (Antennae Jimmy Semens il suo nom de plume sotto il tirannico pazzoide); Fankhauser, girovago psichedelico negli anni mirabili, si unì a lui già nel 1964, quando formarono gli Exiles; i due ebbero modo di riunirsi ancora nei primi anni Settanta: il risultato furono i Mu (dal nome del leggendario continente sommerso), gruppo di nessun successo, ma di ottima considerazione postuma.
Le nove tracce di Mu constano di una morbida psichedelia (piuttosto ordinaria se raffrontata ai tempi), animata però, e in modo inconfondibile, dalla chitarra di Cotton (co-autore di quasi tutti i brani) - un Cotton, reduce dalla marchiatura a fuoco avuta nelle micidiali session del Capitano, che si esibisce anche al sassofono.
Un disco minore, ma da ascoltare per catturare i bagliori finali della prima ondata psych americana, e gli ultimi accordi di un grande chitarrista (Cotton si ritirò nel 1975).
Thirsty Moon (Germania) - You'll never come back (1973). Già recensito qui.
This Heat (Gran Bretagna) - This Heat (1979). Webbaticy: "Ciò che lo rende comunque all'altezza del secondo [Deceit] è la formidabile ecletticità della proposta: il noise-rock dissonante di Horizontal hold, la cantilena pastorale dell'orrido di Not waving, la desolazione spoglia di Twilight forniture, l'ottusa danza industriale di 24 track loop. Tutto il resto è sperimentazione brada e senza possibilità di controllo. Essenziale". Un capolavoro essenziale. Charles Bullen, voce, chitarra, clarinetto, viola; Gareth Williams, voce, chitarra, tastiere, basso: Charles Hayward, voce, tastiere, percussioni.
Jacques Thollot (Francia) - Quand le son devient aigu, jeter la girafe à la mer (1971).
Thrice Mice (Germania) - Thrice Mice (1971). Karl-Heinz Blumenberg, voce; Werner von Gosen, chitarra; Wolfram Minnemann, tastiere; Wolfgang Buhre, sassofono; Rainer von Gosen, basso; Arno Bredehöft, batteria.
Throbbing Gristle (Gran Bretagna) - The second annual report (1977). Webbaticy again: "... questo debutto terrificante finì per diventare l'atto primo della musica industriale ... Da qui è partito più o meno tutto il filone (e anche la dark-ambient, con i 20 minuti catacombali di After cease to exist) di menti deviate, di rifiuto totale della standardizzazione musicale, di sperimentazioni ardite ... la vocalità angosciante e manipolata di Orridge, le spirali corrosivo-convulsive della Fanny-Tutti e i lavori terroristico-elettronici di Carter e Christopherson, qui colti quasi esclusivamente in sede live, furono veramente protagonisti di una rottura indicibile, un passaggio di frontiera irreversibile". Capolavoro definitivo. Genesis P-Orridge, voce, chitarra, violino, clarinetto; Chris Carter, tastiere, programmazioni; Cosey Fanni Tutti, voce, chitarra; Peter Christopherson, tromba, programmazioni.
Paolo Tofani (Italia) - Indicazioni (1977).
Tokyo Kid Brothers (Giappone) - Golden bat (1971).
Nice - Ars longa vita brevis (1968). Lo
ammetto: Keith Emerson mi ha sempre dato fastidio. I primi pezzi di questo
celeberrimo album (tale, almeno, quando Internet non era fra noi: “Ma hai
sentito i Nice?”; “No, dico: ce l’hai il vinile dei Nice?”; “Ah, la tastiera
dei Nice!”, e così via) scorrono via piacevolmente, con accensioni beatlesiane
e muretti sonori per cui i fratelli Gallagher darebbe un braccio; poi Emerson
comincia a fare il gradasso … non è colpa sua … è che nelle sue mani la grande
tradizione classica viene ammorbata dal genio inglese per marcette e pompe: il
kitsch à la Rondò Veneziano è in
agguato e, a volte, colpisce. Per capire la differenza si dia un orecchio (o
anche due: è meglio) ai cecoslovacchi Collegium Musicum, loro contemporanei. Nonostante
tali pecche (che, forse, sono una mia testarda idiosincrasia) nel tutto si rinvengono
dei passaggi notevoli, soprattutto quando le tracimazioni dell’organo vengono
contenute dai compagni. Viva i Nice! Keith Emerson, tastiere; Lee Jackson, basso; Brian Davison,
batteria, percussioni.
Dr. Z - Three parts to my soul (Spiritus, Manes et Umbra) (1971). Il vinile originale, ridotto – pare - a circa 80 copie, è
divenuto un feticcio dei collezionisti. Come spesso accade, in particolar modo
fra gli appassionati del progressive, la rarità diviene un viatico per l'ipervalutazione
critica del prodotto stesso. E tuttavia questo oscuro reperto dei primi
Settanta non demerita tale fama: nonostante la mancanza di pezzi davvero trascinanti
e caratteristici, l’insieme risalta per l’ispirazione plumbea e un pervasivo tono
dark, da rinvenire soprattutto nelle tracce più estese (Spiritus, Manes et Umbra, 11’53’’; In a token of despair, 10’12’’). I testi, improntati a un vago
esoterismo, aiutano. L’assolo di batteria in Spiritus mi ricorda, a naso, quello iniziale di Lust for life: piccola curiosità. Keith
Keyes, voce, tastiere; Rob Watson, basso; Bob Watkins, batteria, percussioni.
Nucleus - We'll talk it
about later (1971). Un capolavoro del
jazz-rock britannico: fluido, potente, inventivo, specie nella prima parte; e ancora non diluito dal funky
più orecchiabile e meno problematico. Da ascoltare subito. Chris Spedding,
chitarra; Karl Jenkins, tastiere, sassofono, oboe; Brian Smith, flauto,
sassofono; Ian Carr, tromba, flicorno; Jeff Clyne, basso; John Marshall,
batteria, percussioni.
Da non confondere con la quasi omonima band americana (Spyro Gira).
St. Radigunds è un bel prodotto del Rinascimento folk britannico, impreziosito dal violino di Cusack e dalla voce della Gaskin, in evidenza, purtroppo, solo nella seconda parte.
Cockerham dylaneggia, ma provvede notevoli tracce, a cominciare dall'iniziale The future won't be long.
Per il pieno apprezzamento necessita di almeno un paio d'ascolti.
Chi non ama il folk si astenga, però.
Barbara Gaskin, voce; Martin Cockerham, voce, chitarra; Tony Cox, tastiere; Julian Cusack, tastiere, violino; Steve Borrill, basso.
Questi film li ho visti troppi anni fa, in un'epoca in cui l'Italia contava ancora qualcosa; era, l'Italia, una nazione in cui ci si poteva permettere di liquidare Dario Argento (il primo Dario Argento) in nome dell'engagement: si era infatti nell'opulenza, ancora viventi Rossellini, Fellini, Visconti, Antonioni, Pasolini nonché, fra gli altri, due dei registi italiani fra i più sottovalutati di sempre: Damiano Damiani e Pietro Germi (se ne avete voglia andatevi a rivedere Il rossetto, pellicola di Damiani interpretata da Pietro Germi; poi mi dite; oppure L'istruttoria è chiusa, dimentichi, un capolavoro di feroce denuncia civile, o Un maledetto imbroglio).
Rivedere oggi le prime fatiche di Argento, con l'occhio smaliziato e disilluso dell'oggi, è un'esperienza che dona godimenti inaspettati. Ad esempio, una delle prime scene de L'uccello dalle piume di cristallo: il protagonista, Toni Musante, osserva, attraverso una doppia vetrata, in una ampia sala con scalinata che ospita delle inquietanti creazioni scultorie, una sanguinosa collutazione, tra una figura nerovestita e una donna; si incuriosisce; si avvicina; la figura in nero, intanto, fugge, lasciando la donna ferita all'addome; tale breve lotta è muta: i vetri impediscono qualsiasi suono; Musante supera cautamente la prima vetrata, ma non la seconda, serrata ermeticamente; l'assassino chiude la prima vetrata; il protagonista rimane perciò, intrappolato, come un insetto nell'ambra, fra le due porte, e costretto, quindi, a guardare, impotente, la donna ferita e gemente che si trascina a fatica, dissanguandosi.
La carica sadica e voyeuristica è intatta, pur a distanza di quasi mezzo secolo: Hitchcock avrebbe approvato (forse l'ha fatto); e approviamo anche noi: nonostante il diluvio di violenza e pornografia degli ultimi decenni (sempre più triviali), l'incanto di questi tre minuti sorprende ancora adesso; esito inevitabile quando si scandagliano regioni potenti e simboliche dell'animo umano.
Breve notazione: quanto dobbiamo a Dario Argento e quanto al decennio in cui operò Dario Argento?
In altre parole: Dario Argento, al netto della perizia tecnica, incontestabile, quanto deve agli anni Settanta? A quel torbido e ribollente brodo di cultura dove erano miscelate istanze libertarie, paure antidemocratiche, cambiamenti epocali del costume, presagi di stragi future?
Perché Dario Argento, nonostante quella perizia, è lentamente svaporato negli anni Ottanta? Come il kraut, il progressive, il punk? C'è bisogno di scomodare Eliot e il suo Tradition and individual talent?
Forse. Una cosa è sicura: i nostri tempi (questi che stiamo vivendo) sono unidimensionali. Molti film che cinquant'anni fa apparivano modeste increspature di genere oggi assumono un rilievo d'eccezione (cult); al contrario, molti film che oggi sono spacciati come capolavori in realtà non lo sono. A tali capolavori, spesso gonfiati dalle buccine della propaganda mainstream, manca proprio la profondità simbolica, la forza critica, e quel retaggio di contrasti e contraddizioni che rendeva notevoli i film degli Argento e dei Damiani. Sarà un caso, insomma, che alcune superstiti riviste cinematografiche si sdilinquano (spesso esagerando) per il cinema di genere italiano (gialli, horror, poliziotteschi)? Non sarà che Tomas Milian, Enrico Maria Salerno e Franco Citti, alla fine della fiera, vantino una filmografia, dal punto di vista del cinema d'arte, superiore a quella di George Clooney, Brad Pitt e Scarlett Johansson?
Sono domande, mica sacrilegi.
Interessantissime le colonne sonore di Ennio Morricone, distanti dal sound delle pellicole di Leone e sbilanciate verso le dissociazioni sonore del contemporaneo Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza, di cui Morricone fu membro fondatore (vedi Post rock vol. 6; Post rock vol. 7; Post rock vol. 9).
Fairfield Parlour - From home to home (1970). Morbido e malinconico, il disco si astiene dagli umori progressive per puntare verso i territori rassicuranti del pop melodico. Non manca qualche buon episodio (Emily, Aries) e qualche felice estroversione (Sunny side circus, In my box): anonimo, ma indubbiamente piacevole. Peter
Daltrey, voce, tastiere, percussioni; Eddy Pumer, voce, tastiere, chitarra; Steve
Clark, flauto, basso; Dan Bridgman, batteria, percussioni.
Gracious - This is … Gracious!! (1971). I 24 minuti di Supernova partono alla grande: echi di Pink Floyd e un'ottima tensione, poi il quadro si sfilaccia: nonostante la godibilità di alcuni passaggi si avverte troppo la varietà dell'ispirazione (folk, pop) che finisce per diluire lo stile sino all'anonimato. Abbastanza trascurabili i quattro pezzi della seconda facciata. Paul
"Sandy" Davis, voce, chitarra, percussioni; Alan Cowderoy, voce,
chitarra, percussioni; Martin Kitcat, voce, tastiere; Tim Wheatley, voce,
basso, percussioni; Robert Lipson, batteria.
Fruupp - Future legends (1973). Gruppo irlandese interprete di un notevole progressive d'impronta romantica; alcuni brani sono davvero rimarchevoli per la costruzione (ricca di cambi di ritmo) e l'interpretazione strumentale: Decision è un piccolo capolavoro, buoni anche Graveyard epistle e Old tyme future. Valgono un ascolto. Vincent McCusker,
voce, chitarra; Stephen Houston, voce, tastiere, oboe; Peter Farrelly, voce,
basso; Martin Foye, batteria,
percussioni.
Abbiamo già incontrato Achim Reichel con il suo capolavoro del 1972, Echo (NWW219, ma vedi pure la recensione di Webbaticy); qui è raccolta una sua tripletta dei primi anni Settanta: c'è poco da fare, anche qui si rinvengono dei capolavori.
Si devono ascoltare queste tracce perché noi
tutti amiamo la musica; c'è però un dovere ulteriore, che è quello ristabilire
alcune gerarchie: e qui dobbiamo subito affermare che Reichel è un esponente di
primo piano della psichedelia europea e, perché no, mondiale; e che è un
virtuoso del proprio strumento, la chitarra.
È sempre difficile, se non rischioso, rintracciare influenze postume o precursori, ma è indubbio che il tedesco anticipa di qualche anno, come tecnica, certe cose del più famoso e famigerato Robert Fripp; e che certi passaggi più rilassati hanno il livello della psichedelia del Crosby ultra celebrato di If I could only et cetera.
Ma non voglio farla troppo lunga ... ascoltare rivalutare risistemare aggiungere togliere riclassificare ... siamo qui per questo.
235. Seesselberg - Synthetik 1 (1973). L'unico disco licenziato dai fratelli Seesselberg, nove tracce di effetti spaziali elettronici di oscillatori e sintetizzatori; potremmo dire: un'opera nata sulla scorta di Tangerine Dream, Klaus Schulze e Conrad Schnitzler et cetera, se non fosse che questi ultimi, pur maggiori, sono a sua volta discendenti e debitori di un'unica grande koiné musicale, sorta a Colonia negli anni Cinquanta. Per questo i dischi di Seesselberg (e dei colleghi citati) sono ancora godibili: non risentono di ingenuità pionieristiche, sono già adulti poiché s'avvalgono di ricerche già solide e formate; il loro merito comune fu di volgarizzare presso un pubblico giovane e non accademico tali sperimentazioni (al netto della genialità creatrice individuale: di Schulze e Tangerine, ad esempio). Eckhart Seesselberg, Wolf-J. Seesselberg, elettronica.
236. Semool (Francia) - Essais (1971). 11 saggi, certo, ma partoriti da uno schizofrenico. Ipnotici e sospesi accenni per chitarra che molestano la memoria di Interstellar overdrive (1), deformazioni vocali, strumming scombiccherati, inquietanti echi spaziali (7), schegge di avanguardia per pianoforte (5-6), estratti rock (10), noise redenti da rielaborazioni di Black sabbath (3) ... chi offre di più? I più sbarazzini di noi non potranno sottrarsi all'ascolto. Da sentire. Philippe Martineau, chitarra, percussioni; Olivier Cauquil, chitarra, tastiere; Rémy Dédé Dréano, percussioni.
237. Sonny Sharrock (Stati Uniti) - Monkey-pockie-boo (1970). Puro noise per batteria e chitarra, straziato dai vocalizzi da tribade di Linda Sharrock, moglie del Nostro; la no wave di New York, ma con qualche anno d'anticipo. Per orecchie robuste. Linda Sharrock, voce; Warren 'Sonny' Sharrock, voce, chitarra; Beb Guérin, basso; Jacques Thollot, batteria.
238. Silberbart (Germania) - 4 times sound razing (1971). Power trio roccioso e ben amalgamato per un hard rock tipico dei Settanta; l'architettura di tre delle quattro tracce però, oltre i dieci minuti, stravolge qualsiasi cliché: saliscendi sonori, distorsioni, ritmica di granito, sublimano la consueta materia di genere in una psichedelia dagli accenti corruschi e fascinosi. Bravo (e misconosciuto) Teschner. Hajo Teschner, voce, chitarra; Werner Klug, basso; Peter Behrens, batteria, percussioni.
239. Siloah (Germania) - Siloah (1970). Folk, psichedelia, influssi orientali, reiterazioni ipnotiche cullate da dolci percussività ... nulla di nuovo, nulla di eclatante, eppure tale impasto è inconsciamente rielaborato, come sempre alle latitudini germaniche, con accenti arcani quasi impercettibili all'orecchio, pur allenato; e assolutamente inudibili per quello grossolano. La declinazione gotica dell'orientalismo hippie (già dei maestri Amon Duul I) che, in tale opera, tocca uno dei vertici del periodo con il trionfo di Aluminum wind (18'26''). Inevitabili. Heinrich Stricker, voce; Thom Argauer, voce, chitarra; Wolfgang Görner, basso; Manuela Freifrau Von Perfall, percussioni.
240. Smegma - Glamour girl 1941 (1979). Gruppo genericamente impermeabile alle mode e alla fama, gli Smegma (ancora attivi) s'inscrivono nel magico circolo sperimentale LAFMS (Los Angeles Free Music Society); vi abbiamo felicemente sbattuto le orecchie tre volte (Airway, NWW3 e Doo-dooettes & Le Forte Four, NWW83 e NWW151). Nel caso degli Smegma, il nome e una traccia, la quinta, concettualmente paradigmatica (I am not artist) la dicono già tutta sul contenuto. S'inizia con un jazz dai toni languidi e obliqui, ma le crepe della ragionevolezza permettono presto la colatura dell'insania: vociferazioni, loop, rumoristica assortita e, a chiudere, un inaspettato solo guitar; debitamente sporcato, ovvio: i Nostri non vogliono applausi. Bravi! Kantor (Istvan Kantor), Hair Cess Poole (Harry Cess Poole), voce; Mr. Ritz (Allen Lloyd), voce, tastiere; Frank (Frank Chavez), sassofono; Dr. Id (Mike Lastra), effetti; D.K. (Brad Ostetler), voce, basso; Reet (Eric Stewart), voce, chitarra; basso, effetti; Danton (Danton Dodge), voce, batteria; Erph-Puss (Amy DeWolfe), batteria.
Lo ammetto: mi son lasciato traviare dalle date (1971-1975-1979), che intersecano con amabile simmetria la decade fatale.
Tre dischi diversi fra loro, e rappresentativi, ciascuno, di categorie canoniche del rock dei Settanta: l'hard rock roccioso e viscerale di Human Instinct (non manca il bluesaccio e la ineludibile ballata acustica); il brillante eclettismo di Split Enz, sospeso tra pop, progressive e folk; le ruvide e irresistibili punk songs della raccolta AK 79, notevole silloge di genere della scena di Auckland.
Human Instinct - Stoned guitar (1971). Billy Te Kahika, voce, chitarra; Larry Waide, voce, basso, chitarra; Maurice Greer, voce, batteria, percussioni; Derek Neville, sassofono.
Split Enz - Mental notes (1975). Philip Judd, voce, chitarra; Wally Wilkinson, chitarra; Timothy Finn, voce, tastiere; Eddie Rayner, tastiere; Jonathan Michael Chunn, tastiere, basso; Emlyn Crowther, batteria; Noel Crombie, percussioni.
Khan - Space shanty
(1972). Uriel, Egg, Gong, Arzachel; e Arthur
Brown, Atomic Rooster, ELP … i quattro membri dei Khan intersecano la scena progressive
inglese ad alti livelli, ma questo loro unico album è un esempio del Canterbury
sound minore. Ottimamente suonato, e impeccabile nel recitare i luoghi comuni
del genere, per i patiti può rappresentare un classico inamovibile. Al netto dei
timbri dei primi Settanta (ah, quelle tastiere! Ah, Hillage!), però, si deve
ammettere che all’opera manca qualsiasi impennata o scarto davvero memorabili. Bella Hollow stone. Steve Hillage, voce,
chitarra; Dave Stewart, tastiere; Nick Greenwood, voce, basso; Eric Peachey,
batteria.
Kingdom Come - Galactic zoo dossier (1971). Formati
da Arthur Brown dopo il collasso di The Crazy World of Arthur Brown, i Kingdom
Come depongono le isterie psichedeliche per abbracciare uno stile positivamente
variegato, dall’energico hard prog di Space
plucks alla ballata cool strappapelle (la notevole Brains),
da andature accidentate (Simple man, Creation) sino alla frantumazione
beefheartiana (Trouble) e al prog (No time). L’insieme si mantiene su
livelli superiori alla media del periodo: da sentire, quindi. Arthur Wilton Brown,
voce; Andrew Kenneth Dalby, voce, chitarra; Michael William Grenille Harris,
tastiere; Desmond John Fisher, basso; Martin Philip John Steer, batteria; Julian
Paul Brown, voce.
Jade Warrior - Floating world (1974). I
geniacci del terzetto, gruppo la cui produzione merita un ulteriore approfondimento.
Rimasti in coppia, i multistrumentisti Duhig e Field organizzano dieci eleganti
strumentali in spaesante bilico fra soffusi e decisi influssi orientali (il titolo
equivale al nipponico Ukiyo, termine che descrive la vita e la cultura nei
quartieri a larga diffusione di teatri, sale da tè e bordelli) e indurimenti
rock occidentali (Red lotus, Monkey chart). Nonostante il disco sia
sorto sulle orme del best seller Tubular bells, esso può rivendicare una
propria elegante originalità. Da valutare con cura. Tony Duhig, voce, chitarra,
tastiere, basso, vibrafono; Jon Field, chitarra; tastiere; violoncello, flauto,
arpa, percussioni.
228. Ray Russell (Gran Bretagna) - Secret asylum (1973). Chi ben comincia è
a metà dell’opera: i primi sette minuti consistono in un furibondo duetto noise
fra chitarra e batteria; il tutto pare acquietarsi in un andamento jazz quasi
classico, ma le Erinni della free form sono dietro l’angolo; e si ricomincia:
spetezzi di sassofono, drumming inesauribile, brandelli di chitarra elettrica.
La seconda parte è sulla falsariga della prima. Noise jazz di vaglia. Ray
Russell, chitarra, tastiere; Gary Windo, fauto, sassofono; Harry Beckett,
tromba, corno; Daryl Runswick, basso; Alan Rushton, batteria.
229. Terje Rypdal (Norvegia) - Odissey (1973). Storico doppio album,
qui presentato nella versione in vinile (dove sono presenti i quasi
ventiquattro minuti di Rolling stone).
Otto strumentali impossibili da classificare: si ritrovano atmosfere da
tramonto artico (Midnite, Adagio, Fare well), lente e sospese, oppure più calde progressioni (Over Birkerrot, la stessa Rolling stone), o pezzi semplici e
struggenti (Ballade). Un classico da
ascoltare subito. Terje Rypdal, chitarra, tastiere, sassofono; Brynjulf Blix,
tastiere; Torbjørn Sunde, trombone; Sveinung Hovensjø, basso; Svein
Christiansen, batteria.
230. Martin Saint-Pierre (Argentina) - Solo création (1977). Francese
d’adozione, ma argentino di nascita (fu esule a causa della dittatura),
Saint-Pierre è un percussionista e, per quanto il sottoscritto, inetto alla
tecnica, possa giudicare – un percussionista d’alto livello. Il disco si
compone di tre brani; tre assoli. A questo punto si è di fronte al dilemma già
sorto, presso alcuni di voi, con il post Drumming is our life: possiamo andare
oltre l’apprezzamento della tecnica o dobbiamo limitarci alla degustazione
della pura bravura, pena l’inascoltabilità? Mettiamola così: nei quindici
minuti di Document, Saint-Pierre sembra
davvero trascendere la bruta essenza del proprio strumento riuscendo a produrre
materiale inaudito; per questo, e per la sua storia, merita il nostro
interesse.
231. Zamla Mammaz Manna (Svezia) - För Äldre Nybegynnare (1977). E va bene,
lo ammetto, al primo ascolto (del loro primo album) li avevo ridimensionati. Invece
i Samla, qui provvisti di ‘z’ (ad esacerbare la ragione sociale), sono una
colonna dell’alternative svedese. För
Äldre Nybegynnare è un capolavoro in cui si ritrovano tutte le asperità del
Rock in Opposition: disarmonie, concretismi, sbeffeggiamenti, incedere
vaudeville; un progressive sghembo e disarticolato alle soglie della genialità.
Da ascoltare subito. Eino Haapala, voce, chitarra; Lars Hollmer, voce,
tastiere; Lars Krantz, tromba; Lars Krantz, basso; Hasse Bruniusson, voce,
batteria, percussioni.
232. Günter Schickert (Germania) - Samtovogel (1974). Pioniere della echo-guitar, Schickert licenzia
un classico della psichedelia germanica dei Settanta (il termine fa riferimento
a quella scena peculiare); tre brani per sola chitarra (5’58’’, 16’30’’, 21’13’’):
echi, riverberi, vocalizzi dilatati, sovrapposizioni di strumming spaziali; un
andamento sospeso di cui faranno tesoro i gruppi della rinascita psichedelica
degli anni Ottanta. Da ascoltare subito.
233. Second Hand
(Gran Bretagna) - Death may be your Santa
Claus (1971). Già recensiti qui.
234. Secret Oyster
(Danimarca) - Secret Oyster (1973). Formati sulle ceneri di tre
gruppi preesistenti (Burnin’ Red Ivanhoe, Hurdy Gurdy, Coronarias Dans), gli
Oyster propongono un progressive strumentale di notevole fattura declinato
secondo le attitudini pregresse dei vari interpreti: si passa, quindi, da
soluzioni Canterbury a fluidità jazz-rock sino a inflessioni blues o
propriamente rock (non manca, in Vive la
quelle un bell’assolo di batteria); la varietà (e la preparazione tecnica
individuale) non prevaricano, tuttavia, la piacevole compattezza dell’opera. Claus
Bøhling, chitarra; Karsten Vogel, tastiere, sassofono; Kenneth Knudsen,
tastiere; Mads Vinding, basso; Bo Thrige Andersen, batteria.
3. Rallizes Dénudés - Heavier than a death in the family (2002,
recordings ?). Li
abbiamo incontrati più volte in classifica (JPR31; JPR20; JPR12); una volta ne
ho parlato fuori del Japrocksampler (’77 live). Se capite di cosa parlo sapete,
quindi, cosa aspettarvi: disastri elettrici e distorsioni per ore: nil novum. Come
da consuetudine ci aspetta sia l’audio spietatamente lo fi (è un bootleg, ovvio)
che la tenace assenza di notizie attorno la registrazione. Per orecchie
pazienti e allenate. Takashi Mizutani, voce, chitarra; Nakamura Takeshi, voce, chitarra; Hiroshi Nar,
basso; Mimaki Toshirou, batteria.
2. Speed Glue & Shinki - Eve (1971). Un power trio per un hard blues tipico dei primi Settanta
(coetaneo, ad esempio, di The man who
sold the world) e devoto a ogni schema, accensione, riff, assolo proprio di quella
stagione (non manca il finale acustico) … Eppure il disco funziona, a distanza
di più di quarant’anni. Cosa lo distingue, quindi, dalle legioni d’altri prodotti del medesimo quinquennio (1967-1972)? I Nostri riescono davvero a svincolarsi
dalla maniera grazie alla loro bravura strumentale oppure siamo noi ad essere
avidi di tale maniera poiché essa, nella prevedibilità, ci riconforta nel caos
e nella varietà dell’offerta attuale? Entrambe le cose, forse (e gli inarrivabili
timbri strumentali dei Settanta spingono il fattore nostalgia). Non merita il
secondo posto, ma va ascoltato. Joey
Smith, voce, batteria; Shinki Chen, chitarra; Masayoshi Kabe, basso.
1. Flower Travellin’ Band - Satori
(1971). Dopo l’infuocato Anywhere (JPR28), album di cover che regalò la copertina del Japrocksamper, e una collaborazione conKuni Kawachi (JPR25), i Flower sfornano un
classico: cinque pezzi fra hard rock, riff e processioni blues; tuttavia, se l’apparenza
sonora è occidentale, l’incedere e l’atmosfera richiamano la tradizione
spirituale giapponese. Ed è tale saldatura (poco percettibile al primo ascolto,
poiché perfetta) a garantire al disco, archiviato spesso come prodotto di
genere, un fascino enigmatico e durevole. Da sentire, presto. Joe Yamanaka,
voce; Hideki Ishima, chitarra; Jhun Kowzuki, basso; Joji Wada, batteria.
Progg con due 'g' ... progressive svedese, prossimo alle istanze libertarie del coevo Rock in Opposition. In realtà il progressive si trova, brillantissimo e fuori stagione, solo nel disco dei Kultivator. Per Pärson Sound e Träd Gräs och Stenar (sono, di fatto, lo stesso gruppo) si può parlare di psichedelia d'avanguardia. I due ensemble, assieme alla loro terza incarnazione International Harvester (da ascoltare qui, NWW23), hanno licenziato, in pochi anni, una delle più importanti discografie europee nell'ambito musicale sopra delineato.
Il disco edito dai Pärson Soundnel 2001 raccoglie persino un esperimento elettronico (del 1966, a opera di Persson), ma si sostanzia soprattutto di lunghe jam strumentali che anticipano, di quasi trent'anni, la nuova psichedelia degli anni Novanta. From Tunis to India in fullmoon (20'29''), Tio minuter (10'30''), India (slight return) (13'06''), Skrubba (28'57''), stranite dal violoncello di Arne Ericsson, sono processioni acidissime, a mezzo fra il minimalismo orientale di Riley e inflessioni dei Velvet di John Cage; le date di pubblicazione dei dischi, tuttavia, congiurano a una loro indubbia originalità. sciolti i Pärson Sound, i Nostri pubblicano, come International Harvester, l'ottimo Sov gott Rose-Marie, quindi si riassestano attorno a una psichedelia con alcune concessioni rock: come Träd, Gräs och Stenar (Alberi, Erba e Pietre), infatti, licenziano alcune cover (All along the watchtower, The last time, Satisfaction), debitamente stravolte; il tono sonoro, tuttavia, non rinuncia a quelle marce elettriche, fluviali e antimelodiche che caratterizzavano gli esordi: Tidigt om morgonen (13'46) e Amithaba-In kommer gösta (31'54'') alcuni dei monoliti presenti nel live Djungelns lag.
Träd, Gräs och Stenar - Djungelns lag (1971). Torbjörn Abelli, voce; basso, armonica; voce, Thomas Merz Gartz, batteria, armonica; Jakob Sjöholm, voce; chitarra; Bo Anders Persson, voce; chitarra, violino; Arne Eriksson, tastiere; Ulla Berglund, percussioni.
Kultivator - Barndomens stigar (1981). Jonas Linge, voce, chitarra; Ingemo Rylander, voce, tastiere; Johan Hedren, tastiere; Stefan Carlsson, basso; Johan Svärd, batteria, pecussioni; Hädan Sväv, cori.
Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza - Niente (2010; recordings 1971). Registrato l'anno successivo a The feed-back, Niente conferma tutti i pregi di quell'operazione. Se la tromba di Morricone imprime uno scapigliato tono d'avanguardia jazz, chitarra e batteria imbrigliano tali impennate con un affascinante motorik d'ascendenza kraut. Ma poi, a pensarci bene: ascendenza? Crediamo davvero che gente come Morricone, Macchi, Evangelisti e D'Amario soggiacessero a influenze esterne? Meglio dire: consonanza. Da ascoltare con cura. Battisti D'Amario, chitarra; Egisto Macchi, tastiere, violino; Franco Evangelisti, Mario Bertoncini, tastiere; Ennio Morricone, tromba; Walter Branchi, basso.
Egisto Macchi - Voix (1975). Una delle opere più coinvolgenti e variegate del maestro grossetano. In Voix ritroviamo gli accenti intensamente drammatici a lui più congeniali (Phonèmes), plaghe contemplative (La calme, bellissima), escursioni à la Ligeti (Voix), cori di sottile inquietudine (Moonsong), brani (al theremin) di vena facile, ma riscattati, per il gioco dei tempi, dalla commozione ingenerata dal vintage. Uno dei tasselli fondamentali per la valutazione di una figura di assoluto rilievo della musica italiana del secondo dopoguerra.
Prima Materia - La coda della tigre (2005; recordings 1977). Rispetto al disco originale, tale versione assomma due live ulteriori: Berlino (19 Ottobre 1974) e Roma (17 Gennaio 1976). La prima materia è la voce, modulata secondo schemi rituali tantrici propri dell'Asia centrale. I vari bordoni vocali si susseguono avviluppandosi l'uno con l'altro, spenti e riattizzati con impercettibili sfumature: il fine è quello di creare una unità emozionale in grado di recare l'ascoltatore fuori degli stati consueti di coscienza. Notevole. Claudio Ricciardi, Gianni Nebbiosi, Roberto Laneri, Susan E. Hendricks, voce.
Luciano Cilio - Dell'universo assente (2004; recordings 1977). L'album raccoglie i brani dell'unico album lasciatoci dallo sfortunato musicista napoletano (suicida a trentatré anni), Dialoghi del presente, e una serie di inediti, più deboli. Nelle composizioni dei Dialoghi le più varie influenze (folk, classica, prog) si fondono sommessamente, con naturale grazia cristallina, filtrate dalla personalità inquieta e autunnale dell'autore. Per la riscoperta di Cilio in ambito internazionale molto ha operato il grande Jim O'Rourke. Da ascoltare. Luciano Cilio, chitarra, mandolino, flauto, basso; Patrizia Lopez, cori; Peppino Romito, oboe, corno inglese; Elio Lupi, violoncello; Girolamo De Simone, tastiere; Roberto Fix, sassofono; Peppo Cerciello, violino; Paolo De Simone, basso; Toni Esposito, percussioni.
6. Love Live Life + One - Love will make you a better one
(1971). Supergruppo
di vita brevissima: concerti e un solo album. Mizutani (già con People [JPR16],
Count Buffaloes [JPR27] e Masahiko Sato [JPR7]), Yanagida (Apryl Fool, EP8, e Sato),
Chito Kawachi (con Flower Travelling Band [JPR25]) organizzano un’energica
miscela fra rock, jazz e soul in cui si distingue l’iniziale The question mark (17’43’’), un classico
indiscutibile del decennio favoloso. Da ascoltare. Akira Fuse, voce; Kimio
Mizutani, chitarra; Takao Naoi, chitarra; Hiro Yanagida, tastiere; Toshiaki
Yokota, flauto, sassofono; Chito Kawachi, batteria; Masaoki Terakawa, basso; Naomi
Kawahara, percussioni. 5. J. A. Caesar - Kokkyō Junreika (1973). Un eccellente riassunto della carriera di
uno dei maggiori protagonisti del rock giapponese. Indicazioni, al solito,
scarne; Kokkyō è la colonna sonora d’uno
spettacolo, un greatest hits o altro? Importa poco, anche se la sensazione è
quella d’un opera compiuta e autonoma. Nei 53 minuti del disco Caesar alterna
rock puro, tastiere sotto acido, inflessioni tradizionali, brevi autocitazioni
(da Jashumon, del 1972), recitativi coinvolgenti,
tirate psichedeliche di rilievo (Minkan iryou jutsu, 11’47’’). Da ascoltare. Eimei
Sasaki, voce; Keiko Niitaka, voce; Masako Ono, voce; Seigo SHowa, voce; Yoko
Ran, voce; J. A. Caesar, chitarra, tastiere; Takeshi Mori, chitarra; Henriku
Morisaki, flauto; Yuzo Kawata, basso; Norihito Inaba, timpani; Kyozo Hayashi,
percussioni; Shuji Sasada, percussioni; Shigeo Ingai, percussioni; Shigeyuki
Suzuki, batteria. 4. Far East Family Band - Parallel world (1976). Un’occhiata alla foto
sopra, per favore. Il Papa del krautock e i suoi nipoti in riva al Pacifico: l’alleanza
perdente della Seconda Guerra Mondiale (assieme all’Italia e alla
collaborazionista Francia) fu l’asse portante dell’avanguardia progressive europea
più colta, e melodicamente meno accattivante. Lo space di Parallel world, sostanziato dalla suite eponima (30’15’’), è una
delle punte della musica nipponica dei Settanta – un’opera priva di esitazioni
e superiore al precedente Nipponjin (JPR14). Schulze produce, e si
sente, ma sull’operazione veglia anche il grande Günter Schickert. Da
ascoltare, ovviamente. Fumio Miyashita, voce, chitarra, flauto, armonica; Hirohito
Fukushima, chitarra, sitar, arpa, percussioni; Masaaki Takahashi, tastiere;
Akira Ito, tastiere; Akira Fukakusa, basso; Shizuo Takasaki, batteria.
Frasi o sentenze che rimangono scolpite nella memoria: "Si è perciò largheggiato in didascalie che consentano l'accesso immediato ai testi ... la rappresentazione caricaturale, ma non poi troppo deformatrice, del dotto che sa tutto della bibliografia su un autore, ma non legge (o perlomeno non rilegge, o non legge compiutamente) l'autore stesso, ovviamente ha la sua prima attuazione nella scuola ed è il modello negativo da proporre subito al rifiuto". Così le prime battute de La letteratura italiana delle origini di Gianfranco Contini; il cui succo è: leggete (ascoltate), rileggete (riascoltate), e fatelo in modo compiuto; poi (poi) cominciate a delineare il quadro storico ...
In realtà il quadro storico, per quanto riguarda l'Indonesia rock, non lo si vede affatto; la lingua ostacola la comprensione, certi dischi non compaiono neanche su discogs.com. Si ricerca (e si disbosca) quasi alla cieca. La qualità della tripletta presentata è, tuttavia, buona. Potete scegliere: o rompere il ghiaccio piluccando la compilazione dell'amico blogger di The day after the sabbath (Tanah Dosa. Indonesia); o limitarvi ai tre sottostanti spezzoni di youtube; oppure immergervi nei tre dischi in questione: agli amanti del progressive, ad esempio, Indonesia maharddhika, primo brano di Guruh Gipsy, potrebbe regalare insperate piacevolezze; Roesli è autore di vaglia; la compilazione Those shocking days vanta (con gli Shark Move) il principale protagonista della scena alternativa, Benny Soebardia. Ricordiamo che il rock indonesiano si concretò, nella decade fatale (1966-1976), sotto la dittatura non di Nixon o Andreotti, ma di Haji Mohammad Suharto (presidente dal 1967 al 1998), responsabile di decine di migliaia di omicidi politici; in altre parole: a strimpellare troppo forte si rischiava la pelle.
Questo è un (miserrimo) inquadramento storico, ma andava fatto, anche prima dell'ascolto.
Guruh Gipsy - Guruh Gipsy (1977). I Gusti Kompiang Raka, gamelan; Odink Nasution, chitarra; Gauri Nasution, chitarra; Trisuci Kamal, tastiere; Ronny Harahap, tastiere; Abadi Soesman, tastiere; Chrisye, basso; Keenan Nasution, batteria; Hutauruk, cori.
Harry Roesli - Gadis plastik (1977). Various - Those shocking days. Indonesian hard, psychedelic, progressive rock and funk: 1970 - 1978 (2011).