256. Tolerance (Giappone) - Anonym (1979). Tastiere minimali,
chitarra blandamente schizofrenica, cauti effetti elettronici, la voce pacata e
straniante della Tange: tanto basta a creare un’atmosfera sospesa e morbosa,
sorta di piano bar per alienati in stato di sedazione. E va bene: ci sono
pazzoidi leggendari e citatissimi (a caso: i Suicide); e poi ci sono i
Tolerance. Da ascoltare subito. Masami Yoshikawa, chitarra; Junko Tange, voce,
tastiere.
257. Tomorrow's Gift (Germania) - Goodbye
future (1973). Brillante inizio con
Jazzy jazz, con toni da fanfara che si
mutano in marcia progressive; Der Geier
Fliegt Vorbei, innervato dalla linea di basso, è un capolavoro; Allerheiligen si lancia verso i
territori Canterbury con tastiere à la Ratledge; Naturgemäss ci dona, invece, una psichedelia fluttuante e sommessa,
con rare accensioni. Officia il tutto uno dei massimi pontefici del kraut,
Conny Planck, qui sotto le spoglie di Maestro Conrado Di Planca. Serve altro? Da
ascoltare. Maestro Conrado Di Planca, flauti, percussioni; Manne Rurup,
tastiere; Bernd Kiefer, basso; Zabba Lindner, batteria.
258. Ton Steine Scherben (Germania) - Wenn die Nacht Am Tiefsten ist (1975). Terzo disco della lista per Ton Scheine Scherben (son già
presenti con Mannstoll-NWW47 - e Paranoia - NWW145 - assieme, rispettivamente, a Brühwarm Theater e
Kollektiv Rote Rübe), gruppo affine a Checkpoint Charlie (NWW55) e Floh de Cologne (NWW88) e,
perciò, devoto a quel cabaret satirico di sinistra, spietato e aspro sino alla
crudeltà (Rainer W. Fassbinder operava in questi anni). Questo doppio Wenn die Nacht, tuttavia, seppur ben
suonato, oltre a superare quell'esperienza, scolora desolatamente nell’ordinario; si riprende nella seconda parte
(Wir sind im Licht; la jam di Steig ein), ma ben altri son gli eroici
furori. Nikel Pallat, voce; Rio Reiser, voce, chitarra, tastiere; R.P.S.
Lanrue, chitarra, cori; Jörg Schlotterer, flauto; Werner Götz, sassofono,
basso; Funky K. Götzner, batteria; Uli Hammer, percussioni; Angie Olbrich, cori;
Britta Neander, cori; Gabi Borowski, cori.
Transcendprovisation (Stati Uniti) - Trans
(1976). Occhio: al trombone sovraintende Tim Reed, ovvero il Reverendo Fred
Lane, uno dei debosciati sobillatori del NWW226, ‘Ron Pate’s Debonaire. Qui però
c’è poco di patafisico; siamo in piena follia improvvisativa: stridori,
spetezzi, tastiere insensate, chitarre grattugiate. Non per tutti, insomma,
anche se Vlad il disco se lo è ascoltato per intero, senza colpo ferire; e ne
ha tratto piacere. Una conferma di ciò che affermava Padre Scaruffi:
invecchiando l’ascoltatore ‘forte’ si ritira in zone sonore sempre più
inaccessibili, inusitate, metafisiche; desidera, forse, annegare come Ulisse,
oltre le Colonne d’Ercole dell’udibile. Davey Williams, chitarra, sassofono; James
Hearon, chitarra, violino, clarinetto; Theodore Timothy Reed, flauto, tromba,
trombone; Bowen, sassofono, oboe, basso, percussioni; LaDonna Smith, voce,
tastiere, viola, batteria.
Spacebox (Germania) - Spacebox
(1981). Cos’ha in testa il buon Uli Trepte, bassista dal curriculum mostruoso (Guru
Guru, ovviamente, ma anche Faust e Neu!)? Non si capisce gran che: blues bofonchiato?
Free jazz? Avanguardia? O magari no wave (con quella chitarrina slabbrata)? Non
lo so, non voglio saperlo; mi risultano difficili, inoltre, le classificazioni
per genere. Posso garantirvi, però, che, lentamente, il disco entra nel sangue
e si dichiara per quello che è: un atto d’amore disperato e residuale (siamo
negli Ottanta) per lo spirito anarchico della musica. Con cautela, da ascoltare
subito. Julius Golombeck, chitarra; Edgar Hofmann, sassofono, flauto, violino,
armonica, nadaswaram; Uli Trepte, voce, basso; Lotus Schmidt, batteria,
percussioni; Winfried Beck, batteria, percussioni
Twenty Sixty Six and Then (Germania) - Reflections on the future (1972). Hard-progressive di pregevole fattura,
dall’eccitato fascino vintage. Come tutti i prodotti non anglosassoni risente
della mancanza di un pezzo davvero caratterizzante e melodicamente
indimenticabile (e infatti tutti, quarant’anni dopo, s’intignano a ricomprare e
riascoltare Selling England by the pound),
ma questo non è un problema; un piccolo problema è, invece, l’interpretazione
vocale di Harrison, che tende a normalizzare l’insieme, neutralizzando le
spinte più eversive latenti nel versante germanico del gruppo. Buone le parti
strumentali, ottimo Mrozeck alla chitarra. Vale un ascolto. Geff Harrison,
voce; Gagey Mrozeck, voce, chitarra; Veit Marvos, tastiere; Steve Robinson,
voce, tastiere; Dieter Bauer, basso; Konstantin Bommarius, batteria.
C'è poco da fare: il primo dei Roxy Music è un capolavoro.
Ascoltate If there is something, e la svolta sonora al minuto 1'40'' ... hanno preso il glam e gli hanno torto il collo ... anche David Bowie, nel confronto vacilla un pochino ... e, anzi, certe ispirazioni e impennate post Ziggy Stardust sembrano provenire da qui. L'album è da risentire assolutamente. Magari ve lo ricordate poco; dimenticare è, spesso, un atto generoso della natura poiché consente di riascoltare con animo mutato, a distanza di anni, e di riconsiderare la questione critica con imparzialità insospettabile.
Nel live degli 801 (con Eno e Manzanera) c'è Baby's on fire e va bene così.
Riz
Ortolani - Cannibal holocaust
(1994; recordings 1980). Colonna sonora
dell’opera omonima di Ruggero Deodato, Cannibal
non è, a primo orecchio, ‘avanguardia’: lo diviene se debitamente incatenata
alle scene del film, una raggelante catabasi nell’animo dell’umanità. È solo dopo
la visione, infatti, che l’apparentemente innocua main title (e il capolavoro Adulteress’ punishment, d’eccezionale intensità
lirica e drammatica) vi si appiccicheranno addosso trasformandosi in simboli
sonori dell’orrore. Ruggero Deodato è, pur non artisticamente, oltre Herzog e Conrad:
nega ogni afflato poetico e pietismo da colonizzatore compassionevole vietando,
al contempo, facili e immediate chiavi interpretative. La struttura del film è lineare
quanto geniale: nella prima parte il professor Monroe, assistito da due guide, parte
alla ricerca di quattro reporter perduti nella giungla amazzonica; risalendo, come
si risale un rivo d’acqua maligna alle sue fonti, sino alla verità (gli
esploratori sono stati assassinati dagli indigeni) Monroe si imbatte nei segni
di violenze indicibili: unico oggetto sopravvissuto alla strage e alla
distruzione è la cinepresa d’uno dei reporter, che custodisce, come un vaso di
Pandora, la testimonianza sugli eventi accaduti. La seconda parte è occupata
proprio dalle sequenze girate dai quattro, che svelano, a spettatori sempre più
attoniti (fra i quali siamo noi, spettatori degli spettatori), il folle carico
di violenza innescato dai bianchi into the wild: stupri, incendi, assassini,
umiliazioni. Deodato, tuttavia, racconta pure l’altra metà della messa: i cosiddetti
selvaggi non sono, infatti, portatori d’un (inesistente) stato edenico: anch’essi
(che pure sono stati duramente provocati) partecipano alla violenza (che è
violenza umana, congenita) e sono ripresi, perciò, proprio come i bianchi,
quali attori di evirazioni, impalamenti, eviscerazioni, decapitazioni (anche
nei riguardi di tribù rivali); la differenza colla violenza bianca è puramente antropologica:
il manto cultuale e sociale che la avvolge è diverso sol perché frutto d’una diversa
evoluzione, dettata esclusivamente dalle condizioni spietate della
sopravvivenza (che l’hanno, quindi, formata in tal modo peculiare); certo,
sembra suggerire Deodato, essi ci sono forse superiori poiché ‘amorali’, e
fuori d’ogni ipocrisia, non essendo riusciti a sublimare adeguatamente il male entro
artificiose codificazioni etiche e religiose (quelle che il Conrad di Cuore di tenebra appellava ‘tricks and
beliefs’). Solo da tale punto di vista, quindi, i cannibali paiono distanziarci per bontà e naïveté: alla faccia di Rousseau!
Ovvio che tale film, disturbante al di là dell’oggettiva crudeltà della messa in scena, non sia mai stato trasmesso integralmente in televisione (ormai il medium degli idioti).
A voi rimediare.
Maurizio Bianchi - Symphony for a genocide (1981). Devo
ammettere che la maggior parte dei titoli del leggendario Maurizio Bianchi mi
ha lasciato indifferente (forse anche a causa della qualità delle registrazioni):
una serie di borborigmi indistinguibili. Fra le eccezioni troviamo, però,
alcune perle; Symphony for a genocide
è una di queste: MB ci cala direttamente nelle fucine dell’inferno: loop rumoristici
al limite della sostenibilità auditiva, interferenze, risucchi elettronici, concretismi,
sardonici girotondi sonori. Da saggiare con cautela.
Fabio Fabor & Giancarlo Barigozzi - Synthetronics
(1976). Sedici brevi tracce (notevolissime) che Fabio Fabor (FAbio BORgazzi) licenziò
assieme al sassofonista Barigozzi: impossibile capire di chi sia la paternità
dei singoli brani, ma pare indubbio l’influsso preponderante del primo. Il
disco è riccamente variegato: si va dalla
siderale Flying stars’ ai cupi
accenti di Occult sciences e Devil’s foundry sino alle felice
intersezioni fra l’avanguardia e il sax di Barigozzi (Erosion, Aberrations)
alla free psichedelia di LSD trip. Da
ascoltare, ovviamente.
Colgo l’occasione per segnalare che l’ottimo Fabor (almeno dal 1967 al 1970) tenne una rubrica musicale settimanale su Topolino. Lo ignoravo. Evidentemente quando leggevo Topolino non conoscevo Fabor e quando conobbi Fabor non leggevo più Topolino. La rubrica spazia dal jazz alla musica classica al rock sino al pop italico (e allo Zecchino d’Oro), con tono piano e divulgativo; a pensare che milioni di mocciosi italiani appena alfabetizzati potessero leggere di Caterina Caselli, Sinatra, Cino Tortorella quanto di Mozart, Jefferson Airplane e Louis Armstrong mi viene un groppo in gola. Quanta bella Italia abbiamo buttato via?
Due esempi della rubrichetta li vedete sotto; sono compresi, comunque, nel download.
Ed ecco due puntate de "Il Vostro Corrierino della Musica" (poi "Il Vostro Corrierino Musicale"), la rubrica che Fabio Fabor teneva settimanalmente su Topolino (cliccare per allargare):
Topolino nr. 621, 22 ottobre 1967 (Jefferson Airplane)
Ammettiamolo, è sempre una mezza festa quando, dopo numerosi ascolti fallimentari, ci si imbatte in un disco davvero buono. Senza cedimenti; vario, intelligente. Al di là di ogni feticismo o sopravvalutazione di genere.
La media, di solito, è questa: su venti opere, almeno quindici le ricancello subito. Tre sono passabili, da riascoltare. Le restanti due sono buone, sono una bella scoperta, almeno una si può pubblicare.
La Virgin Forest ha le sue regole.
I Cos appartengono a quel versante del progressive belga prossimo alla squisita avanguardia degli Univers Zero e, soprattutto, degli Aksak Maboul (il grande Marc Hollander militò in entrambi i gruppi), pur deprivata da quella fascinosa anarchia.
Non manca qualche diversione (l'incongruo brano iniziale), ma il disco si mantiene compatto lambendo i territori di Canterbury e di un liquido e obliquo jazz-rock esornato dalla mirabile voce di Pascale Son. Ottimo Schell.
Da ascoltare.
Pascale Son, voce, oboe; Daniel Schell, chitarra, flauto; Marc Hollander, tastiere, clarinetto; Alain Goutier, basso; Guy Lonneux, batteria.
Un capolavoro si aggira per l'Europa: Egon Bondy's Happy Heart Club Banned .. Se non l'avete già ascoltato fatelo al più presto ... dirigendovi verso la pagina del volume 35 della Nurse With Wound list (NWW202).
Già che ci siete andate pure ad ascoltarvi i volumi 8 e 9 della Virgin Forest:
La scena cecoslovacca è una delle più importanti del continente.
Solo ora comincia a essere rivalutata. Se il progressive è abbastanza riconosciuto nel suo valore effettivo (il genere conta tenaci aficionados), il lato underground non ha mai avuto una definizione soddisfacente.
Con questa doppia opera dei Plastic si cerca di rimediare. In seguito daremo conto della produzione di DG 307, Psí Vojáci, Už Jsme Doma, Visací Zámek, Garáž. Fra gli altri.
Non serve dirvi che le cose vanno male, tutti quanti sanno che vanno male. Abbiamo una crisi. Molti non hanno un lavoro, e chi ce l'ha vive con la paura di perderlo. Il potere d'acquisto del dollaro è zero. Le banche stanno fallendo, i negozianti hanno il fucile nascosto sotto il banco, i teppisti scorrazzano per le strade e non c'è nessuno che sappia cosa fare e non se ne vede la fine. Sappiamo che l'aria ormai è irrespirabile e che il nostro cibo è immangiabile. Stiamo seduti a guardare la TV mentre il nostro telecronista locale ci dice che oggi ci sono stati 15 omicidi e 63 reati di violenza come se tutto questo fosse normale, sappiamo che le cose vanno male, più che male. È la follia, è come se tutto dovunque fosse impazzito così che noi non usciamo più. Ce ne stiamo in casa e lentamente il mondo in cui viviamo diventa più piccolo e diciamo soltanto: "Almeno lasciateci tranquilli nei nostri salotti per piacere! Lasciatemi il mio tostapane, la mia TV, la mia vecchia bicicletta e io non dirò niente ma ... ma lasciatemi tranquillo!" Beh, io non vi lascerò tranquilli. Io voglio che voi vi incazziate. Non voglio che protestiate, non voglio che vi ribelliate, non voglio che scriviate al vostro senatore, perché non saprei cosa dirvi di scrivere: io non so cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e i russi e la violenza per le strade. Io so soltanto che prima dovete incazzarvi.Dovete dire: "Sono un essere umano, porca puttana! La mia vita ha un valore!" Quindi io voglio che ora voi vi alziate. Voglio che tutti voi vi alziate dalle vostre sedie. Voglio che vi alziate proprio adesso, che andiate alla finestra e l'apriate e vi affacciate tutti ed urliate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!". Voglio che vi alziate in questo istante. Alzatevi, andate alla finestra, apritela, mettete fuori la testa e urlate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Le cose devono cambiare, ma prima vi dovete incazzare. Dovete dire: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Allora penseremo a cosa fare per combattere la crisi, l'inflazione e la crisi energetica, ma Cristo alzatevi dalle vostre sedie, andate alla finestra, mettete fuori la testa e ditelo, gridatelo: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".
I'm as mad as hell, and I'm not going to take this anymore!
E perché io dico "poveri noi"? Perché voi, il pubblico, ed altri 62 milioni di americani, ascoltate me in questo istante! Perché meno del 3% di voialtri legge libri, capito?Perché meno del 15% di voi legge giornali o riviste! Perché l'unica verità che conoscete è quella che ricevete alla TV! Attualmente, c'è da noi un'intera generazione che non ha mai saputo niente che non fosse trasmesso alla TV. La TV è la loro Bibbia, la suprema rivelazione. La TV può creare o distruggere presidenti, papi, primi ministri. La TV è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza Dio, e poveri noi, se cadesse nelle mani degli uomini sbagliati e quindi poveri noi ... perché questa Società è ora nella mani della CCA, la Communications Corporation of America; c'è un nuovo presidente in carica, chiamato Frank Hackett, al 20° piano ... e quando una fra le più grandi corporazioni del mondo controlla la più efficiente macchina per una propaganda fasulla e vuota, in questo mondo senza Dio, io non so quali altre cazzate verranno spacciate per verità, qui. Quindi ascoltatemi. Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni e giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere. Quindi se volete la verità andate da Dio, andate dal vostro guru, andate dentro voi stessi, amici, perché quello è l'unico posto dove troverete mai la verità vera. Sapete, da noi non potrete ottenere mai la verità: vi diremo tutto quello che volete sentire mentendo senza vergogna, noi vi diremo che, che Nero Wolfe trova sempre l'assassino e che nessuno muore di cancro in casa del dottor Kildare e che per quanto si trovi nei guai il nostro eroe, non temete, guardate l'orologio, alla fine dell'ora l'eroe vince, vi diremo qualsiasi cazzata vogliate sentire. Noi commerciamo illusioni, niente di tutto questo è vero, ma voi tutti ve ne state seduti là, giorno dopo giorno, notte dopo notte, di ogni età, razza, fede ... conoscete soltanto noi!
Già cominciate a credere alle illusioni che fabbrichiamo qui, cominciate a credere che la TV è la realtà e che le vostre vite sono irreali. Voi fate tutto quello che la TV vi dice: vi vestite come in TV, mangiate come in TV, tirate su bambini come in TV, persino pensate come in TV. Questa è pazzia di massa, siete tutti matti! In nome di Dio, siete voialtri la realtà: noi siamo le illusioni! Quindi spegnete i vostri televisori, spegneteli ora, spegneteli immediatamente, spegneteli e lasciateli spenti, spegnete i televisori proprio a metà della frase che vi sto dicendo adesso, spegneteli subito!!!
B52s - Channel Z
Black Flag - TV party
Black Light Burns - Scream Hallelujah
Bloc Party - So he begins to lie
Blondie - Fade away and radiate
Bob Dylan - TV talkin' song
Bruce Springsteen - 57 channels (and nothin' on)
Buggles - On TV
Cheepskates - Cathode prison
Cky - The human drive in hi-fi
Crass - Nineteen eighty bore
Dickies - I'm stuck in a pagoda with Tricia Toyota
Disposable Heroes of Hiphoprisy - Television/The drug of the nation
Don Henley - Dirty laundry
Eagles - Get over it
Frank Zappa - I'm the slime
Gang of Four - 5.45
Gil Scott Heron - Revolution will not be televised
Green Day - Longview
Hüsker Dü - Turn on the news
Incubus - Idiot box
Jack Johnson - Good people
Jefferson Airplane - Plastic fantastic lover
Joe Jackson - TV age
Misfits - TV casualty
National - Apartment story
No Doubt - Trapped in a box
Normal - T.V.O.D.
Peter Gabriel - The Barry Williams Show
Public Enemy - She watch Channel 0
Randy Newman - My country
Red Hot Chili Peppers - Throw away your television
Replacements - Seen your video
Robert Pollard - Television prison
Roger Waters - Amused to death
Robyn Hitchcock - Television
Roger Waters - Amused to death
Roger Waters - Watching TV
Simon & Garfunkel - The bright green pleasure machine
6. Love Live Life + One - Love will make you a better one
(1971). Supergruppo
di vita brevissima: concerti e un solo album. Mizutani (già con People [JPR16],
Count Buffaloes [JPR27] e Masahiko Sato [JPR7]), Yanagida (Apryl Fool, EP8, e Sato),
Chito Kawachi (con Flower Travelling Band [JPR25]) organizzano un’energica
miscela fra rock, jazz e soul in cui si distingue l’iniziale The question mark (17’43’’), un classico
indiscutibile del decennio favoloso. Da ascoltare. Akira Fuse, voce; Kimio
Mizutani, chitarra; Takao Naoi, chitarra; Hiro Yanagida, tastiere; Toshiaki
Yokota, flauto, sassofono; Chito Kawachi, batteria; Masaoki Terakawa, basso; Naomi
Kawahara, percussioni. 5. J. A. Caesar - Kokkyō Junreika (1973). Un eccellente riassunto della carriera di
uno dei maggiori protagonisti del rock giapponese. Indicazioni, al solito,
scarne; Kokkyō è la colonna sonora d’uno
spettacolo, un greatest hits o altro? Importa poco, anche se la sensazione è
quella d’un opera compiuta e autonoma. Nei 53 minuti del disco Caesar alterna
rock puro, tastiere sotto acido, inflessioni tradizionali, brevi autocitazioni
(da Jashumon, del 1972), recitativi coinvolgenti,
tirate psichedeliche di rilievo (Minkan iryou jutsu, 11’47’’). Da ascoltare. Eimei
Sasaki, voce; Keiko Niitaka, voce; Masako Ono, voce; Seigo SHowa, voce; Yoko
Ran, voce; J. A. Caesar, chitarra, tastiere; Takeshi Mori, chitarra; Henriku
Morisaki, flauto; Yuzo Kawata, basso; Norihito Inaba, timpani; Kyozo Hayashi,
percussioni; Shuji Sasada, percussioni; Shigeo Ingai, percussioni; Shigeyuki
Suzuki, batteria. 4. Far East Family Band - Parallel world (1976). Un’occhiata alla foto
sopra, per favore. Il Papa del krautock e i suoi nipoti in riva al Pacifico: l’alleanza
perdente della Seconda Guerra Mondiale (assieme all’Italia e alla
collaborazionista Francia) fu l’asse portante dell’avanguardia progressive europea
più colta, e melodicamente meno accattivante. Lo space di Parallel world, sostanziato dalla suite eponima (30’15’’), è una
delle punte della musica nipponica dei Settanta – un’opera priva di esitazioni
e superiore al precedente Nipponjin (JPR14). Schulze produce, e si
sente, ma sull’operazione veglia anche il grande Günter Schickert. Da
ascoltare, ovviamente. Fumio Miyashita, voce, chitarra, flauto, armonica; Hirohito
Fukushima, chitarra, sitar, arpa, percussioni; Masaaki Takahashi, tastiere;
Akira Ito, tastiere; Akira Fukakusa, basso; Shizuo Takasaki, batteria.
214. Public Image Limited (Gran Bretagna) - Metal box aka Second edition (1979). Già recensito qui.
215. Red Crayola (Stati Uniti) - The parable of arable land (1967). Webbaticy:
“Sono passati 46 anni e il suo ascolto
ancora colpisce; le 6 Free form freak out, frutti di cacofoniche improvvisazioni in libertà con un capannello di
amici, furono quanto di più radicale all'epoca e c'è poco da sorridere sulla
loro naiveté. Ciò che resta impresso nella memoria è ovviamente costituito
dalle canzoni presumibilmente normali, contrassegnate peraltro da un melodismo
e da un dosaggio esponenziale e deviato di psichedelia tipica dell'epoca,
comunque in grado di sballare grazie alle infinite trovate ad effetto, su tutte
Hurricane fighter plane e Pink
stainless tail”.
216. Red Noise (Francia) - Sarcelles-Lochères (1970). Si parte
piano, tra flatulenze di sassofoni, canti da ubriachi, provocazioni concrete;
quindi il disco si assesta a mezzo fra brani jazz e canzoncine scheletriche:
una esitante e variegata propedeutica ai diciotto minuti finali di Sarcelles c’est l’avenir, sorta di
fluviale Sister Ray acidastranita dai fiati e ossessionata dalle
percussioni: un mezzo capolavoro. Da ascoltare. Patrick Vian, voce, chitarra;
Jean-Claude Cenci, voce, flauto, sassofono; Daniel Geoffroy, voce, basso; Philip
Barry, voce, chitarra, batteria
217. Reform Art Unit (Austria) - Reform Art Unit (1975). Introvabili.
218. Steve Reich-Richard Maxfield-Pauline Oliveros (Stati Uniti) - New sounds in electronic music (1967). Tre brani: il primo, di Maxfield (1927-1969), Night music, risale alla fine degli anni
Cinquanta: è una delle testimonianze sonore sopravvissute di uno dei fondatori
della musica elettronica americana; si compone di una serie di effetti prodotti
da un registratore e un oscilloscopio; storico; il secondo, Come out (1966), di Steve Reich (1936), uno dei padri del minimalismo, riafferma l’essenza ciclica della sua estetica: un
frammento discorsivo viene ripetuto indefinitamente sino al proprio
annullamento di senso; il terzo, I of IV (20’45’’),
di Pauline Oliveros (1932), è il capolavoro del terzetto: i ‘segnali’,
variamente ottenuti, costituiscono una foresta sonora inquietante, ricca di
echi e rifrazioni misteriose. Composto presso l’Università di Toronto nel 1966.
Da ascoltare, ovvio.
219. Achim Reichel & Machines (Germania) - Echo
(1972). Un caposaldo della psichedelia europea: cinque lunghe jam in cui ogni
adepto del kraut che si rispetti troverà rispondenze e richiami con i maggiori
attori della produzione tedesca coeva, a partire dagli Amon Düül; si potrebbe
parlare di folk psichedelico (il ‘fondo’ di chitarra acustica, le dilatazioni
sonore, lo sfasamento), ma l’impasto di Reichel è geneticamente diverso dal
consimile genere angloamericano, quello più conosciuto; in Reichel opera,
infatti, una tradizione culturale naturalmente ricca di echi magici: basti
leggere alcune pagine dei romantici tedeschi più obliqui (Hoffmann, ad esempio): qui ogni evento, anche quello apparentemente più innocuo, rimanda a un
sottofondo insondabile, ma vivo, che coincide con l’anima millenaria della
Germania, succube dell’idea del fato e dell’ineluttabile. Ecco perché Scaruffi
può dire, a proposito degli Amon Düül (ma il tutto può estendersi a Reichel): “Il loro sound era ‘gotico’ nel senso più`
autentico (e meno spettacolare) del termine, non per il gusto di evocare
atmosfere terrificanti ma per la natura stessa delle loro radici culturali”.
Da mettere sul piatto subito. Achim Reichel, voce, strumenti vari; Helmut
Franke, chitarra; Norbert Jacobsen, voce, clarinetto; Arthur C. Carstens, arpa;
Jochen Petersen, sassofono; Dicky Tarrach, batteria; Lemmy Lembrecht, batteria,
percussioni; Hans "Flippo" Lampe, percussioni; Kalle Trapp,
percussioni; Rolf Köhler, percussioni; Conny Plank, voce; Klaus Schulze, voce,
Matti Klatt, voce; Frank Dostal, suoni; Pete Becker, suoni.
220 Residents (Stati Uniti) - The third Reich 'n' roll (1976). Circa
trenta hit (anni Sessanta-Settanta) costituiscono i due mostruosi ircocervi del
disco: Swastikas on parade (17’36’’)
e Hitler was a vegetarian (18’33’’). Da
Let’s twist again a To Sir with love, da Hey Jude a In-a-gadda-da-vida, tali punte mainstream del rock sono distorte,
amputate, deformate, giustapposte e, infine, riassemblate in forma di collage;
il risultato esula dalla parodia accattivante, anzi si colora di tinte sinistre
e quasi malsane: l’ascolto è ostico, ma la genialità di alcuni passaggi lo
rende doveroso. Nei bonus prendono per i fondelli Rolling (ancora: la traccia
isolata di Satisfaction) e Bitolz. Ah,
che grandi canaglioni. ?; Honeydew, Pamela Zeibak, voci
221 Catherine Ribeiro + Alpes (Francia) - N°
2 (1970). Patrice Moullet (compositore, inventore di strumenti, attore) e
Catherine Ribeiro (d’origine portoghese, anch’ella attrice: con Godard) sono il
nucleo di tale sottovalutato ensemble in cui il folk (Ballada des aguas, 15 Août
1970)si sposa a brani
psichedelici di rara intensità: Sirba,
dominata dall’organo Farfisa, Silen von
Kathy e i diciotto minuti di Poème
non épique ) sono i vertici sonori, esornati dai vocalizzi della Ribeiro, le cui
inflessioni melodrammatiche, tipiche della chanson transalpina, rilucono di una
certa teatralità ghiacciata alla Nico; è solo una suggestione, però: le ascriviamo la piena originalità. Da
ascoltare. Catherine Ribeiro, voce; Patrice Moullet, voce, chitarra, tastiere; Isaac
Robles Monteiro, chitarra; Pires Moliceiro, chitarra; Denis Cohen, tastiere,
percussioni.
9. Takehisa Kosugi - Catch-wave (1975). E se fosse Kosugi il maestro segreto della
musica rock giapponese del dopoguerra (assieme a Keiji Haino, ovvio)? Le sue
idee innervano altri quattro dischi presenti nel Japrocksampler: JPR46, JPR40 (Group
Ongaku), JPR37 e JPR35 (Taj Mahal Travellers). Qui è al suo meglio: due
composizioni (26’35’’ e 22’39’’) in cui bordoni cosmici si avviluppano
lentamente su se stessi, una incarnazione elettronica dell’Om, mantra di
meditazione e via per l’immersione nell’inner space. Da ascoltare; melodici
astenersi.
8. Geinoh Yamashirogumi - Osorezan/Doh No Kembai (1976). Primo disco di un collettivo fondato
nel 1974. Due composizioni influenzate dai tradizionali nipponici: se la prima,
Osorezan (La montagna di fuoco, 18’51’’), rielabora la materia sino a
calibrarsi su una psichedelica ampiamente apprezzabile anche ai palati europei,
la seconda (Doh No Kembai, 18’40, La
ballata della spada di rame) è il probabile resoconto, senza
accompagnamento strumentale, d’uno spettacolo teatrale: molto più ostica per l’ascoltatore,
ma affascinante nella sua spettrale ritualità. Seiji Hayamizu,chitarra;
Takayuki Inoue, chitarra; Katsuo Ohno, tastiere; Takanori Sasaki, basso; Jiro
Suzuki, batteria.
7. Masahiko Satoh & Sound Breakers - Amalgamation (Kokotsu no Showa Genroku)
(1971). Abbiamo già incontrato Satoh (JPR21 e JPR34). Il primo brano, con l’apporto di Kimio Mizutani
(JPR16 e JPR27) e Yanagida dei Food Brain (NWW17), è una giustapposizione affascinante di rock, funky, inserti di musica colta (e discorsi hitleriani); il secondo s’instrada nei binari più riposanti dell’improvvisazione
jazz. Notevole. 1° brano: Shigenobu Okuma, voce; Kimio Mizutani, chitarra;
Shungo Sawada, chitarra; Hiro Yanagida, tastiere; Wehnne Strings Consort; D.D.
Dickson, trombone; Jochen Staudt, trombone; Jackie Heimann, tromba; Peter
Davis, tromba; Masaoki Terakawa, basso; Louis Haynes, batteria. 2° brano:
Masahiko Sato, tastiere; Mototeru Takagi, sassofono, clarinetto; Hideaki
Sakurai, voce, batteria, percussioni; Sabu Toyozumi, percussioni; Kayoko Ishu,
scat.
Grazie al blogger L'Ostile Libero colmiamo tre lacune della famigerata lista.
Colgo l'occasione per segnalare due fatti, che mi stanno variamente a cuore:
1. L'uscita della terza (e non ultima) revisione di Virgin Forest, libro/saggio sulla musica nascosta (nascosta oppure volontariamente occultata) in progressivo stato di irrobustimento; si potrebbe dire che la creatura, come un Golem, si sta autoconsolidando (e si spera che non fugga dal controllo dei creatori). Si può scaricare qui in pdf.
2. Il precedente post sulla Palestina è stato il nadir del blog dalla sua fondazione. Comprendo: ci sono i Mondiali, le spiagge ... oppure: luglio, dolce dormire ... ci sono tante chiavi interpretative. Una, la mia preferita, è questa: subire la storia, evidentemente, può essere piacevole.
4. Albrecht D. (e Josef Beuys) (Germania) - Performance at The ICA London 1. Nov. 1974
(1976). A
causa, probabilmente, della cattiva qualità della registrazione (la low
fidelity va dosata cum grano salis altrimenti si finisce fra i trendy o gli
inascoltabili) tale live, piuttosto raro, risulta esclusivamente quale goffo tramestio di
percussioni; l'occasionale speziatura di sfiati e vociferazioni etniche, buone per
simulare una patina world, non aggiungono fascino all'insieme. Ma forse mi sbaglio.
108. Jef Gilson (Francia) - Le massacre du printemps (1971). Già con Dizzy Gillespie e con l’agitatore patafisico par excellence Boris Vian (ma anche con conoscenze della lista come Bernard Lubat, NWW156, e Michel Portal, NWW212), il pianista francese, dissacrando già nel titolo il capolavoro di Igor Stravinsky, regala sfarfallii di free jazz nervoso e provocatorio. Da ascoltare. Jef Gilson, tastiere, tuba; Claude Jeanmaire, tastiere; Jean Claude Pourtier, batteria; Pierre Moret, tastiere.
144.
Frank Köllges (Germania) - Drums, voices, knispel nie (1977). Ci sono solo Köllges, e i suoi
strumenti, voce e batteria, in questo disco, eppure funziona. Borborigmi, divagazioni,
latrati, grida sommesse giustapposti a rullate, ammicchi, colpi di piatto,
esitazioni, riprese: un catalogo mai monotono e più che divertente. Da
ascoltare. Frank Köllges, voce,
batteria.
La vedo così (con semplificazioni di grana spessa): un grande anelito di libertà o libertarianesimo o anarchia liberale scuote i continenti: parte dagli Stati Uniti, ma invade prima l'Europa e quindi il mondo tutto (i satelliti occidentali, almeno: Giappone in testa).
Negli Stati Uniti il fenomeno sociale e politico trova sbocco artistico nella nascente psichedelia o nell'hard rock o nel folk blues bianco riadattato dai vecchi padri della protest song (padri bianchi e neri); è una voglia di 'altro', spesso generica, ma sincera - non popolare e mediata culturalmente (dalle università, ad esempio) - non americana, se per americano intendiamo il blocco sociale WASP o Frankie Valli o Nashville.
Ognuno reagisce attingendo alle proprie radici: in Europa la contestazione s'invera nei modi della canzone popolare di protesta e del progressive in senso lato.
Comune ai due empiti (americano ed europeo) è la volontà di rottura; le soluzioni divergono tra il frontismo e l'impegno sociale (hippies, Pantere Nere, socialismo fabiano, comunismo, anarchismo ...) e l'escapismo (voglia di una terra 'altra', riesumazione di passati mitici o futuri possibili ...).
Se la prima soluzione ci dona Dylan, Guccini, il cabaret politico e l'avanguardia più avvertita e dirompente (compreso il progressive più elaborato: Soft Machine, Henry Cow), la seconda sfocia nello space rock, nella psichedelia alla Wooden ships, nel neoclassicismo, nel folk e nella world music più sognante, nel progressive con l'orecchio e il cuore rivolto al rimpianto delle terre utopiche (celtiche, germaniche, leniniane; tolkeniane; evoliane: non necessariamente di sinistra, quindi).
Svanito in un decennio questo afflato universale rimase la maniera: in tale periodo di riflusso (dal 1975 circa in poi) la fluidità creatrice si perde e ci si immobilizza nell'ossequio del recente passato; sarà allora che gli Stati Uniti, in tono minore e ordine sparso, tenteranno il recupero delle forme progressive europee più celebrate e prevedibili, Yes e Genesis in testa.
Operazioni riuscite, c'è da anticipare, in cui il tono del già sentito non fa velo alla godibilità delle esecuzioni. C'è parecchio ancora da disboscare, però.
Mirthrandir - For you the old women (1976). John Vislocky III, voce, tromba; Alexander Romanelli, chitarra; Richard Excellente, chitarra; Simon Gannett, tastere; James Miller, flauto basso; Robert Arace, batteria.
Cathedral - Stained glass stories (1978). Paul Seal, voce, tastiere, percussioni; Rudy Perrone, voce, chitarra; Tom Doncourt, tastiere, percussioni; Fred Callan, voce, tastiere; basso; Mercury Caronia IV, batteria, percussioni, vibrafono.
Hands - Hands (recordings 1977-1980). Gary Stone, voce; Tom Reed, voce; Ernie Myers, voce, chitarra, tastiere; Michael Clay, voce, chitarra, tastiere, xilofono; Shannon Day, viola, violino; Mark Menikos, viola, mandolino; Skip Durbin, sassofono; Steve Parker, voce, basso; John Rousseau, batteria, percussioni; Martin McCall, batteria, percussioni.
Un altro carotaggio ... stavolta la Norvegia. Quattro dischi che provengono dal decennio magico 1967-1977 della musica europea: si parte con le delicate atmosfere hippie/orientali di Oriental Sunshine (un piccolo gioiello; bella la voce della Johansen); quindi abbiamo il disco più celebrato dei Settanta norvegesi, Friendship, dei Junipher Greene (celebrato giustamente occorre dire e ben noto agli appassionati di genere; ero, infatti, indeciso se inserirlo o meno); poi il sottovalutato Ranshart dei Ruphus, sospeso fra i Genesis di Lamb e gli Yes (con la voce di Jahren à la Jon Anderson); infine Høst, Hardt mot hardt, un tardo, ma robusto cascame di heavy prog ... tardo per i tempi a esso coevi eppur anticipatore delle nuove, pletoriche, leve nordiche devote alle costruzioni lambiccate del progressive metal.
Oriental Sunshine - Dedicated to
the bird we love (1969). Nina Johansen, voce, chitarra; Rune Walle, voce,
chitarra, sitar; Satnam Singh, voce, flauto, table; Helge Grøslie, tastiere; Sture
Jansen, basso; Espen Rud, batteria