venerdì 30 maggio 2014

Traditional music of the vanishing peoples vol. 5 (Nord e Centro Italia e Albanesi della Calabria/Sicilia) ovvero: brevissima storia imperiale del pomodoro



Nel 1521, alla vigilia di Ferragosto, Hernan Cortés espugna Tenochtitlán, capitale dell'Impero Azteco. Quella che, per ammissione dello stesso Cortés, era la città più bella del mondo, viene rasa al suolo.
Il conquistatore lasciò ai posteri alcune considerazioni:

"Intendevo attaccarli e ucciderli tutti ... decisi di penetrare in città poco prima dell'alba e distruggere il più possibile ... la nostra foga di distruzione ... nelle strade si alzavano mucchi di cadaveri ... fummo costretti a camminarci sopra ..."

In appena mezzo secolo la popolazione del Centro America collassò da 28 a 4 milioni.
I libri, i monumenti e la storia della civiltà mexica si dissolsero in polvere e cenere.
I sopravvissuti alla guerra, alla fame e alle pestilenze furono asserviti allo sfruttamento del Nuovo Reame di Spagna: piantagioni e miniere reclamavano con forza i loro schiavi.
I tesori dell'intelligenza e della terra, invece, vennero sequestrati e recati in Europa: oro, argenti, gioielli, vesti, uomini, bambini, animali, frutta e bacche esotiche: fra queste ultime lo xitomatl, succoso e giallo: un pomo rigonfio, dorato, dissetante, gustoso. In spagnolo xitomatl tramutò in tomatl, quindi in tomate (come in francese e tedesco) da cui l'inglese tomato. In italiano, ovvio, pomi d'oro.
In Italia il pomo d'oro arriva nel 1596 (a Napoli, la spagnola Napoli) e abbellisce i davanzali come pianta ornamentale. Fra le mani spagnole e italiane, ghiotte di incroci e varietà, la bacca diviene definitivamente rossa. E commestibile. La plebe se ne infischia dell'ikebana e scopre la novità americana. Chef, gourmet, filologi della salsa e dotti del cibo, invece, si svegliano lentamente dal torpore, sbadigliando sbadati, come il giovin signore di Parini: il grande cuoco Vincenzo Corrado nota (1815) che il popolo, irretito dallo stomaco, già abbina il pomo d'oro a maccheroni e pizza: trasfonde, perciò, la rivelazione nei suoi ricettari; Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino (1839), fine gastronomo, codifica il ragù; s'avanza, infine, il piatto transnazionale par excellence: la pizza, rossa di xitomatl, e riverberata in combinazioni innumerevoli.
A quelle date gli Aztechi sono già finiti nel cassetto a scomparsa della dimenticanza.
Nel 1992 Manuel Vázquez Montalbán, letterato, comunista e raffinato crapulone, entro le cui vene scorre - suo malgrado - il sangue bollente dei conquistatori, erompe in un divertente panegirico del pomodoro; o meglio: del pane e pomodoro:

"È indispensabile che tutti gli esseri e tutti i popoli saggi della terra capiscano che pane e pomodoro è un paesaggio fondamentale dell'alimentazione umana. Piatto peccaminoso per eccellenza perché comprende e semplifica il peccato rendendolo accessibile a chiunque. Piatto peccaminoso in quanto può significare un'alternativa a tutto ciò che è trascendente, a tutto ciò che è pericolosamente trascendente, se diventa cultura della negazione. Non fate la guerra ma pane e pomodoro. Non votate per la destra ma mangiate pane e pomodoro. No alla NATO e sì al pane e pomodoro. Ovunque e sempre"

Ovviamente Montalbán (in quanto Montalbán: pace all'anima sua) non era tenuto a ricordare lo xitomatl; in quanto spagnolo forse sì; in quanto spagnolo e comunista sicuramente sì: eppure anch’egli dimenticò le ascendenze di un frutto talmente usuale sulle nostre tavole da farcelo ritenere europeo e di nostra proprietà, italiana o spagnola. E invece era il frutto - suo malgrado - di una rapina cruenta e abietta.

* * * * *

D'estate ci godiamo la caprese, l'insalata, e la sera, al ristorantino, una rassicurante pizza: capricciosa, rustica, boscaiola o, magari, napoletana (potremmo dire: spagnola).
Invitante, profumata; rossa di pomi d'oro: che, se ci pensate bene, e non conoscete Cortés, è un bel controsenso: ma come? Pomi d'oro, va bene, ma perché in realtà sono rossi, di un rosso evidente, plateale, inconfutabile? Cos'è questa storia?
Una storia beffarda, risponderemo, come la Storia maggiore: spietata, immemore, ingiusta.
Oggi i pomi d'oro per la nostra insalata e per la nostra pizza estive li raccolgono gli ultimi, come sempre - africani, disoccupati, inoccupati, bengalesi: sono, per il volgere del Saṃsāra dell'iniquità, gli schiavi e i vinti dei tempi a venire, i nuovi Aztechi.

giovedì 29 maggio 2014

Il blues l'hanno inventato tutti tranne gli Americani

Gian Maria Volonté in Vita di Michelangelo
Forse gli Africani deportati in America, preciserete voi. No, neanche loro ... forse gli Italiani.
Vi prego di aprire il seguente video di youtube: è la prima delle tre puntate di Vita di Michelangelo, sceneggiato RAI del 1964. Ascoltatelo dal minuto 2'55'' al minuto 4'04''.


Michelangelo, interpretato dal grande Gian Maria Volonté, si reca presso le cave di marmo di Carrara per scegliere un blocco di materiale per un suo futuro capolavoro: la tomba di Papa Giulio II. Siamo agli inizi del Cinquecento: nel 1504 o 1505.
Gli operai, marmisti e scalpellini, lavorano attorno al genio e cantano: cantano per darsi il ritmo del lavoro, e quindi renderlo meno pesante. Quel canto è una work song.
Ora ascoltiamo John Henry, superclassico delle work song, nella versione prison song, a cappella:


John Henry era probabilmente un lavoratore delle ferrovie e usava il martello. Nelle prigioni usavano la mazza o la falce. Gli operai carraresi gli stessi identici attrezzi: tre secoli prima, però.
Ecco una citazione che ho trovato in rete, forse di Bruce Jackson:

"A Durban, in Sudafrica, chiesi ad uno Zulu, membro di una squadra (gang) di lavoro, se smettendo di cantare i lavoratori non avrebbero avuto più fiato a disposizione. 'No' mi rispose dopo un momento di perplessità 'Se non cantiamo abbiamo meno fiato. Se non cantiamo non abbiamo forza' (...) In Nigeria ad una domanda simile mi risposero: 'Se bisogna tagliare gli alberi, bisogna cantare. Senza una canzone l'accetta perde il filo'. Ad Haiti mi si disse che il canto e le percussioni incoraggiano il lavoratore. In Alabama un lavoratore delle ferrovie mi disse: 'Cantare rende il lavoro più facile. Se non cantassero, non caveresti niente da questi uomini'".

Il lavoro, solo il lavoro, il lavoro manuale, quello degli ultimi, produce il blues. Inevitabile. Le cave di marmo di Carrara furono operative dai tempi di Giulio Cesare, dalla metà del I secolo a. C., quindi. Da circa ventuno secoli producono marmo: e blues.
Obietterete: ma quegli operai non ci hanno dato Big Bill Broonzy o Robert Johnson. Io rispondo: non è detto. Eravate voi tra gli ultimi, tra gli umili nel 1500? Nelle loro case, la sera, riuniti attorno a un tavolaccio, durante quei brevi momenti che precedono il sonno? Sapete di che parlavano, cosa cantavano, cosa suonavano? Magari durante le feste di Carnevale o i matrimoni o i fidanzamenti. Avete mai visto il quadro di Bruegel con la festa dei campagnoli (Banchetto nuziale, 1568)? Ci sono i musici e ci sono i cantanti, ovvio. 


Le parole e i canti di un povero sono arte scritta sull'acqua (quelli di un ricco sul marmo - marmo di Carrara, a volte) e nessuno nella storia ebbe la fortuna di avere un Alan Lomax che gira con il registratore. Chissà quanti schiavi - traci, libici, bitini, galli - lavoravano nelle cave ai tempi di Giulio Cesare, il conquistatore del mondo. Chissà cosa cantavano. A mio avviso cantavano con questi ritmi, ritmi blues ... è inevitabile, lo sento ... chissà cosa cantavano gli Egiziani mentre innalzavano la piramide fatale ... o i poveracci che mettevano mattone su mattone le mura Aureliane o coloro che spianavano la via Appia o bonificavano le paludi malariche.
Se penso a quanti libri sono stati scritti sulle origini del blues ... perché le origini non esistono - sono nate con l'uomo, con il lavoro, con l'ingiustizia del lavoro ... il blues è dei perdenti - degli ultimi, di quelli che non vanno sui libri, di coloro che non gridano.


* * * * * 

Una curiosità. E una conferma. Il lamento dei cavatori di marmo di Carrara che oggi possiamo ascoltare fu registrato (e preservato dalla dimenticanza) proprio da Alan Lomax: guardate il video in esergo al prossimo post ...

martedì 27 maggio 2014

Black Flag - Everything went black (1983; recordings 1979-1981) ovvero: welfare e hardcore


I Black Flag SENZA Henry Rollins (sopraggiungerà nel 1981), ma con Greg Ginn (autore di tutti i brani e già manipolatore d'una sei corde catarrosa e trascinante) e Dez Cadena ... già si intuisce tutto. Il punk europeo è una cosa, l'hardcore americano un'altra. Come dire: due popoli divisi da una sola lingua. Il punk si compiace del mondo sottosopra e della provocazione sistematica al perbenismo della classe media (che include il pubblico del punk): una pulsione bruciante e anarchica, ma attutita dal materasso dello stato sociale e risolta spesso in un anelito comune: nazionale, sociale, latamente identitario (If the kids are united!), a volte addirittura giocoso ed esibizionista; negli Stati Uniti, invece, il frontismo è assoluto e, soprattutto, portato a livello individuale con scarsi riferimenti alla mediazione politica (partiti, sindacati, movimenti) anche nei gruppi che potremmo ascrivere, con molta cautela, alla sinistra (Fugazi, Dead Kennedys); la potenza d'urto è fenomenale, irriducibile: essa conferma, peraltro, cosa sia il vero rock da quelle parti: una forma d'arte non popolare, in diretta contrapposizione con i miti fondativi della propria stessa nazione ... una partita a poker che ha la posta più alta: la propria vita ... Ricordate cosa risponde il killer Chiguhr (No country for old men) al proprietario del drugstore che gli chiede cosa si sta giocando? Tutto, gli risponde ... e ci si gioca tutto, in una sorta di ansia distruttiva ... individuo contro Moloch statale: con il corollario clinico di tale scontro impari e fatale: depressione, brutalità, afasia, nichilismo, droga, autolesionismo ... tutti quei condimenti psicologici che insaporiscono le più abissali produzioni sonore della terra di Colombo (Swans, Type 0 Negative, Cop Shoot Cop, ad esempio, fra le migliaia). Essere un fallito in Gran Bretagna o Italia porta il sussidio di disoccupazione o i cento euro della famiglia; in America la vergogna ideologica e il dissolvimento nelle zolle di una terra sempre più straniera. Basta leggere Grapes of wrath.
Presto anche noi godremo di questi trattamenti privilegiati ... il pensiero unico cola giù da Hermosa Beach sino a Modena, Roma e Napoli ... i nostri governanti sono chiari: più Europa e più Stati Uniti d'Europa, questa la sfida della postmodernità. Sindacati, partiti, associazioni sono già stati distrutti. Anche noi deliberemo, perciò, il gusto ineguagliabile del disorientamento, della solitudine, dei parcheggi di roulotte ... case di cartone, espulsione dalla catena sociale, istruzione pressapochista ... il welfare unifica troppo, bene ridurlo con il mantra dell'efficienza ...
Di questo passo prevedo la nascita di bei gruppetti hardcore italiani di qui al 2020; e pongo una domanda che mi sta a cuore: l'arte genuina, dirompente, ha bisogno del disagio sociale? Dell'insicurezza, della malattia? Non saremo diventati troppo morbidi, rispettosi, caldi, pasciuti, viziosi, concessivi verso un potere che ci ricatta minacciando il poco che abbiamo (parva sed apta mihi, il nostro caldo cantuccio borghese)? Non necessitiamo di ingiustizia? D'un tiranno che ci opprima e tiri fuori il meglio di noi stessi - odio finalmente - e una volontà che non si piega poiché non ha nulla da perdere?

sabato 24 maggio 2014

Virgin Forest vol. 4 - A touch of Finland Wigwam - Fairyport (1971)/Pekka Pohjola - Pihkasilmä kaarnakorva (1972)/Tasavallan Presidentti - Lambertland (1972)

Pekka Pohjola

Ulteriori riflessioni a margine: lo stile pittorico del gotico internazionale si diffuse in tutta Europa (con deboli differenze e peculiarità fra un paese e l'altro) in pochi decenni; quasi improvvisamente. Il tramite: gli scambi culturali delle corti; l'impulso: quello, forse decisivo, della sede papale ad Avignone. 
Se è così quale da dove è partito l'impulso e quale è stato il fattore di trasmissione del progressive europeo e, in generale, della musica rock più ambiziosa dei Settanta (almeno sino al punk)?
Domanda non oziose. Domande da storici. Possiamo già affermare: gli storici di professione (in altri ambiti, ovviamente) queste domande se le fanno e si danno risposte, accendono dibattiti, mettono in circolazione materiale da sottoporre al vaglio critico, estendono saggi, compulsano documentazioni et cetera. Perché non dovremmo parlarne noi che, per diporto, passiamo la vita ad ascoltare questa musica? Le risposte sinora date non m'interessano poiché si basano su dati incompleti ... come già spiegato ... non che non possano essere veritiere, per carità ...
Alla seconda domanda si può rispondere: a favorire l'unità di tale musica fu probabilmente l'afflato politico, contestatario, libertario - un vento epocale inteso come volontà liquidatoria del passato regime commerciale e accademico.
La prima domanda è più difficile: quale fu l'impulso principe? La scena inglese? La scoperta del jazz americano (il che spiega perché negli Stati Uniti progressive non vi fu: il jazz già lo avevano)? Oppure un sincretismo ardito fra influenze jazz (la musica aperta per eccellenza) e classicismo continentale?
Nel frattempo si propone un intrico finlandese da esplorare: un grande compositore, Pekka Pohjola (eccellenti i suoi tre primi album); i Wigwam, gruppo (e disco) icona della musica finnica (vi militò lo stesso Pohjola); i sorprendenti Tasavallan Presidentti, autori di un prog immaginifico, colorito e ben costruito.  

Wigwam - Fairyport (1971). Jim Pembroke, voce, armonica; Jukka Gustavson, voce, tastiere; Pekka Pohjola, tastiere, basso, violino; Eero Koivistoinen, sassofono; Pekka Pöyry, sassofono; Tapio Louhensalo, contrabbasso; Hannu Saxelin, clarinetto; Risto Pensola, clarinetto; Unto Haapa-Aho, clarinetto; Ilmari Varila, oboe; Ronnie Österberg, batteria, percussioni; Jukka Tolonen, chitarra.

Pekka Pohjola ‎- Pihkasilmä kaarnakorva (1972). Pekka Pohjola, tastiere, basso, violino; Risto Pensola, clarinetto; Pekka Pöyry, flauto; Jukka Gustavson, tastiere; Reino Laine, batteria.
    
Tasavallan Presidentti ‎- Lambertland (1972). Eero Raittinen, voce; Jukka Tolonen, chitarra; Pekka Pöyry, flauto, sassofono; Måns Groundstroem, basso; Vesa Aaltonen, batteria.


mercoledì 21 maggio 2014

Mutant Sounds reborn - The Italian posts of Mutant Sounds vol. 11 (La 1919/Klangstabil)

La 1919

La 1919 - L'enorme tragedia (1985). Following Eric's post of their Jouer. Spielen. To play CD, here comes the 1st ever tape by this Italian duo of Luciano Margorani and Piero Chianura . This time is more electronics oriented blending somekind of "future" jazzish electronics.
Released through ADN label.

La 1919/Chris Cutler/Charles Hayward/Roberto Zorzi - Jouer. Spielen. To play (1994). The Italian duo of Luciano Margorani and Piero Chianura (who comprise La 1919) skillfully craft fidgity, scrabbly, art rock constructs that owe a great debt to Massacre's fevered perambulations and which are, on this mid-90's release, beautifully underpinned by two of art rock's greatest and most distinctive drummers, Chris Cutler and Charles Hayward.

Klangstabil - Gioco bambino (2000). Part of a raft of releases that came out within a few years of one another, all utilizing the sounds of Nintendo's gamboy (sort of a precursor to whats happening now with the umpteen variants on the sound of the Buddha box) , though actually, this half German, half Italian group (an otherwise more specifically post-industrially geared outfit) had their go with this stuff a few years before Stock, Hausen & Walkman's Matt Wand and Poland's Gameboyzz Orchestra entered the fray. For someone like me that adores the idiotically blippy and childish tonalities of, say, Picky Picnic, mutated reconfigurations of candy coated bleep-bloop like this are aimed right at my pleasure receptors, though in the case of Klangstabil, they do about as much as one could to recontextualize the goof right out of these sounds (in a sort of Tietchen-y fashion), something that lends a curious frisson of it's own to the proceedings here. This lengthy CD has been divided into two parts.

sabato 17 maggio 2014

Baby Grandmothers - Baby Grandmothers (recordings 1967-1968)/Turn on tune in drop out (recordings 1967)


Come Baby Grandmothers (Kenny Hákansson, chitarra; Bella Linnarsson, basso; Pelle Ekman, batteria) durarono lo spazio di un mattino, meno di un anno, nonostante l’incubazione datasse dal 1965.
Si esibivano al Filips Café, ritrovo della psichedelia svedese, dove passarono The Mothers of Invention (Jimmy Carl Black partecipò ad alcune loro jam) e la Jimi Hendrix Experience (a cui si unirono durante la tournée svedese). Quindi il Filips Café chiuse, sostituito da un grande magazzino, alla fine del 1968: e finirono i Grandmothers.
I loro due unici dischi sono collezioni di session dal vivo: gli svedesi, più ancora della Experience e dei Guru Guru, sono l’epitome della psichedelia elettrica di fine anni Sessanta: un diluvio che si sfilaccia, si ingolfa, riprende vorticosamente il corso, si disperde in decine di emissari:  sette, dieci, quindici, venti minuti di jam … strumentali che riconfermano tutti i magnifici luoghi comuni della psichedelia da power trio. A tratti si ha la sensazione inequivocabile del capolavoro: il desiderio, cioè, da parte dell’ascoltatore, di lasciarsi portare per ore lungo tali mantra che adducono alla rivelazione rock.
“Andavo nel posto peggiore del mondo, e ancora non lo sapevo, per settimane e centinaia di miglia su per un fiume che serpeggiava attraverso la guerra come un cavo elettrico – con il terminale inserito direttamente dentro Kurtz …”.

E Kurtz non è metafora, come spiegai … è la sintonizzazione, magica, fra musica e ritmo biologico, non altro … i tamburi africani, il rosario, la tragedia greca, Nam-myoho-renge-kyo, assolvono alla stessa funzione … la progressiva perdita dell’identità volgare e la risoluzione entro l’unità primordiale ... finalmente …
D’altra parte, riflettete: cos’è un concerto rock classico se non una tragedia greca come la intese il Vecchio Matto: c’è un eroe, una storia di amore e morte, il sudore quasi agonico, il sacrificio e la rinascita … tutto questo ciarlare dei front men come sciamani: notazioni non del tutto inaccurate, anzi …
I dischi sono da ascoltare, ovviamente; un altro tassello che sconvolge il disegno musivo delle vecchie gerarchie.

martedì 13 maggio 2014

Nurse With Wound list vol. 35 (Plastic People of the Universe/Poison Girls/Pôle/Pop Group/Michel Portal-John Surman-Barre Phillips-Stu Martin-Jean-Pierre Drouet/Bomis Prendin)

NWW list vol. 35. Plastic People of the Universe

208. Plastic People of the Universe (Cecoslovacchia) - Egon Bondy's Happy Heart Club Banned (1978). Attenzione: i Plastic People si formano dopo l’invasione sovietica del 1968 (mente del gruppo: il bassista Hlavsa) sotto l’egida artistica del poeta Ivan Jirous (sorta di Andy Warhol ceco: i Plastic erano, infatti, devoti ai Velvet Underground); traggono il proprio nome da Plastic people, brano d’apertura di Absolutely free di Frank Zappa; il titolo lo trafugano, ovviamente, al Sgt. Pepper’s dei Bitolz sostituendovi il nome di Egon Bondy, eccentrico poeta surrealista praghese, studioso marxista in polemica sia con il totalitarismo sovietico che con le strutture capitaliste mondiali; in fundo: i Plastic furono osteggiati dal partito comunista cecoslovacco che gli ritirò la licenza nel 1970: il disco fu, perciò, registrato in Francia … Serve altro? Egon Bondy è un capolavoro; esso spazia con forza bislacca fra raucedini beefheartiane, arieggiamenti del primo Zappa, sfiati di sassofono, inserzioni acide di violino: un fondo underground e notturno (ascrivibile anche al loro esilio artistico) dona un fascino costante a tutta l’operazione. Da ascoltare subito. Josef Janíček, chitarra, tastiere, vibrafono; Vratislav Brabenec, sassofono, clarinetto; Jiří Kabeš, chitarra, violino, theremin; Milan Hlavsa, basso; Jaroslav Vožniak, batteria.

209. Poison Girls (Gran Bretagna) - Hex (1979). A quarant’anni suonati la milfettona Frances Sokolov vede i propri figli adolescenti (un maschio e una femmina) suonare con due distinti gruppi punk. E cosa fa? Li manda dallo psicologo? Aspetta disperata la menopausa? Macché, mette su una propria band dove sferraglia rauca il proprio anarco-femmminismo col nom de plume Vi Subversa. 
Complici politico-ideologici sono i Crass; il disco, quindi, più che verso gli sbeffeggiamenti anglosassoni, al cui fondo residua un compiacimento teppistico per l’infrangimento della morale corrente, inclina potentemente verso le ruvidezze hardcore oltreatlantiche, tanto punk da ignorare il punk. Marciapiede opposto a Clash e compagnia; un caposaldo. Vi Subversa, voce, chitarra; Richard Famous, voce, chitarra; Bernhardt Rebours, basso; Lance D'Boyle, batteria; Eve Libertine, voce.

210. Pôle (Francia) - Kotrill (1975). Disco oscurissimo, sorto dalla collaborazione di tre sperimentatori elettroacustici. Opera che, in virtù dell’appartenenza alla NWW list, e di tale irrilevanza commerciale, ha assunto, nel tempo, statuto leggendario. Non del tutto usurpato, tuttavia; loop, saliscendi elettronici, frequenze intergalattiche, gong ominosi, e la lunga sequenza purgatoriale di Villin-gen (21’00’’), esornata da sgocciolii à la Neu!, formano un impasto retro al cui fascino è impossibile sottrarsi. Da ascoltare. Daniel Bodon, Paul Putti, Thierry Aubrun, elettronica.

211. Pop Group (Gran Bretagna) - Y (1979). Ecco Webbaticy: “Devo confessare che ci ho messo un po' di tempo a riconoscere il valore di questo gruppo pop ... ma col passare del tempo ho iniziato ad amarlo, senza riserve. Non serve raccontare molto di Y, è un po' uno di quei dischi dei quali si è parlato e scritto così tanto e così profondamente che non ritengo di dover aggiungere un granché. Mi sento solo di riconoscere l'immensa valenza artistica di una voce come quella di Stewart, un pazzo delirante che canta come uno strumento aggiunto, soltanto che non assomiglia a nessun ferro/legno/avorio di mia conoscenza … Y è un monumento non solo della new-wave (lo affiancherei a Soldier talk dei Red Krayola), ma un po' di tutto il free-rock”. Non aggiungo altro. Mark Stewart, voce, chitarra; John Waddington, chitarra; Gareth Sager, tastiere, sassofono; Simon Underwood, basso Bruce Smith, batteria.

212. Michel Portal/John Surman/Barre Phillips/Stu Martin/Jean-Pierre Drouet (Francia/Gran Bretagna/Stati Uniti) - Alors!!! (1970). Ascritto al solo Michel Portal (metà composizioni portano la firma di Phillips), il disco è, invece, un’opera a più mani che prende le mosse dal free jazz più classico per inoltrarsi nei territori dell’avanguardia elettroacustica. Portal e Drouet collaboreranno nel progetto consimile New Phonic Art 1973 (NWW186). Michel Portal, sassofono, clarinetto; John Surman, sassofono, clarinetto; Barre Phillips, basso; Stu Martin, batteria; Jean-Pierre Drouet, percussioni.


213. Bomis Prendin (Stati Uniti) - Test (1979). Si parte scanzonati con il pop di Rastamunkies, si piega subito verso la psichedelia slabbrata di Artemia salinas, quindi si aprono inopinate le porte del manicomio elettronico: giustapposizioni, loop, interferenze, cacofonie, segnali radio vomitati nella cisterna vuota dell’insensatezza (Umbral vectors). Voce e chitarra fanno capolino ancora con 2%,  poi di nuovo l’abisso. Gran finale con il pop deviante di Auto-acupuncture. Da ascoltare. Bomis Prendin, voce, tastiere, percussioni, nastri; Miles Anderson, voce, chitarra; Hungry "Isaac" Hidden, voce, basso; Candee, effetti sonori; Corvus Crorson, effetti sonori.





sabato 10 maggio 2014

Julian Cope - Japrocksampler vol. 11 - People - Buddha meet rock (1971)/Speed Glue & Shinky - Speed Glue & Shinky (1972)/Far East Family Band - Nipponjin (1975)

Speed Glue & Shinky


16. People -  Ceremony ~ Buddha meet rock (1971). Il sitar, i mantra ieratici, morbidezze folk, la tradizione buddista nipponica. Come per i tedeschi del kraut, i Nostri non devono immergersi o fingere una cultura altra: i musicisti sono i portatori inavvertiti d'essa e operano, pertanto, un cross over naturale con le nuove sonorità occidentali (belle Gatha e Flower strewing). Il grande Kimio Mizutani (da non confondere con Takashi dei Rallizes) era reduce da un altra operazione world di spessore assieme ai Count Buffaloes (JPR27)Akemi Tomura, Goro Inoue, Kyo Shibata, Maiya Sugihara, voce; Kimio Mizutani, chitarra, sitar; Yusuke Hoguchi, voce, tastiere; Hideaki Takebe, basso; Kiyoshi Tanaka, batteria, percussioni; Rarry Sunaga, percussioni.

15. Speed Glue & Shinky - Speed Glue & Shinky (1972). La formazione basica per eccellenza: power trio (ma compaiono belle sottolineature d'organo) con ascendenze blues appesantite e sporcate con perizia d'antan. Search of love, Sniffin' and snorting, Bad woman: Blue Cheer, dov'è la vostra vittoria? Interessante la tirata sperimentale psichedelica quadripartita (Sun/Planets/Life/Moon), forse suggerita dallo space elettrificato di Hendrix. Se uscisse oggi schianterebbe tutti i Green Day di questo mondo. Joey Smith, voce, tastiere, batteria; Shinki Chen, chitarra; Masayoshi Kabe, basso.

14. Far East Family Band - Nipponjin/Join our mental phase sound (1975). Il missaggio è di Klaus Schulze: serve altro? Dopo la prova di JPR41, The cave, a tratti esitante, i Nostri virano verso lidi dove le sospensioni della psichedelia (toni soffusi, venti interstellari) sono strutturate con più solide forme progressive. L'unico problema (che accomuna i musicisti non anglofoni): la mancanza di un pezzo riconoscibile e trascinante; la PFM, ad esempio, sfondò internazionalmente perché aveva Impressioni di settembre: il resto lo fece l'inerzia del successo e il mestiere (indiscutibile nel loro caso). Una notazione commerciale e, soprattutto, inerente la psicologia di massa: l'unica, credo, in grado di spiegare la perdurante negligenza del pubblico medio, anche di quello devoto al genere, verso tali formazioniDa ascoltare, ovviamente. Fumio Miyashita, voce, chitarra, sitar, tastiere; Hirohito Fukushima, voce, chitarra; Akira Itoh, tastiere; Masanori Takahashi, tastiere, percussioni; Akira Fukakusa, basso; Shizuo Takasaki, batteria.

martedì 6 maggio 2014

Virgin Forest vol. 3 - A touch of Norway Oriental Sunshine - Dedicated to the bird we love (1969)/Junipher Greene - Friendship (1971)/Ruphus - Ranshart (1974)/Høst - Hardt mot hardt (1976)

Junipher Greene

Un altro carotaggio ... stavolta la Norvegia. Quattro dischi che provengono dal decennio magico 1967-1977 della musica europea: si parte con le delicate atmosfere hippie/orientali di Oriental Sunshine (un piccolo gioiello; bella la voce della Johansen); quindi abbiamo il disco più celebrato dei Settanta norvegesi, Friendship, dei Junipher Greene (celebrato giustamente occorre dire e ben noto agli appassionati di genere; ero, infatti, indeciso se inserirlo o meno); poi il sottovalutato Ranshart dei Ruphus, sospeso fra i Genesis di Lamb e gli Yes (con la voce di Jahren à la Jon Anderson); infine Høst, Hardt mot hardt, un tardo, ma robusto cascame di heavy prog ... tardo per i tempi a esso coevi eppur anticipatore delle nuove, pletoriche, leve nordiche devote alle costruzioni lambiccate del progressive metal. 

Oriental Sunshine - Dedicated to the bird we love (1969). Nina Johansen, voce, chitarra; Rune Walle, voce, chitarra, sitar; Satnam Singh, voce, flauto, table; Helge Grøslie, tastiere; Sture Jansen, basso; Espen Rud, batteria

Junipher Greene - Friendship (1971). Freddy Dahl, voce, chitarra; Bent Åserud, voce, chitarra, flauto, armonica; Helge Grøslie, voce, tastiere; Øyvind Vilbo, voce, basso; Geir Bøhren, voce, batteria.

Ruphus - Ranshart (1974). Rune Østdahl, voce; Kjell Larsen, chitarra; Hakon Graf, tastiere; Asle Nilsen, flauto, basso; Thor Bendiksen, batteria.

Høst - Hardt mot hardt (1976). Geir Jahren, voce, chitarra; Fezza Ellingsen, chitarra, flauto; Halvdan Nedrejord, tastiere; Bernt Bodahl, basso; Willy Bendiksen, batteria.

sabato 3 maggio 2014

Virgin Forest vol. 2 - Pregnant rainbows for colourblind people/The essence of Swedish psychedelic music 1967-1979 1^ parte/2^ parte/3^ parte/4^ parte

Baby Grandmothers

Bene, ecco le prime propaggini di una nuova foresta da esplorare: la Svezia.
Non si sa cosa ci riserverà la ricognizione finale: una blanda delusione o un nuovo Eldorado. Posso anticipare questo: le gioie dell'ascolto, a parte quelle adolescenziali (inebrianti e, purtroppo, decisive, poiché incatenano a luoghi comuni quasi impossibili poi da estirpare), si fanno, anno dopo anno, più avare; entusiasmi sconfinati (la scoperta di certa avanguardia, del kraut, della psichedelia nascosta) si alternano a pozze statiche in cui si passano in rassegna i trofei del passato ... pozze che rischiano di allargarsi a oceani ... occorre mettersi in cammino ... e ne vale la pena, stavolta: lo dico da novello Pizarro. E vale la pena di lasciare gli ascolti sul piatto e, domani, domenica, godervi questi quattro dischi zeppi di mirabilie: space music, psichedelia, toni hard, fughe allucinate ... un concerto sonoro che suona già d'alto livello e che indagheremo con cura nei prossimi mesi (se il dio dei blogger ce lo concede). 

Cominciate con quei signori in alto, Grandmothers Baby ... poi virate verso personaggi già noti alle nostre latitudini: Älgarnas Trädgård (NWW6), Arbete och Fritid (NWW18), International Harvester (NWW135),  Samla Mammas Manna ... quindi gettatevi nel folto della foresta ... lo ripeto, ne vale la pena.

I

1. Andreas Arflot - Surraya part 1
2. Alexander Lucas - Svarta Skogen
3. Arbete Och Fritid - Gånglåt Efter Per Larsson, Malung
4. Ardy & Lasses Öronpaj - Black Sallad
5. Asoka - Tvivlaren
6. Atlantic Ocean - Take a look around you
7. Baby Grandmothers - Being is more than life
8. Sten Bergman - Sorti
9. BIB Set - Pythagorean child no II, arrival in time
10. Blond - The lilac years
11. Blåkulla - Drottningholmsmusiken, Sats 1
12. Bättre Lyss - Sagan Om Viggen
13. Charlie & Esdor - Tvåmans Bridge Blues
14. Contact - Convulsions
15. Dice - Labyrinth
16. Doris - You´ll Never Come Closer
17. Peter O Ekbergs System - Till Nästa Gång
18. Energy - Metamorphosis
19. Cymbeline - Flicka

II

1.Fläsket Brinner - Gunnars Dilemma
2. Mats Glengårdh - Kosterläge
3. Bo Hansson - Funderingar På Vinden, Uppehåll
4. Hansson & Karlsson - Tax free
5. Hoola Bandola Band - You and I
6. Ibis - Blixtens Gamla Buss
7. International Harvester - Sommarlåten
8. Björn J:son Lindh - Tuppa
9. Kaipa - Musiken Är Ljuset
10. Kebnekaise - Frestelser I Stan
11. Komet - Skriket Från Vildmarken
12. Kvartetten Som Sprängde - Gånglåt Från Valhallavägen
13. Lea Riders Group - Dom Kallar Oss Mods
14. Life - Sailing in the sunshine
15. Lotus - Mac
16. Made In Sweden - Winter´s a bummer
17. Friendship Time - Martins Lilla

III

1. Mecki Mark Men - Born
2. Mendoza - The grateful salesman & Co
3. Midsommar - Illusionen Av En Färdigskolad Akademiker
4. Motvind - Lära För Livet
5. Nationalteatern - Jack the ripper
6. Nature - Mystery brew
7. Norrbottens Järn - Flugornas Hage
8. November - Ta Ett Steg In I Sagans Land
9. Nynningen - Efterdyning
10. Opus III - I see the world from my window
11. Outsiders - On my magic carpet
12. Pandora - Measures of time
13. Panta Rei - Five steps
14. Pop Workshop - High priest
15. Pugh & Nature - Slavsång
16. Resan - Solens Vän
17. Rävjunk - Inferno
18. Saga - Önskebrunn
19. Fruit - Kunskap

IV

1. Samla Mammas Manna - Minareten
2. Janne Schaffer - Filles mignon
3. Scorpion - Red queen of the underground
4. Shaggy - No strings
5. Sogmusobil - Arabic in the morning
6. Solar Plexus - Sköna låten
7. Splash - Sunday ride
8. Trettioåriga Kriget - Ur Djupen
9. Träd, Gräs & Stenar - Sanningens Silverflod
10. Turid - To the childrens of song my
11. Monica Törnell - Öje Brudmarsch
12. Uppåt Väggarna - Jag Hatar Politik
13. Vatten - Jag Är Trött
14. Vildkaktus - Jag Såg Din Stad
15. Älgarnas Trädgård - Saturnus Ringar
16. Ardy, The Painter Of Love - Pregnant rainbows for colourblind people