domenica 20 settembre 2015

We are not Pink Floyd vol. 12. Minor bands of the English Seventies (Nice/Dr. Z/Nucleus)

Nucleus

Nice - Ars longa vita brevis (1968). Lo ammetto: Keith Emerson mi ha sempre dato fastidio. I primi pezzi di questo celeberrimo album (tale, almeno, quando Internet non era fra noi: “Ma hai sentito i Nice?”; “No, dico: ce l’hai il vinile dei Nice?”; “Ah, la tastiera dei Nice!”, e così via) scorrono via piacevolmente, con accensioni beatlesiane e muretti sonori per cui i fratelli Gallagher darebbe un braccio; poi Emerson comincia a fare il gradasso … non è colpa sua … è che nelle sue mani la grande tradizione classica viene ammorbata dal genio inglese per marcette e pompe: il kitsch à la Rondò Veneziano è in agguato e, a volte, colpisce. Per capire la differenza si dia un orecchio (o anche due: è meglio) ai cecoslovacchi Collegium Musicum, loro contemporanei. Nonostante tali pecche (che, forse, sono una mia testarda idiosincrasia) nel tutto si rinvengono dei passaggi notevoli, soprattutto quando le tracimazioni dell’organo vengono contenute dai compagni. Viva i Nice! Keith Emerson, tastiere; Lee Jackson, basso; Brian Davison, batteria, percussioni.

Dr. Z - Three parts to my soul (Spiritus, Manes et Umbra) (1971). Il vinile originale, ridotto – pare - a circa 80 copie, è divenuto un feticcio dei collezionisti. Come spesso accade, in particolar modo fra gli appassionati del progressive, la rarità diviene un viatico per l'ipervalutazione critica del prodotto stesso. E tuttavia questo oscuro reperto dei primi Settanta non demerita tale fama: nonostante la mancanza di pezzi davvero trascinanti e caratteristici, l’insieme risalta per l’ispirazione plumbea e un pervasivo tono dark, da rinvenire soprattutto nelle tracce più estese (Spiritus, Manes et Umbra, 11’53’’; In a token of despair, 10’12’’). I testi, improntati a un vago esoterismo, aiutano. L’assolo di batteria in Spiritus mi ricorda, a naso, quello iniziale di Lust for life: piccola curiosità. Keith Keyes, voce, tastiere; Rob Watson, basso; Bob Watkins, batteria, percussioni.

Nucleus - We'll talk it about later (1971). Un capolavoro del jazz-rock britannico: fluido, potente, inventivo, specie nella prima parte; e ancora non diluito dal funky più orecchiabile e meno problematico. Da ascoltare subito. Chris Spedding, chitarra; Karl Jenkins, tastiere, sassofono, oboe; Brian Smith, flauto, sassofono; Ian Carr, tromba, flicorno; Jeff Clyne, basso; John Marshall, batteria, percussioni.

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