domenica 29 aprile 2012

Red Krayola - God bless the Red Crayola and all who sail with it (1968)


Elettrizzati dai fasti di The parable of arable land (addirittura 30000 copie vendute), sostituito il batterista fondatore Rick Barthelme con Tommy Smith (gli altri componenti: Mayo Thompson, chitarra; Steve Cunningham, chitarra), arricchitisi di una K (a causa di beghe legali) e di leggende varie (il volume dei loro amplificatori stecchì un cane), ecco i Red Krayola pronti per i quadretti sbilenchi di God bless.
Il lavoro, proprio a causa di tale frantumazione (diciannove tracce per soli trentasei minuti), suona felicemente svagato e sembra non andare, coerentemente, da nessuna parte. I non musicisti, però, sono al loro meglio: coretti da freak out zappiano (Music), canzoncine psichedeliche disturbate da colpi in primo piano (Shirt); provocazioni (Listen to this, di sei secondi); amabili canzoncine con voci fuori sincrono (Save the house); canzoncine ortodosse (Victory garden) o quasi (Leejol, Sheriff Jack, Dairymaid’s lament, Coconut hotel, proveniente dalle sessioni dell'album omonimo rifiutato dalla casa discografica e pubblicato nel 1995) nonché esercitazioni free-form più audaci (Free piece) sono i passeri che frullano per questa voliera impazzita.
Il disco è meno radicale del precedente, ma egualmente un piccolo capolavoro. Il merito di Thompson e soci è di aver elaborato uno sperimentalismo sommesso dove la melodia, anche nei momenti apparentemente innocui, è sempre minacciata. I Krayola, forse, sono così liberi e anticonformisti da rinunciare anche all'anticonformismo programmato.
Riallacciati, in alcune recensioni a loro dedicate, a figure come Coltrane e Varese, in realtà essi sono, a mio sommesso avviso, una formazione da inscrivere nell'ambito rock (e che anticipa in pieno i Pere Ubu, ad esempio). I diamanti che scintillano nella loro produzione, più che ad un forte ascendente musicale, sono da ascrivere alle loro origini, goliarde ed accademiche, filtrate da una rara consapevolezza ideologica: non a caso Mayo Thompson proviene dai 73 Balalaikas, gruppo di satira universitaria. Musica non popolare, anzi intellettuale: al suo meglio.

 

venerdì 27 aprile 2012

High Tide - Sea shanties (1969)/High Tide (1970)



Gli High Tide (Tony Hill, voce, chitarra; Simon House, violino elettrico; Pete Pavli, basso; Roger Hadden, batteria) rimangono, a più di quarant'anni di distanza, un gruppo sostanzialmente devoto alle sonorità del tempo. Black Sabbath, Black Widow, il David Bowie di The man who sold the world sono, per restare in ambito inglese, i loro consanguinei più evidenti, almeno per l’esordio; eppure l'eccellenza dei concitati fraseggi elettrici tra Hill e House (concentrata in pezzi tiratissimi) serve a caratterizzarli e distinguerli dal paesaggio circostante del tempo.
Le loro cavalcate hard-rock-folk, allora, non vennero riconosciute dal pubblico: la prevalenza strumentale delle tracce, la mancanza di una hit riconoscibile, li consegnò all'indifferenza dei Settanta e al culto postumo, con conseguente ricasco feticista (i primi vinili sono disputatissimi tra gli amatori).
La loro formula, semplice, emerge già con Sea shanties: una robusta sezione ritmica supporta gli infaticabili ed incandescenti assoli dei leader, tesi sul filo dell'improvvisazione: Death warmed up il segno più evidente della loro estetica. Con il secondo lavoro il duo si libera quasi del tutto dell'impaccio delle liriche e condensa la propria arte in sole tre tracce: l'uso delle tastiere accentua il lato progressivo (specie in The joke), ma sono ancora le sfuriate di Hill e House a costituire il nocciolo nucleare del gruppo (Blankman rise again).
Dopo lo scioglimento, Simon House andrà a rinforzare Third Ear Band e Hawkwind (e collaborerà con David Bowie, suo l'assolo in Stage di Blackout); Hill vivacchierà. Entrambi, a metà degli anni Ottanta, tenteranno di resuscitare la loro creatura, con esiti trascurabili.

giovedì 26 aprile 2012

Elephant9 - Dodovoodoo (2008)

In un memorabile racconto di Borges, Pierre Menard, l’omonimo protagonista decide di riscrivere, parola per parola, riga per riga, il Don Chisciotte di Cervantes. Il nuovo testo, posteriore di tre secoli, pur verbalmente identico, sarebbe risultato paradossalmente ben più ricco del precedente poiché saturo di significati storici e filosofici intercorsi tra la prima e la seconda stesura.
I norvegesi Elephant9, più modestamente, decidono di riscrivere, anche loro quasi alla lettera, un disco di progressive jazz degli anni Settanta e ci riescono perfettamente. Eilertsen (basso), Lofthus (batteria; ottimo) e soprattutto l’organista Ståle Storløkken (già con i ben più arditi Supersilent e collaboratore dello storico chitarrista Terje Rypdal) allestiscono un ensemble compatto dal suono piacevolmente deja entendu; ognuno ricerchi le influenze che i Nostri solleticano, Keith Emerson, Egg, Weather Report (gli ultimi due pezzi, Doctor honoris causa e Directions, sono rifacimenti di pezzi di Joe Zawinul) oppure Soft Machine.
A differenza dell’opera di Menard il tempo non gioca a favore del trio nordico: negli anni Settanta la forma libera, anche caricata di valenze politiche libertarie, riscattava dai lacci della canzone classica, e l’improvvisazione e la suite erano dichiarazioni d’indipendenza precise. Oggi, polverizzati gli stili e annientato l’impegno radicale, rimane esclusivamente il rimando esteriore a quel periodo irripetibile. Il disco brilla allora per ciò che evita: ipertecnicismi, riferimenti paleosinfonici e simile paccottiglia colorata. Ne viene perciò un’opera sorprendentemente sobria, ovviamente ben interpretata e, innegabilmente, come detto, piacevole, a partire dal pezzo eponimo.
Gli amanti del genere avranno di che godere. Ma non si gridi al miracolo.

lunedì 23 aprile 2012

VV.AA. - A cure for the blues vol. 4 (2012)


Dedichiamo questa collezioni di voci femminili a Lalli (Marinella Ollino), una delle interpreti italiane più sottovalutate di sempre. Da circa un trentennio, prima coi Franti, poi come solista, porta avanti istanze no-copyright, quindi a favore della libera diffusione della musica - musica in quanto arte. 
Un brivido, commerciale, correrà lungo le schiene (prone) dei capintesta di Mediafire e degli sgherri della DMCA.
Che dire? Viva Lalli!

Azalia Snail - Into yr world
Betty Davis - Come take me
Billie Holiday - Strange fruit
Bjork - Bachelorette
Dagmar Krause (Henry Cow) - War 

Elizabeth Fraser (Cocteau Twins) - Carolyn's fingers
Ella Fitzgerald - Summertime
Etta James - You got it
Goldfrapp - Lovely head
Grace Slick (Jefferson Airplane) - Hey Fredrick

 Hope Nicholls (Fetchin Bones) - A fable
Hope Sandoval (Mazzy Star) - Fade into you
Janis Joplin - Me and Bobby McGee
Joan Baez - The ballad of Sacco and Vanzetti
Joanna Newsom - Emily
Joni Mitchell - Coyote
Karen O (Yeah Yeah Yeahs) - Maps
 
Kat Bjelland (Babes in Toyland) - Real eyes
Kate Bush - Wuthering heights
Lalli (Franti) - No future
Lisa Gerrard (Dead Can Dance) - The host of Seraphim
Lydia Lunch - What did you do
Mia Zapata (The Gits) - Second skin
Nico (Velvet Underground) - All tomorrow's parties
Patti Smith - Babelogue-Rock 'n' roll nigger
PJ Harvey - Good fortune
Poly Styrene (X Ray Spex) - Plastic bag
Siouxsie Sioux (Siouxie & The Banshees) - Hong Kong garden
Sonja Kristina (Curved Air) - Marie Antoinette
Tori Amos - Cornflake girl

  
 

domenica 22 aprile 2012

Krautrock party vol. 4 - Pik - Psychomotricity in Kindergarten/Subject Esq. - Subject Esq (1972)/Sahara - Sunrise (1974)/Sahara - For all the clowns (1975)




Pik. Pik è un duo italiano, di Salerno, formatosi a Berlino circa tre anni fa. Dalle tracce del loro primo lavoro, già maturo, strutturato su chitarra e percussioni, trapelano le influenze della musica dei Settanta, o meglio, la passione per le sonorità continentali: una particolare ed esclusiva ascendenza, tuttavia, non è dato trovarla, anche a causa del metodo di composizione adottato. Come scrivono essi stessi: "Il gruppo si basa principalmente sull'improvvisazione. Le nostre prove consistono in jam. I pezzi, le 'canzoni' non esistono. Esiste puntualmente un'idea, che durante la jam stessa viene sviluppata. Ogni prova è sistematicamente registrata, così da avere sempre materiale da "studiare". Per ultimo, molto forte è la componente 'tribale', 'rituale' del gruppo. Importante per noi è il suonare per e con le persone che ascoltano, così da creare un discorso che sia a doppio senso, in modo da far sentire partecipe chiunque del nostro stato d'animo e della nostra musica".
Tale voluta frammentarietà genera, quindi, un piacevole eclettismo: se A****i, Fleek rin, o l'eccellente Journey on the foot of possono far pensare all'incedere implacabile dei Neu!, una traccia come Aaaaa evoca la Kosmische musik classica; con The healing song ed Esparianto, invece, non prive di screziature blues, siamo già in territorio di nuova psichedelia d'area statunitense, nei pressi di Subarachnoid Space o Bardo Pond.
L'augurio è che i Pik, in futuro, dilatino ulteriormente le loro partiture, rinunciando definitivamente alla costrizione della forma canzone, in linea, peraltro, con le loro direttive artistiche.
Per maggiori informazioni http://psichomotricity.bandcamp.com e su Facebook.
Subject Esq. e Sahara sono in realtà un unico gruppo, originario di Monaco. Il cambio di nome fu dovuto, pare, ad una vicissitudine contrattuale con la CBS. I Nostri si rivelano subito per la felicità dell'esecuzione e la complessità delle partiture: nelle loro tracce rivivono gli eroi di Canterbury (con accenni jazz rock), gli Yes, i Genesis (i primi King Crimson e i Jethro Tull, allegria!); non si avverte, tuttavia, alcuna pesantezza derivativa, anzi tali elementi sembrano di prima mano. Subject Esq è già un eccellente album: Giantania (anche in versione lunga, dal vivo), Alone, What is love le punte. Il successivo Sunrise vanta, oltre a Marie Celeste, la suite eponima (27'12''), un piccolo capolavoro quasi misconosciuto in cui ognuno si divertirà a ritrovare le influenze succitate. For all the clowns, nonostante alcune concessioni alla maniera del progressive più facile e disteso, coronerà degnamente (con l'ottima For all the clowns, The mountain king, Dream queen) la traiettoria del gruppo di Monaco. Fossero nati oltremanica i loro lavori figurerebbero regolarmente nelle discoteche di tutti gli appassionati.
Da sentire subito.

Subject Esq.: Michael Hofmann, voce, flauto, sassofono; Alex Pittwohn, voce, chitarra, armonica; Harry Rosenkind, batteria, percussioni; Peter Stadler, tastiere; Stefan Wissnet, voce, basso; Paul Vincent, chitarra; Franz Löffler, viola.
Sahara: Hennes Hering, tastiere; Michael Hofmann, voce, fiati, tastiere; ; Alex Pittwohn, voce, chiatrra, armonica; Harry Rosenkind, batteria, percussioni; Stefan Wissnet, voce, basso; Nick Woodland, chitarra; Günther Moll, chitarra.



giovedì 19 aprile 2012

Sunn 0))) - ØØ Void (2000)/Flying of the Behemoth (2002)


Greg Anderson (chitarra) e Stephen O'Malley (basso, già chitarrista dei Khanate) sono i Sunn 0))), ulteriore giro di vite alla già estrema e plumbea rarefazione degli Earth.
Come notammo a proposito del gruppo di Dylan Carlson, tali suoni (che un Linneo musicale farà discendere dai Black Sabbath sino ai Melvins e, appunto, agli Earth) nascono da lacerti di topoi rock (un particolare riff) isolate, dilatate ed amplificate sino alla negazione del senso originale, ed alla conseguente trasmutazione in un raggelante rumore di fondo nichilista, intessuto di feedback e droni.
Zero zero void si ripartisce equamente fra quattro composizioni di circa quindici minuti, monocrome e dilavate da qualsiasi riferimento sovrastrutturale (cascami da film dell'orrore, liriche di qualsiasi genere, accenni melodici …). Non è musica per esseri umani; se lo è, li prepara da un livello esistenziale altro: la potremmo definire estasi nera. Nel fenomeno estatico classico il soggetto è isolato dal mondo circostante e viene assorbito da un'unica emozione assoluta, pregna di gioia profonda e addirittura voluttuosa; la musica dei Sunn 0))), colla sua cupissima uniformità, taglia sì l'ascoltatore dalla realtà usuale, ma lo predispone ad uno stato quasi autistico, in cui l'animo, chiuso ad ogni sussulto emozionale, presente l'inutilità della realtà, pantomina insulsa.
L'entusiasmo del mistico che ritorna dalle sfere superiori è qui mutato nel sentimento opposto, una sorta di nirvana nero, specchio della malattia dell'animo dei nuovi tempi (davvero infernali).
Flying of the Behemoth riguadagna qualche connotazione riconoscibile, inclusi certi triti stilemi doom (Behemoth è la bestia del libro biblico di Giobbe); Bow 1 e Bow 2 sembrano la colonna sonora di un horror d'avanguardia (ad esempio Begotten, a cui l’incappucciato duo rimanda figurativamente); le restanti tracce formano un blocco a parte (di circa trenta minuti), degno del precedente lavoro, e, come quello, segnato da riff  pesantissimi, privo di speranze e sussulti. 
Una musica irriducibilmente non empatica, scritta per razze inumane o per l'umanità che si appresta a superare l'ultima linea d'ombra, quella delle emozioni. Un incubo o la descrizione di qualcosa che è già tra noi.



martedì 17 aprile 2012

American punk-hardcore 1980-1986 vol. 8 (New York) - 1^ parte/2^ parte



NEW YORK

Agnostic Front - Friend or foe (1983)
Agnostic Front - United blood (1983)
Agnostic Front - Victim in pain (1984)
Antidote - Life as one (1983)

Antidote - Real deal (1983)

Armed Citizen - Make sense (1983)

Armed Citizen - Make of it all (1983)
Beastie Boys - Beastie (1982)
Beastie Boys - Riot fight (1982)

Beastie Boys - Transit cop (1982)

Betrayed - Betrayed by you (1982)

Betrayed - Self oppression (1982)

Bitter Uproar - Blood sucking freaks (1983)

Bitter Uproar - For God and country (1983)
Bloodclot! - People talk (1982)
Bloodlust - Coney Island massacre (1985)
Borscht - Enemy (1984)
Broscht - Suburbia (1984)
Butch Lust and the Hypocrites - Smashed rats (1982)
Cause for Alarm - Parasite (1983)

Cause for Alarm - Time will tell (1984)

Cracked Actor - Nazi school (1981)

Cro-Mags - Don't tread on me (1982)

Cro-Mags - Street justice (1986)

Cro-Mags - World peace (1984)
Crucial Truth - Agent orange (1982)
Crucial Truth - White power man (1982)
Dead Virgins - No cause for concern (1983)
Dead Virgins - Rape Capitol Hill (1983)
Disorderly Conduct - Slam dance (1984)
Disorderly Conduct - We can't care (1984)
Even Worse - Contaminated waste (1982)
Even Worse - Old new one (1982)
Even Worse - Rats on fire (1982)
False Prophet - Banana split republic (1984)
False Prophet - Taxidermist (1982)
Fathead Suburbia - The masses (1983)

Fiends - Asian white (1982)

Frontline - --- (1982)

Frontline - Front line (1983)

Frontline - New rose (1982)

Heart Attack - God is dead (1981)
Hose - Dope fiend (1982)
ISM - A7 (1983)

ISM - Moon the moonies (1982)

Kraut - Abortion (1982)

Kraut - Last chance (1982)

Krieg Kopf - State aid (1986)

Krieg Kopf - Warhead (1985)
Ludichrist - God is everywhere (1986)
Ludichrist - Tylenol (1986)
Major Conflict - NYC (1984)
Misguided - Doomsday (1981)
Misguided - Individual (1982)
Murphy's Law - California pipeline (1986)
Murphy's Law - Quest for Herb (1986)
Murphy's Law - Skinhead rebel (1986)
Nihilistics - Here and now (1982)
Nihilistics - Kill yourself (1982)
Nihilistics - You're to blame (1982)
No Control - Johnny (1984)

No Thanks - Are you ready (1983)
No Thanks - Parties over now (1983)
NYC Mayhem - We stand (1986)
Reagan Youth - Anytown (1985)
Reagan Youth - Reagan Youth (1982)
Reagan Youth - USA (1984)
Savage Circle - Hardcore rules (1982)

Savage Circle - Kill corps (1983)

Savage Circle - Kill yourself (1982)

Sheer Terror - Fashion fighter (1985)

Sheer terror - Rome song (1985)

Shok - No hope (1985)
Sick of It All - GI Joe head stomp (1986)
Sick of It All - Pushed too far (1986)
Squirm - Fuck you Brooke Shields (1982)
The Abused - Drug free youth (1983)
The Abused - Loud and clear (1983)
The Almighty Seizure - Socialcide (1983)
The Mad - I hate music (1981)
The Mob – F.A.S:T. (1982)

The Mob - Hit 'n' run (1982)

The Mob - Step forward (1983)

The Stimulators - Crazy house rock (1982)

The Stimulators - Dancing in the front lines (1982)
The Stimulators - Loud fast rules (1980)
The Young and the Useless - Young and useless (1982 – live)

The Young and the Useless - Young and useless (1982 – studio)

Th'Influence - Hoodlum (1982)

Trip - Blind ignorance (1984)

Trip - Pac man (1984)

Ultra Violence - No help from up above (1983)
Ultra Violence - Soldier in the jungle (1986)
Undead - In 84 (1984)
Undead - Social reason (1982)
Unjust - Cannibals (1985)
Urban Waste - Police brutality (1983)
Urban Waste - Public opinion (1983)
UV - I don't wanna work (1983)
Virus - Peace of mind (1984)
Virus - Rhetoric (1984)
Warzone - The real enemy (1986)
XKI - I hate everything (1983)
Youth of Today - Standing hard (1985)
Youth of Today - Take a stand (1985)
Youth of Today - Wake up and live (1985)


domenica 15 aprile 2012

Steve Hillage – Fish rising/L

Gli Uriel (formazione pre-Egg), i progetti Khan ed Arzachel, collaborazioni con Clearlight, Kevin Ayers e Mike Oldfield, quindi i Gong: già questo poteva bastare al londinese Steve Hillage per campare di fama (meritata) per il resto della vita. Le prime due opere della sua carriera solista, tuttavia, perfezionarono quell'impasto libertario di space rock e progressive tipici delle formazioni in cui aveva militato, in special modo quello delle suggestioni galattico-orgasmiche di Daevid Allen; echi orientaleggianti, distese suite spaziali (in Fish rising collabora, alle tastiere, Miquette Giraudy, già con Todd Rundgren; in L lo stesso Rundgren), interpretazioni vocali sommesse da elfo fricchettone, improvvisi e deliziosi cambi di ritmo su cui Hillage innesta assoli estesi eppur mai invadenti, sono la stoffa rara e pregevole che materia i due piccoli capolavori.
Egli possiede la capacità di rendere fluide tutte le tracce e attraversarle con tocco leggero e apparentemente svagato; la costruzione musicale è così perfetta da passare inavvertita: non si è mai in grado di indicare un brano o una strofa particolarmente memorabili per l'esecuzione, ma sono l'impasto e l'atmosfera a cattivare complessivamente l'attenzione dell'ascoltatore, in netto contrasto con certe ostentazioni barocche degli anni Settanta, in cui ogni assolo sembra reclamare meccanicamente l'inevitabile ovazione.
A distanza di anni Fish rising (con la Solar musick suite) si fa preferire a L (con la Lunar musick suite); in quest'ultimo disco, infatti, uno stuolo di prestigiosi aiuti (Don Cherry, Rundgren e gli Utopia) e le rielaborazioni, pur ricche e caratterizzanti, di classici di Donovan (Hurdy gurdy man), Beatles (It's all too much), Byrds (Eight miles high) finiscono per attutire la miglior qualità di Hillage, ovvero la spontaneità e la tendenza a non occupare stabilmente il cono di luce dei riflettori come star riconoscibile.
Il 1976, peraltro, è anno di svolta ideologico; Hillage si preparava, forse, inconsapevole, al silenzio degli Ottanta e alla svolta trance-ambientale di System 7, nei Novanta: con esiti che, pur non disprezzabili, attizzano però la nostalgia per il calore ingenuo dell'esordio.

venerdì 13 aprile 2012

Melvins - Melvins are heavier than a death in the family (best 1986-1997)

I Melvins, da Aberdeen, Washington State, (Buzz Osbourne, voce, chitarra; Dale Crover, batteria; Matt Lukin, basso, sostituito da Lori Black, Mark Deutrom, Kevin Rutmanis …) sono sempre fonte di grave imbarazzo; con loro la parzialità aumenta a dismisura. Quando occorre compilare un florilegio del 'loro meglio' l'imbarazzo di cui sopra diviene addirittura paralizzante: infatti ogni disco pare coincidere con il 'loro meglio'.
Naturalmente esagero.
Il fatto, incontrovertibile e, questo sì, imbarazzante, è che i Melvins sono simpatici. Simpatia: una categoria abbastanza inservibile nella critica, si dirà; e tuttavia, uno dei maggiori analisti della letteratura italiana, il filologo Gianfranco Contini, uomo serissimo, dalla prosa implacabile e terroristica, asserì che Matteo Maria Boiardo (1441-1494), il poeta cavalleresco ferrarese, era, udite!, “simpatico”. Ipse dixit: non ci esimeremo dall'usare, quindi, tale categoria impalpabile; anzi, forti di tale retroterra culturale, osiamo dire: i Melvins ci piacciono perché sono simpatici e lo sono:
perché da ventisei anni continuano ancora a trapanare timpani;
perché non hanno mai ceduto di un decibel a qualsiasi lusinga;
perché hanno influenzato quasi tutti i gruppi influenzabili;
perché hanno un batterista che aborre sistematicamente il quattro quarti;
perché la copertina col cucciolo a due teste è davvero molto simpatica;
perché si mangiano vivi tutti i best seller del grunge;
perché hanno avuto come bassista la figlia sciroccatissima di Shirley Temple;
perché sono amici di Jello Biafra;
perché hanno esaurito tutte le definizioni (sludge, slowhardcore, grunge-metal …);
perché Hog leg ha un inizio esilarante;
perché King Buzzo, un soldo di cacio coi capelli ravviati dall'aspiratutto, ha distorto ogni accordo potenzialmente distorcibile generando un Godzilla sonoro oltre il quale c'è solamente la sperimentazione e dietro cui si trovano solo i Black Sabbath che, a loro volta, ci stanno simpatici assai.
Questo che segue è il loro meglio di dieci anni, pesantissimo, e distillato, come conviene, molto lentamente.

giovedì 12 aprile 2012

Flop - Whenever you're ready (1993)


Quartetto di Seattle (Rusty Willoughby, chitarra; Bill Campbell, chitarra; Paul Schurr, basso; Nate Johnson, batteria), i Flop, come i Mr. T Experience, sono i portatori di un rock melodico e pericolosamente piacevole.
Diciassette canzoni, tre quarti d'ora, pochi attimi di cedimento; come spesso accade, di tutte le tracce rimane poco nella mente: a differenza dei californiani, però, non si ritrovano ritornelli memorabili né da memorizzare doverosamente, a parte Regrets. L'insieme è, però, irresistibile: Whenever you're ready potrebbe essere la colonna sonora di un Happy days aggiornato all'era dei PC. Il famoso video dei Weezer, Buddy Holly, in cui i musicisti interagiscono con i personaggi del telefilm ambientato a Milwaukee dice molto sull'operazione Flop: in essa convivono classiche tirate (The great valediction, Eat), energici rock altrettanto classici (En route to the unificated field theory, Julie Francavilla) e un'aria insistente di già sentito. Unica eccezione, la chiusura strumentale, Need retrograde orbit. Refrain, accelerazioni, brevi strofette, testimoniano di un gruppo che ha fatto tesoro della formula pop dei decenni passati e la cala nella realtà della nuova musica grunge, peraltro, al tempo, declinante e già pronta per le più ardite contaminazioni (ovvero per la riproposizione inesausta delle varianti d'una formula vincente). 
Un disco comunque notevole e che merita attenzione, assai utile da alternare agli ascolti più ponderosi; forse, al netto di certe studiate ruvidezze, l'operina è un'inconsapevole operazione nostalgica (già vista per la surf music riaggiornata dei Mermen); rivelatrice di un'America lanciata catastroficamente verso le glaciali distese della globalizzazione e, quindi, restia ad abbandonare la propria recente età dell'oro, gli anni Cinquanta.   

martedì 10 aprile 2012

Stereolab - Space age bachelor pad music (1993)/Transient random noise bursts with announcements (1993)

Formati a cavallo fra Ottanta e Novanta (Laetitia Sadier, voce; Tim Gane, basso; Sean O'Hagan, chitarra; Mary Hansen, tastiere; Duncan Brown, basso; Andy Ramsay, batteria), gli Stereolab, sotto le spoglie di una psichedelia nostalgica e passatista, celano una lodevole opera di sincretismo musicale, dai Velvet Underground ai Neu!. Frutto di una cosciente manipolazione intellettuale o la fortuita congiura di abilissimi rielaboratori?
Sul disco maggiore, Transient random, i debiti si fanno subito evidenti in I'm going out my way in cui l’acido e lo psichedelico promanano, abbastanza sfacciamente, da Sister Ray; l'incedere di Jenny Ondioline (18'08'') pare, invece, uno scampolo di lusso delle sessioni di registrazione di Neu 2, in cui il metronomo percussivo di Klaus Dinger inaugurava il disco con la paradigmatica Für immer, maestra, ancor più di Hallogallo, di color che sanno: la batteria, inchiodata stoicamente al motorik krautrock, e la chitarra ossessionante, debitrice di Rainer Rother, sono le protagoniste dei questo piccolo classico; il mantra vocale della Sadier e le tastiere anni Sessanta non sono che orpelli fascinosi di questa percussività ipnotica (l’attrattiva retrò sarà una formula costante dei britannici più intelligenti, da Electrelane a Portishead). Omaggio o furbizia? Se è vero, come scrisse Thomas Stearns Eliot che “I poeti immaturi imitano; i maturi rubano”, possiamo dire che gli Stereolab stanno fra color che son sospesi: imitano, ma riescono sicuramente a creare qualcosa di nuovo e di piacevolmente inaudito.
Il precedente Space age bachelor pad music si attesta su toni più distesi ed ordinari. Il pezzo più interessante è We’re not adult orientated, proposto in due versioni, studio (6’07’’) e live (3’35’’): la seconda versione, più veloce, sembra una variazione della prima tanto che, entrambe, ricordano le accelerazioni e decelerazioni di Super in Neu 2 …