I Cluster: chi sono mai costoro? Come il Carneade di Don Abbondio il loro nome aleggia nell'aria senza che si possa, dai più, dare consistenza a questo flatus vocis. Invece basta smuovere questo sasso, apparentemente secondario nello svolgimento del krautrock, per veder formicolare i migliori nomi della musica tedesca d'avanguardia degli anni Settanta. Nomi che, forse, dicono molto a pochi e viceversa (a pochi, ai soliti pochi o ai pochi felici, happy few?).
Alla fine degli anni Sessanta Hans-Joachim Roedelius, Dieter Moebius e Conrad Schnitzler formano i Kluster: dopo tre notabili album, registrati nel giro di pochissimo tempo, Schnitzler abbandona i due che, con l'ausilio di Conny Plank (dapprima compositore, poi soprattutto produttore) si derubricano in Cluster. Cluster I, Cluster II, Sowiesoso, Zückerzeit sono i parti del nuovo ensemble, lavori fondamentali della nuova musica germanica. Siamo appena al 1976: i Nostri lavorano veloci; nel biennio 1974-1975 s'erano uniti a Rainer Rother, co-fondatore dei Neu!, licenziando, come Harmonia, Musik from Harmonia e Harmonia deluxe; il nuovo terzetto si ritroverà in studio assieme a Brian Eno (suggestionato dall’ascolto di Zuckerzeit) e registrerà alcune tracce che vedranno la luce solo vent'anni più tardi in Tracks and traces. Costretto Rother, per obblighi contrattuali, a rifluire nei Neu!, la triade superstite Roedelius-Moebius-Eno entrerà, finalmente, negli studi di Conny Plank (ormai in veste di produttore) per registrare, in due anni, altrettante opere, robustamente supportata da alcuni strumentisti d'eccezione, Holger Czukay, dei Can, al basso, Asmus Tietchens alle tastiere, Okko Bekker alla chitarra.
La collaborazione di Brian Eno porterà visibilità al duo tedesco, anche se i risultati artistici saranno ineguali. Brian Eno riuscirà a smussare gli spigoli elettronici più puntuti della coppia, anche grazie alla condensazione in brevi quadri strumentali: Für Luise (affine agli strumentali di Heroes) o la più facile Die Bunge, ad esempio, vanno certamente ascritte all'inglese, mentre le tastiere di Steinsame, quasi un sottofondo per una ieratica recitazione di Nico, o le rielaborazioni al sitar di One ricadono, per l'atmosfera semplice ed evocativa, nella sfera d'ispirazione di Roedelius e Moebius. Osiamo dire che, in tale album, diviene palpabile (e ciò implica un giudizio di valore, beninteso) la differenza fra sensibilità continentale ed insulare: ascendenti giganteschi ed ineludibili, culturali prima che musicali, non possono che necessariamente trapelare; d’altra parte basta ascoltare, uno di seguito all’altro, le vignette elettroniche di Zuckerzeit e Another green world.
Nel successivo After the heat il corno ispirativo di Eno prende il sopravvento; egli interviene vocalmente in tre notevoli canzoni, The belldog, Broken head e Tzima N'arki (in cui i testi King's lead hat girano al contrario), e l'intera opera suona come una sua creatura. Ne guadagnano amalgama e facilità d'ascolto (Base & apex, Foreign affairs), anche se i bozzetti ambientali e pianistici restanti scivolano via trascurabili.
Il materiale verrà variamente raccolto a metà degli anni Ottanta in tre diversi lavori: Begnegungen I e II e Old land.
most heavy duty super badass! thanks!
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