Il Futurismo fu un movimento autenticamente rivoluzionario ed anticipatore. Affermo questo prescindendo dai suoi risultati estetici, spesso mediocri, alcune volte inesistenti (a parte gli alti esiti della grafica e della pittura). Esso fu, innanzitutto, negli anni Dieci, una reazione sincera e clamorosa all’Italia millenaria - a ciò che, pur con qualche equivoco, possiamo chiamare il genio del popolo italiano. Le radici greco-romane, il cristianesimo e il cattolicesimo poi, la retorica, la compostezza classica, l’antinazionalismo, l’ambiguità, il provincialismo antieuropeo, l’accademismo vennero riconosciute e combattute dai Futuristi come caratteri deleteri e millenari dell’italianità; viceversa, l’esaltazione della guerra, della velocità, della macchina, l’antimonarchismo, l’anticlericalismo (strepitoso il neologismo ‘svaticanamento’) rappresentarono il ricostituente da mandare in circolo nel corpo sfinito della nazione. Se vogliamo ricercare la radice della dialettica profonda fra Futurismo e Italia possiamo renderlo plastico nella contrapposizione fra Francesco Petrarca e Filippo Tommaso Marinetti: il primo è l’epitome dell’Italia premoderna, agreste e pastorale, che ha lentamente distillato il miele della retorica classica e la dolcezza del Cristianesimo, polito la figura muliebre come un marmo d’ispirazione classica, simbolizzato la Natura, creato un monumentum aere perennius da venerare nel buio delle biblioteche sino ad assurgere a simbolo della Roma-Italia trimillenaria; il secondo disprezza proprio tale carattere eterno, brucia la retorica con le sinestesie più brutali, aborre il sentimentalismo (“Uccidiamo il chiaro di luna!”), vilipende la donna, non sa che farsene della Natura (“La benzina è divina!”), agita le folle, gode dell’architettura delle nuove Metropolis, s’inebria alla distruzione delle testimonianze di un passato ridotto a rovine venerande, gode del tumulto e dei terremoti, esalta l’inorganico e l’acciaio delle bombarde della Grande Guerra. Non a caso uno dei maggiori nostalgici del premoderno, Pier Paolo Pasolini, custode del bello italiano e testimone dolente dell’avanzata turbocapitalista (lancinanti le sue inquadrature in Mamma Roma in cui il cemento dei nuovi quartieri dormitorio fa da sfondo ai ruderi romani), riserva parole omicidiali a Marinetti: “Non esiste nella storia della poesia italiana un facitore di versi più povero di lui … la sua enigmaticità è semplicemente dovuta alla sua mancanza di intelligenza … Marinetti costringe … a prendere in esame la presenza di uno stupido là dove tutto è prodotta dall’intelligenza … [la sua è] cultura orecchiata attraverso una generica esperienza cosmopolita”. Difficile non notare nel Futurismo tale componente cialtronesca. Lo stesso Marinetti, peraltro, abiurerà gran parte del suo programma rifugiandosi nel seno del Fascismo di governo; è indubbio, però, che, per la prima volta in Italia, l’estetica tradizionale venne attaccata alle radici: in questa voglia furente di liquidazione, condotta con gusto assolutamente postmoderno, sta il fascino dell’intero movimento (a cui mancano, come detto, esiti artistici davvero rilevanti).
Il maggior rappresentante del Futurismo musicale fu Luigi Russolo (1885-1947), già pittore di buon livello e personaggio disinteressato e modesto. Nel suo Manifesto dell’11 Giugno 1913 egli chiarifica la sua posizione: “Ecco dunque la necessità … di attingere i timbri dei suoni dai timbri dei rumori per la vita. Ecco … la sconfinata ricchezza dei timbri dei rumori … è necessario che questi timbri … diventino materia astratta, perché si possa foggiare con essi l’opera d’arte … e l’Arte dei Rumori da me ideata non vuole certo limitarsi a una riproduzione frammentaria e impressionistica dei rumori della vita”. Egli intendeva, perciò, arricchire la tavolozza musicale e trasformare il nuovo rumorismo della vita (post)moderna in sonorità universali*. Egli divise il rumore in sei famiglie: 1. Rombi, tuoni, scoppi, scrosci, tonfi e boati 2. Fischi, sibili, sbuffi 3. Bisbigli, mormorii, borbottii, brusii, gorgoglii 4. Stridori, scricchiolii, fruscii, ronzii, crepitii, stropiccii 5. Rumori percussivi su legno, metalli, pelli, pietre, terrecotte 6. Voce di animali e di uomini: gridi, strilli, gemiti, urla, ululati, risate, rantoli, singhiozzi. Ogni rumore avrebbe avuto il suo strumento, l’intonarumore (raccolse poi i vari intonarumori nel rumorarmonio – una sorta di armonium). L’elenco degli intonarumori ricorda un catalogo fantastico di Rabelais: ululatori, ronzatori, sibilatori, crepitatori, frusciatori, gracidatori. Esiste un solo 78 giri (La Voce del padrone serie nr. R6919, realizzato grazie al fratello Antonio, sostituto di Arturo Toscanini) che documenta l’esecuzione degli originali intonarumori; due brevi registrazioni, Corale e Serenata.
Ancora una volta l’esiguità del lavoro prodotto sembrò dar ragione ai detrattori, ma lo spirito del musicista veneto anticipò, di fatto, la sostanza e l’ideologia delle avanguardie. In esse vivono anche le sue intuizioni.
* John Cage fu uno dei primi a interessarsi del ‘bruitismo’ di Russolo, scindendo, intelligentemente, il suo nome da quello di Marinetti. Il primo studio di un certo rilievo sarà quello di Fred K. Prieberg in Musica ex machina. Da consultare anche i recenti Luigi Russolo, vita e opere di un futurista, 2006 a cura di Franco Tagliapietra e Anna Gasparotto; Luigi Russolo: la musica, la pittura, il pensiero. Nuove ricerche sugli scritti a cura di Tagliapietra, Gasparotto e Giuliano Bellorini.
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RispondiEliminaSegnalazione preziosissima e molto molto interessante!
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