martedì 18 settembre 2012

Musique concrète: l'opera di Pierre Schaeffer 1^ parte/2^ parte

Noi abbiamo chiamato la nostra musica ‘concreta’ poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in prestito da qualsiasi materiale sonoro – sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza l’aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale”. Questi gli intenti, apparentemente chiari, di Pierre Schaeffer (1910-1995), ingegnere del suono presso la Radio Nazionale Francese: il suo Etude aux Chemins de Fer, del 1948, riproduce rumori d’una stazione, di treni in corsa, fischi di capostazione, ritmi di vagoni*; il pezzo (1’56’’), musica concreta pura (musique concrète), rende subito evidente il controsenso di tale approccio – controsenso che ricorda la carta geografica di Jorge Luis Borges: talmente perfetta che coincideva con il territorio che voleva rappresentare. In realtà Schaeffer si ritrovò ad affrontare gli stessi problemi di Luigi Russolo trent’anni prima, ovvero quello di celare la causa immediata del suono, denaturarlo tanto “da farlo dimenticare del tutto. Non si devono udire fischietti, rumori d’automobile, pianoforte, campane, ma soltanto l’irriconoscibile derivazione del suono fondamentale”**. Nelle successive composizioni, infatti, accanto a suoni concreti puri, troveranno posto oggetti sonori o ritmi particolari adeguatamente isolati, raddoppi di passaggi acustici, aumenti e diminuzioni della velocità di registrazione (dimezzamento o raddoppio delle ottave) oppure la denaturazione (o snaturamento) degli strumenti tradizionali, in special modo del pianoforte (modificando i martelletti, inserendo oggetti fra le corde ...). Non siamo lontani dalle teorie di Russolo coi suoi pioneristici intonarumori: nel 1954 il lettrista Lemaître rimprovererà proprio a Schaeffer la mancanza di un dovuto omaggio al suo predecessore; aggiungendo: “… voglio … trarre il pittore-musicista italiano dalla sua ingiusta tomba e rendergli il posto che merita nel paradiso dei genî musicali”. A differenza del Nostro, il compositore francese si gioverà, tuttavia, di notevoli avanzamenti nella tecnologia (magnetofono a tre piste, il fonogeno – magnetofono a dodici velocità di nastro, di sua invenzione – e il morfofono, attraverso cui “si può trasformare il suono di un violino in quello di uno strumento a percussione, un accordo di pianoforte in un accordo d’organo, un fruscio del nastro in un secco, duro suono di percussione”***).
Quali furono in ultima analisi i risultati estetici di Schaeffer? Egli, probabilmente, ingenerò una nuova metafisica: ascoltate l’Orphée. In esso abbondano gli accenti ctonii e cupi, plumbee risonanze d’un mondo altro – una terra aliena dove Orfeo si avventura per strappare la sposa Euridice dagli dei della morte. Lo snaturamento della strumentazione tradizionale è al servizio di una sensibilità nuova in cui la compostezza classica è frantumata in quadri evocativi ed angosciosi, memori delle deformazioni espressioniste e dodecafoniche. Come scrisse Henri Bergson, è la tecnica, ampliando i limiti conosciuti, ad esigere dall’uomo un corrispondente incremento di spiritualità, una rinnovata visione del mondo. Una teoria soddisfacente; mi permetto, però, di enunciarne una diversa: i nuovi esperimenti sonori erano necessari ad un genere umano già mutato dalla modernità. Le nuove estensioni dell’uomo, le macchine, avevano già operato una modificazione, più o meno consapevole, del gusto medio; la quotidianeità veniva costantemente frantumata dai nuovi mezzi di comunicazione, dalla velocità, dai rumori (auditivi e visivi) incessanti delle metropoli: i tentativi di Schaeffer acconciarono un'estetica per tale novello Adamo.

* La locomotiva compare nel primo film della storia, dei Lumière (18895). Anche in Chaplin o Jarmusch essa è simbolo (malevolo) di progresso.
** Fred K. Prieberg, Musica ex machina, 1963.
*** Ibidem.


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