giovedì 3 ottobre 2013

John Fahey - America (1971; 1998 reissue)


Musica assolutamente evocativa e priva di notazioni descrittive. Folk strumentale (solo chitarra) la cui sostanza intima coincide con l'anima profonda di una nazione. Un'opera che possiamo tentare di comprendere solo abbandonandoci all'ascolto.
I luoghi più appartati, i panorami solitari, la natura imponente, presso cui gli uomini bivaccano reverenti, il senso della frontiera, del limite da varcare, l'immensità degli orizzonti, tutto questo, (ridicolizzato in Cinemascope e reso goffa maniera dall'industria hollywoodiana), vibra in queste tredici tracce. L'album è la riedizione del disco del 1971 che contemplava solo quattro pezzi (tra cui Voice of the turtle, qui assente).
Molto è stato scritto su Fahey mettendone in risalto le radici bluegrass o lo spirito naïf (il cosiddetto primitivismo), una sorta di innocente predisposizione capace di elaborare i temi della propria terra sotto una luce immediata.
A mio avviso America è il rendiconto emozionale del viaggio in una terra incontaminata. E' l'America prima dell'arrivo degli invasori occidentali. Questo il fascino, altrimenti inspiegabile, della nostalgia presente nel disco.
Vi è un bellissimo film di Terence Malick, Il nuovo mondo, che narra dell'arrivo degli inglesi sulle coste della Virginia, nel 1607. L'avventuriero britannico, John Smith, viene catturato dalla tribù dei Powhatan; conosce una bellissima adolescente, Pocahontas; grazie a lei scampa la morte. Fra i due sorge una storia d'amore, forse platonica. La natura, incontaminata, inesauribile, offre una quinta maestosa; il cielo, illimitato, la sua protezione. Una vicenda a noi sconosciuta, ma definitivamente universale.
Due figure, John Smith e la dolce Pocahontas, che si muovono lente e mute su uno sfondo immacolato, lungo una terra ancora innominata e senza tempo. Questo è il vero sogno americano, la patria perduta e rimpianta, l'Arcadia che commuove negli accordi tintinnanti del bardo del Maryland.   

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