"La Città della Notte era come un esperimento dissennato di darwinismo sociale, concepito da un ricercatore annoiato che tenesse un pollice in permanenza sul pulsante dell’avanti-a-tutta-velocità. Smetti un attimo di farti largo a spintoni, e affonderesti senza lasciare traccia; muoviti un po’ troppo velocemente, e finiresti per spezzare la fragile tensione superficiale del mercato nero; in entrambi i casi spariresti senza che di te rimanesse niente, salvo un vago ricordo nella mente di un infisso come Ratz, anche se il cuore, i polmoni o i reni avrebbero potuto sopravvivere per i serbatoi delle cliniche al servizio di qualche sconosciuto fornito di Nuovi Yen ... Era nello Sprawl adesso, quel calderone caotico di umanità dov’era casa sua ... lì, nella notte giapponese, i sogni arrivavano come il filo animato del voodoo, e lui urlava, urlava nel sonno, e si svegliava da solo nel buio, raggomitolato nella sua capsula in qualcuno di quegli alberghi-bara giapponesi, dalle stanze rimpicciolite all’essenziale, con le mani che artigliavano le piastre del letto, la gommapiuma temprata serrata tra le dita, cercando di raggiungere una consolle che non c’era ... adesso, dormiva negli alberghi-bara più economici, quelli vicini al porto, sotto la luce dei riflettori al quarzo che illuminavano i moli durante l’intera notte come enormi palcoscenici; là dove non si potevano vedere le luci di Tokyo a causa del bagliore del cielo televisivo, neppure la torreggiarne scritta della Fuji Electric Company, e la baia di Tokyo era una nera distesa in cui i gabbiani volteggiavano sopra banchi di bianca schiuma di plastica alla deriva. Dietro al porto si stendeva la città, le cupole delle fabbriche dominate dagli enormi cubi delle arcologie delle corporazioni. Il porto e la città erano divisi da una stretta linea di confine fatta di strade più vecchie, un’area che non aveva un nome ufficiale. La Città della Notte, con Ninsei nel suo cuore. Durante il giorno i bar di Ninsei erano chiusi e anonimi, i neon spenti, gli ologrammi inerti, in attesa, sotto il velenoso cielo argenteo".
William Gibson, Neuromancer, 1984
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