Quarantacinque tracce (quarantacinque) per una storia musicale che vanta solo quattro album, di cui solo un paio meritevoli d'esser ricordati; i curatori rappattumano, come al solito, qualche live e versione da 7'' o da Peel session per dilatare a due cd un'esperienza che ebbe la fortuna sfacciata di nascere ed affermarsi durante quel periodo ingenuo e irripetibile in cui vinili, musicassette e radio lasciavano frettolosamente il posto alle nuove televisioni commerciali specialistiche (MTV, Videomusic).
I primi video, i primi VJs consacrarono una nuova generazione pop che, con melodie ballabili o esangui linee chitarristiche post-punk, liquidava definitivamente, e in modo incruento, l'esperienza politicamente devastante del punk, dell'hardcore, del progressive e del folk autoriale.
Fra le legioni, diversificate in base al target, ecco gli Smiths, destinati al lato meno cialtrone del consumatore medio; anzi destinati al teenager consumer avveduto e responsabile (viva la pace, meat is murder, la fame dei bimbi etc etc); avveduto e responsabile poiché egli, nonostante tutto, resterà tale (consumatore) senza scocciare più tanto, rimanendo avido di prodotti (ideologici e commerciali, di MTV e dei signori che usano il mezzo MTV) e, in più, illuso di aver dato il suo contributo di progressista medio (destro, sinistro, centrista) alla causa del capitalismo compassionevole (vi ricordate il Live Aid? Le canzoncine angloamericane Feed the world et similia?).
Non vorremmo far torto al gruppo di Morrissey (Johnny Marr, chitarra; Andy Rourke, basso; Mike Joyce, batteria): The queen is dead, What difference does it make, Barbarism begins at home, That joke isn't funny anymore, How soon is now sono sempre piacevoli; a distanza di trent'anni, però, il brodo ha un retrogusto un po' annacquato, e, alla fine dei quarantacinque pezzi del best of, sembra ancor più scipito.
Manca il sale, la forza. Gli Smiths sono bravi, ma carini. O carucci. E fortunati. In seguito arriverà il diluvio Oasis, Blur, Verve: dovremmo forse essere più indulgenti, ma le responsabilità sono di chi vive le vicende in un dato momento storico. Al massimo potremmo concedere le attenuanti della sincerità, ma, ormai, alla sincerità ci credo poco anch'io.
Approfittiamo del post per un saluto a Morrissey, trasferitosi qualche anno fa nei dintorni di Roma, attirato da un amore bruciante, e a tutte le ammiratrici romane del gruppo (quasi sempre hipster, biondine e spilungone: lo so per certo).
Sacrosante parole : )
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