domenica 12 agosto 2012

New York prefers no(t) - No New York (1978)/N. Y. new wave (2003)

La frase di Bartleby, “I prefer not”, lo scrivano di New York, il suo rifiuto esistenziale di vivere può essere una chiave per comprendere l’ondata nichilista della no wave, di breve vita, ma irriducibile e influentissima; essa nacque schiacciata fra punk anglossassone e hardcore americano (e new wave propriamente detta; nascevano i favolosi Ottanta): la caratteristica precipua, però, non fu lo scontro diretto, il dileggio, le bambinerie a tavolino, ma una potente qualità anamorfica che deformava la musica, l’ambiente civile, l’ideologia dominante creando, a volte inconsapevolmente, un’immagine espressionista della realtà a loro contemporanea.
Con l’hardcore essi ebbero in comune lo straniamento indotto dalla vita metropolitana, un disagio diffuso dovuto al presentimento di un nuovo corso della vita americana intenta a liquidare gli ultimi residui della controcultura; rifiutarono, però, qualsiasi spontaneismo o frontismo; anzi, i loro suoni furono assolutamente mediati dall’intelletto, antitradizionali e antipopolari: in tal senso, antiamericani.
Come detto, la negazione di Bartleby può essere considerata un ghiotto antecedente, ma va ridimensionata a ipotesi complementare. Il cuore dello spaesamento (déracinement) è da ricercare nel cuore della comunità ebraica di New York: Lydia Lunch (Lydia Koch), James Chance (James Siegfried), Alan Vega (Boruch Alan Bermowitz), China Burg (Connie Burg), cantante e chitarrista dei Mars, sono gli elementi di punta del fenomeno no wave; essi, forse, ritrovarono nel proprio sangue il sentire degli ebrei europei di inizio secolo, dalla musica (Arnold Schoenberg, Alban Berg, Guido Adler) alla psicologia (Sigmund Freud, Alfred Adler) alla pittura (Georg Kaiser, Carl Einstein, Chaim Soutine …) alla letteratura (Arthur Schnitzler, Karl Kraus …); tutti artisti o studiosi che, illustrando il caos o la frantumazione del reale, presentivano la dissoluzione della comunità europea. E se i no wavers non fossero stati che i profeti della fine della nuova Gerusalemme d’Israele, la Nuova York d’America? O meglio: la fine di ciò che l’America ha cercato di far credere d’essere sino ad allora: libertà ed opportunità per tutti? Apocalittici e atonali? Perché no.
La prima compilazione (No New York) è celeberrima: fu assemblata da Brian Eno e comprende sedici composizioni, quattro per ciascuno dei quattro artisti presenti: Arto Lindsay (DNA), Lydia Lunch (Teenage Jesus & the Jerks), James Chance (The Contorsions), Mars.
La seconda compilazione include, oltre ai summenzionati, i Suicide e una donna di cui è impossibile non innamorarsi, la francese Lizzy Mercier Descloux (1956-2004), da sola e in coppia col chitarrista Didier Esteban (formavano i Rosa Yemen): le sue canzoncine sghembe in terra americana, ma anche la susseguente evoluzione in un funky-sinth-pop-dance sono da ricordare e rivalutare.

2 commenti:

  1. Stimolante e audace quest'ipotesi di connessione tra no wave ed ebraismo!

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    1. Ebraismo europeo di New York ...
      Germania, Austria, Francia ...

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