Un altra meravigliosa meteora durata lo spazio di due album.
Uno sfrecciare fulmineo non infrequente alla fine degli anni Ottanta. I californiani Red Temple Spirits (William Faircloth, voce; Dallas Taylor, chitarra; Dino Paredes, basso; Scott McPearson, batteria) attinsero con devozione ai padri psichedelici (il nome deriva da una canzone di Roky Erikson, Two headed dog/Red temple prayer), ma ne attenuarono la carica acida preferendo officiare preghiere da sacerdoti lunari. Tutte le canzoni si caratterizzano, anche nel titolo, per una predisposizione ad uno spiritualismo languido; al lato morbido e notturno, e dilatato, del sogno: Dreamings ending, Moonlight, Liquid temple, Lost in dreams, Dark spirits.
La cosa più incredibile è che i Red Temple abbiano raggiunto tale perfezione atmosferica (alla base precipua del loro fascino) con una formazione ridotta all'osso; parte del merito va attribuito alle cadenze impartite dalla voce di Faircloth, uno dei tanti sciamani che la California ha battezzato dagli anni Sessanta in poi.
L'unico episodio incongruo, e pleonastico, è la cover omaggio di The Nile song dei Pink Floyd, ma si può soprassedere.
Il precedente lavoro di Fairclogh, Wide awake and dreaming, coi Ministry of love di Mark Nine, anticipa le ballate atmosferiche di Dancing senza riuscire a toccarne la forza visionaria e melodica.
Veramente, questo resta uno dei pochi blog che si possono ancora frequentare senza leggere le solitissime 4 frasi fatti e i soliti nomi.
RispondiEliminaOttimo, e viva lo spiritualismo surf californiano!
Abbasso le frasi fatte e i soliti nomi pure da cinema, letteratura, televisione, giornalismo, arte, teatro e via enumerando. Specie in Italia.
EliminaL'importante è essere spontanei. Sempre.
RispondiEliminaQuesto è vero. Inutile fingere che qualcosa ti piaccia o non ti piaccia secondo le mode o le convenienze.
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