Uno dei capolavori della nuova frontiera Crimson.
Come accade nei primi due lavori del gruppo il primo brano è l'epitome dell'album, e ne racchiude il significato profondo, mentre il secondo addolcisce la carica eversiva con un soffice romanticismo abbastanza comune nel primo progressive inglese.
Red, la prima traccia, è quasi inclassificabile; se ne avverte, al di là dell'irruenza e dell'empito strumentale, la potenza nichilista. Il suono è aspro, ma come può esserlo un'entità postmoderna, a mezzo fra macchina e umano: i Crimson si configurano quale power trio del nuovo millennio (dopo il licenziamento di Cross erano, di fatto, ridotti a tre: Robert Fripp alla chitarra; John Wetton alla voce e al basso e Bill Bruford alla batteria), come se l'hard rock dei primi Settanta fosse stato razionalizzato e reso alieno dal fuoco della creazione con una fredda e calcolata lobotomia.
Come detto, non manca il lato romantico e sognante (tributario della voce di Wetton); nella finale Starless i due corni dell'ispirazione convivono: sino al minuto 4'28'' domina Wetton, quindi sopravvengono gli spettrali accordi oltreumani di Fripp a gelare l'empatia: uno stillicidio che si trasforma in sarabanda e quindi riprende, nell'ultimo minuto, il tono iniziale enfatizzandolo sino a un turgore quasi epico.
Red si spinge in territori psicologici poi esplorati, con programmatica decisione, dalla no wave americana o dall'avanguardia dei Throbbing Gristle.
Mamma mia! Disco pazzesco anche dopo mille ascolti :)
RispondiEliminaVero. Un esperimento a cui sto sottoponendo parecchi miei ascolti dell'adolescenza. Qualcuno regge alla grande, altri meno.
EliminaImpeccabile il disco, impeccabile la recensione.
RispondiEliminaGrazie amico.
Elimina