Questo è un ottimo album.
Gustato nell'edizione deluxe aggiunge, al piacere dell'ascolto, la piena soddisfazione dell'ansia da completezza.
Eraser è eccezionale, e così almeno la metà dei brani (The downward spiral, Hurt); l'elettronica straziata si piega a mostrare il dolore del mondo postmoderno, asettico e anempatico. Perfetto.
Solo mi chiedo: non sarà che tale classificazione critica, assurta a luogo comune, surclassi la nostra considerazione estetica?
Mi spiego meglio: non sarà che ogni volta che s'incontra industrial music di tal fatta, accelerata o rallentata psicopaticamente, improvvisamente urlata, irta di strappi, risonante di clangori, si sia istintivamente portati (sulla scorta del giudizio precedente) a parlare di prodotto rimarchevole? Pur in assenza di qualsivoglia qualità artistica.
Non sarà, insomma, che il concetto faccia premio sulla semplice bellezza delle tracce?
L'arte postmoderna, ad esempio, si regge su tale patto fra autore e fruitore. Prendiamo un caso preclare: la merda d'artista di Piero Manzoni. Manzoni defecò in novanta barattoli; li numerò; li espose; li vendette. Il patto era: in tal modo io significo la mercificazione dell'artista; oppure la creazione profonda dell'artista; oppure la provocazione insana; o la stupidità del compratore; o del critico; o la fine dell'arte in quanto tale.
Una ridda di interpretazioni si scatenarono: duchampiano, neodadaista et cetera. Ciò che era quello che era (merda in una scatoletta di alluminio), divenne, grazie alla mediazione concettuale, qualcosa d'altro: arte insomma, degna di considerazione estetica, gonfia di sottintesi metaforici, venerabile persino; e foriera di bei soldi, alla fin fine.
Nessuno a chiedersi: tale oggetto che si sottopone al mio giudizio è o non è bello?
E spesso anche noi ci cadiamo: allettati dall'aura maledettista di un disco, sedotti dalla sua qualità apocalittica, inebriati dalle folate millenariste ritmate da instancabili percussioni sataniche, finiamo per accettare prodotti francamente inascoltabili.
Non è il caso di Trent Reznor e compagnia, s'intende.
Non mi ha mai convinto. Pur facendo buone cose a livello musicale, ho sempre pensato che lui fosse un falso, uno messo lì, pompato da una major nel tentativo di creare un nuovo trend subito dopo il tramonto del grunge.
RispondiEliminaLa seconda parte di questo album è molto bella.
EliminaConsiderando la loro discografia completa (e tipi come Marilyn Manson + accalappiafessi minori) posso darti ragione.
Ti consiglio questa intervista:
RispondiEliminahttp://thequietus.com/articles/14600-trent-reznor-interview-coil-nine-inch-nails
In breve: "volevo fare roba alla Test Dept ma non ero abbastanza bravo così ho scritto solo roba pop".