mercoledì 6 novembre 2013

Motörhead - The very best of Motörhead (2002)


Per Evil Monkey, blogger depresso

Succede, nella vita. La verità è quella che è, non quella che dovrebbe essere.
La condanna: il libero arbitrio, la facoltà di scegliere. Non la nostra: quella degli altri.
Se le volontà degli altri potessero acconciarsi alle nostre, ecco la felicità.
Ma questo non è dato all'uomo, condannato ai saliscendi della passione, agli andirivieni della fortuna.
D'altra parte se non fossimo eternamente e ineluttabilmente infelici non ci sarebbe bisogno della poesia e della musica.
Non ci sarebbe arte, in effetti.
E nemmeno Shakespeare, Klaus Schulze e Richard Wagner.
Se fossimo perfettamente, pienamente, felici, così felici da non avere sentore della nostra propria felicità, non esisterebbero nemmeno la guerra e la disperazione, concime dell'arte.
Niente Balthus, Bach, Kafka, gotico, espressionismo, fortificazioni, astuzie, storia, psicologia, culto della morte. 
E, incredibilmente, non ci sarebbero nemmeno i Motörhead, i tre canaglioni dall'aria truce e coatta, quella dei fascisti da circo, dei birraioli e degli attaccabrighe da quattro soldi.
Sarebbe una gran perdita? Forse no. Fatto sta che i Motörhead servono, come Black Sabbath, AC/DC, Van Halen, Iron Maiden (vado a decrescere ...) a curare il blues che, di solito, affligge i rockettari intorno alla metà della vita. Elementali, maleducati, trucidi, menefreghisti, i Motörhead rigettano (a parole) tutte le virtù che fanno di un uomo qualunque un cittadino accettabile. I Motörhead simulano il ritorno a una vita brada, pre-borghese, ribellista: possiedono il fascino primario del rock 'n' roll più classico e ferino. Motörhead assaltano i padiglioni, mettono sotto le vecchie sulle strisce pedonali, ruttano di fronte alla fidanzata, e, soprattutto, quando pisciano (attenzione!) pisciano altissimo. Una bella parabola liberatoria, lunga, distesa, come quella di Arthur Rimbaud ne L'orazione della sera:

Poi, quando ho ringhiottito i miei sogni con cura, mi volgo, dopo aver bevuto trenta o quaranta tazze, e mi raccolgo per dar sfogo all'acre bisogno. 
Mite come il Signore del cedro e degli issopi, io piscio altissimo, verso i cieli bruni, col consenso dei grandi eliotropi.

Così si fa. Invece il borghesuccio depresso, che ascolta Vasco Rossi, e si alza piano per non svegliare la moglie coi bigodini, come si libera? Con una pisciatina da stringere il cuore, un filo stentato, intermittente, uno stillicidio plic pluc ploc ...
No, quando si è depressi bisogna riscoprire il galateo dei Motörhead, le rudezze rock, gli istinti basilari, le mani in faccia, i non serviam, e la verginità dell'insulto, poiché l'insulto e la sgarbatezza, come disse Nietzsche, sono indizio di salute. Poi, finita la convalescenza, si torna alla psichedelia e al rock sperimentale. In alto i cuori!

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