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Questo disco dimostra, eccome se dimostra.
Se un gruppo, italiano di Napoli, ovvero originario d'un paese che ha sempre e naturalmente osteggiato l'hard rock (e tutte le sonorità affini), decide di affidarsi all'ingegnere del suono dei Led Zeppelin (Olympic Studios, Londra), allora il risultato artistico del gruppo sarà, al netto del talento, di rilevanza non indifferente (oltre che decisamente zeppeliniana, ma non è l'originalità che interessa qui).
Con ciò non si vuol dire che Moby Dick sia un disco notevole, ma dignitoso, questo sì; dignitoso, in un campo in cui l'Italia ha prodotto poco e niente negli anni gloriosi (Rovescio della Medaglia, Teoremi, Ut, Sirio 2222 del Balletto di Bronzo, una canzoncina degli Spaventapasseri); e ancor più dignitoso, anzi ben gradevole, per un palato che ama gustare hard rock settantino con voluttà.
Insomma, come disse Totò, la serva serve; al di là del talento sono il mestiere, la professionalità, la tecnica e il duro lavoro dietro le quinte a creare qualità.
Ma noi ci affidiamo ancora allo stellone.
Sottoscrivo pienamente le tue ultime quattro righe.
RispondiEliminaA prescindere dal fatto che non ho mai ascoltato i Moby Dick e che l'hard rock non è propriamente la mia tazza di tè.
Non credo che questo disco aumenterà la tua considerazione per il genere hard rock.
EliminaPerò, come detto, sono bravi professionisti.