Ashera, progetto dell'australiano Anthony Wright, è un'immersione, articolata in undici brani, in una regione monocroma e fluttuante dell'anima. Monocroma poiché nessuna evidente sfumatura turba la profondissima distesa lattea delle tastiere di Wright; fluttuante perché le sonorità dell'autore configurano un mondo sospeso e rallentato indeciso fra i tre elementi di acqua, terra o aria. Savannah mirage sembra allargarsi nella contemplazione di un alba maestosa; Music box, invece, ricreare, coi suoi brevi tocchi tastieristici, le profondità marine, ricche di liquidi bisbigli e dense d'una vita sfuggente e rallentata; l'eponima Colour glow, coi suoi cori celestiali, invero al limite del kitsch, pare evocare purissime dimensioni eteree. A dispetto del titolo, è il bianco, ovvero la somma di tutte le gradazioni cromatiche (e quindi la loro negazione), a dare il tono all'opera; tale monotonia è resa in una monolinguismo musicale che, deprivato di qualsiasi sfumatura, rientro o crepa come una perfetta superficie di alabastro, assume le benigne sembianze d'una escursione 'paradisiaca'. Herman Melville (Moby Dick, cap 42, La bianchezza della balena) mostra la duplice natura del bianco: “... in molti oggetti naturali la bianchezza aumenta e raffina la bellezza, come se le impartisse una sua speciale virtù … vari popoli hanno riconosciuto in questo colore una qualche preminenza regale … [ma] sebbene … l'uomo si compiaccia di simboleggiare col bianco tante cose delicate e grandiose, nessuno può negare che nel suo più profondo, ideale significato, la bianchezza evochi nell'anima come uno strano fantasma”. Ashera preterisce del tutto questo secondo significato (che non si riverbera, quindi, nell'espressione musicale), e la sua creazione, benché pregevole, ne esce limitata come un bel manufatto senza le proprie naturali ombreggiature.
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