martedì 29 novembre 2011

Peter Frohmader - Homunculus (1987-1988)


Peter Frohmader, tedesco di Monaco, ci consegna con Homunculus, strutturato in quattro sinfonie permeate di elettronica, uno dei vertici della propria produzione.
Già dal titolo affiorano i toni gotici e perturbanti propri del compositore germanico: l’homunculus, essere asessuato ed umanoide, dalle parvenze di feto e dotato di poteri sovrannaturali, è una creazione alchemica. Lo stesso Paracelso (1493-1541), in una sua opera, ne descrive il processo di realizzazione; lui stesso fu ritenuto il fattore d’una di queste entità ch’egli custodiva in un’ampolla nutrendola di sangue umano (Frohmader è anche pittore, seguace dello svizzero H.R. Giger, disegnatore di Alien, e dei rinascimentali tedeschi come Bosch e Grünewald).
Q
uesto richiamo ad un sapere premoderno è l’unico tratto in comune con la produzione dei Lightwave: mentre i francesi dipanano lentamente le proprie atmosfere avvolgenti, la musica di Frohmader, infatti, continuamente cangiante, vive di incessanti trasformazioni generate dai vari strumenti, dai cori e dall’uso dei droni; in 1 (22’44’’), ad esempio, gli interventi del piano e del flauto, l’inquietudine delle tastiere, il breve irrompere delle percussioni, si succedono senza soluzione di continuità garantendo, paradossalmente, nonostante l’assenza di qualsivoglia indugio meditativo, una convincente unità emozionale all’insieme.

A
nche in 2 (22’14’’) l’iniziale aria di soprano viene ben presto prevaricata dalla minacciosità delle tastiere ed infine dileguata dall’attacco deciso della batteria che cede il posto, a metà del brano, nuovamente ai tappeti elettronici, con motivi insistiti e ripetuti, sottolineati dagli archi; il sottofondo finale è incupito da brandelli di motivi di pianoforte, echi arcani, sgocciolii tastieristici.

3
(24’03’’) vive delle medesime trasmutazioni: l’iniziale accenno di melodia, pesantemente scandita, genera un breve intervento di chitarra che annega gradatamente nel clangore dei droni elettronici su cui, inopinatamente, a due terzi del brano, galleggiano i gargarismi d’un sassofono. 4 (24’00’’) dà prova, ancora una volta, del virtuosismo di Frohmader: come le schiere degli storni, formate da centinaia di animali, si infittiscono per creare affascinanti geometrie aeree, per poi disperdersi improvvisamente solo allo scopo di riorganizzare nuove figure, così la musica del compositore di Monaco vive della propria interna mercurialità.

È impossibile riuscire a rendere con la parola scritta la complessità di queste orchestrazioni, notturni inquietanti e rapsodici.

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