Ultimo capitolo della trilogia ordita da Rolf-Ulrich Kaiser, Seven up* si avvale della voce narrante di Timothy Leary (1920-1996) ripetendo, in tal modo, la struttura di Tarot e di Lord Krishna von Goloka, coi recitativi, rispettivamente, di Walter Wegmüller e Sergius Golowin. In virtù della personalità coinvolta, il disco, al netto delle benemerenze musicali, diviene paradigmatico di certi aspetti della controcultura di quegli anni.
“Turn on, tune in, drop out” è il pensiero di Leary ridotto in un guscio di noce; liberarsi dai vincoli fisici, accordarsi col fluire di una realtà sovraindividuale e dimenticare, per ciò stesso, i lacci sociali che impediscono una vita autentica fu il credo dello psicologo di Harvard che, consapevolmente o meno, ripercorreva i diuturni tentativi dell’uomo di emanciparsi dalla dannazione del principium individuationis: litanie, droghe, digiuni, flagellazioni furono da sempre il viatico per un annullamento delle coordinate spazio-temporali e il rifluire (attraverso il passaggio a stadi sempre più ‘evoluti’ di coscienza) in entità sovraindividuali (Dio, inconscio collettivo, verità archetipica, Nulla …). In realtà Leary, abbronzato e sorridente, col bell’aspetto da istruttore di tennis fedifrago, fu un teorizzatore mediocrissimo, quando non goffamente bislacco, e un incosciente di primo livello. Egli volgarizzò l’uso di sostanze che, svincolate da uno stretto controllo medico, finirono per distruggere (anche politicamente, poiché provocarono la reazione puritana – quindi bene accetta – del Sistema) quegli stessi aneliti di libertà che allora fiorivano spontaneamente come risposta alla massificazione in atto ed al turbocapitalismo incipiente. Di ben diverso spessore i pensieri di Albert Hofmann (1906-2008, il vero scopritore, nel 1938, della dietilamide, LSD 25**), che in un suo libretto***, con sobrietà e sensatezza, oltre a rendere conto di incontri eccellenti (Aldous Huxley, Karl Kerényi, Ernst Junger), delinea i corni del dilemma:
“Turn on, tune in, drop out” è il pensiero di Leary ridotto in un guscio di noce; liberarsi dai vincoli fisici, accordarsi col fluire di una realtà sovraindividuale e dimenticare, per ciò stesso, i lacci sociali che impediscono una vita autentica fu il credo dello psicologo di Harvard che, consapevolmente o meno, ripercorreva i diuturni tentativi dell’uomo di emanciparsi dalla dannazione del principium individuationis: litanie, droghe, digiuni, flagellazioni furono da sempre il viatico per un annullamento delle coordinate spazio-temporali e il rifluire (attraverso il passaggio a stadi sempre più ‘evoluti’ di coscienza) in entità sovraindividuali (Dio, inconscio collettivo, verità archetipica, Nulla …). In realtà Leary, abbronzato e sorridente, col bell’aspetto da istruttore di tennis fedifrago, fu un teorizzatore mediocrissimo, quando non goffamente bislacco, e un incosciente di primo livello. Egli volgarizzò l’uso di sostanze che, svincolate da uno stretto controllo medico, finirono per distruggere (anche politicamente, poiché provocarono la reazione puritana – quindi bene accetta – del Sistema) quegli stessi aneliti di libertà che allora fiorivano spontaneamente come risposta alla massificazione in atto ed al turbocapitalismo incipiente. Di ben diverso spessore i pensieri di Albert Hofmann (1906-2008, il vero scopritore, nel 1938, della dietilamide, LSD 25**), che in un suo libretto***, con sobrietà e sensatezza, oltre a rendere conto di incontri eccellenti (Aldous Huxley, Karl Kerényi, Ernst Junger), delinea i corni del dilemma:
- le sostanze allucinogene vanno necessariamente assunte in modo controllato.
- la risposta alla sostanza varia da paziente a paziente e può sfociare in una estatica beatitudine o in un horror trip angosciante (la variazione è dovuta a fattori psicologici, il cosiddetto set, ma anche a condizioni esterne, il setting, ovvero il luogo in cui consuma l’esperienza, i volti dei partecipanti al ‘viaggio’ …). La coscienza è interazione tra soggetto ed oggetto: poiché l’acido opera a livello biochimico sul cervello, ogni essere umano altera il proprio rapporto col reale e lo fa chiuso nella propria individualità; ogni più tenue sfumatura di coscienza, quindi, può potenzialmente esperirsi con tale droga. Non esistono viaggi collettivi, ma solo personali. Ogni singola esperienza può “assumere i tratti demoniaci del puro terrore” o sprofondare nell’unione mistica col Tutto o contemplare le infinite variazioni intermedie. L’abbattimento delle barriere tra soggetto conoscente e realtà**** ci riconcilia, nell’esperienza più felice, con la Natura, la madre perduta, liberandoci dai rapporti di dominio che intratteniamo con Essa. Ne consegue la svalutazione del pensiero occidentale di origine greco-romana a favore di buddismo ed induismo (evidentissimi nella cultura lisergica).
Il che ci porta a brevi considerazioni:
- gli effetti della droga esaltano l’individualità, quindi sono antipolitici, disgregatori di un’azione contestatrice comune o, semplicemente, alternativa. La disfatta dei movimenti dei Sessanta è nota. Occorrerebbe una droga collettiva, ma a questo hanno pensato proprio coloro contro cui combattevano gli hippies: la propaganda pubblicitaria e mediatica è ora davvero globalizzante e totale. I pensieri, le estasi, l’immaginario, i desideri sono unici e planetari. Altro che il panteismo lisergico!
- Le droghe accompagnano i periodi di decadenza: esse sorgono quando decresce lo spirito sorgivo.
- Il decantato rifluire del soggetto nella realtà, l’unificazione del Tutto, il Nirvana lisergico, è una regressione. Durante il viaggio i sensi sono meno acuti, si prova indifferenza per il pericolo, l’attività intellettuale (ragionamento astratto, rammemorazione, capacità aritmetiche) crolla*****; come nelle esperienze di deprivazione sensoriale, si è trasportati ad un grado umano minimo – a livello di rettili sciaguattanti in pozze antidiluviane. La rinuncia alla coscienza assume, quindi, toni decadenti, antistorici, fondamentalmente quietisti, conniventi col potere, quasi ebeti******.
Sul disco c’è poco da dire: questi sono gli Ash Ra Tempel. Due composizioni: Space, che alterna inaspettate cadenze blues e le consuete smaterializzazioni sonore; Time (21’40’’), il vero capolavoro, un classico del rock tedesco, ricco di accenti arcani generati da tastiere e chitarre. Buon ascolto.
* Forse il titolo si riferisce agli otto stadi di coscienza teorizzati da Leary a cui si poteva accedere grazie all’uso degli allucinogeni.
** Sostanza prodotta nei laboratori svizzeri Sandoz: Lysergsaüre-diäthylamid, detta LSD-25 perché venticinquesimo derivato dell’acido lisergico.
*** Albert Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile, 2005.
**** Si cita, a tal proposito, Gottfried Benn che esecra proprio la dicotomia fra Io e Natura. Che lo stesso Benn fosse fautore dell’identificazione fra genio e pazzia (e depravazione in senso lato) è una conseguenza del primo assunto. Se la coscienza classica, infatti, ci fossilizza e rende inautentici, qualsiasi stato mentale che diverta da essa è positivo. Lo stesso Benn, infatti, mantenne coerentemente, per tutta la vita, il proprio Io diviso tra ossequio borghese e arte, non rendendosi conto, però, della portata storica e sociale di tale disagio avvertito, con tale intensità, dalla sola classe intellettuale moderna.
***** Ugo Leonzio, Il volo magico, 1997
****** Come avvertiva Nietzsche ne La nascita della tragedia, lo scatenamento dionisiaco deve essere sempre vigilato da Apollo; col “beveraggio delle streghe” non c’è catarsi liberatoria e produzione artistica.
Post notevole, complimenti.
RispondiEliminaSono in buona parte in accordo e, personalmente, trovo indicativo il fatto che Leary fosse al riparo in Svizzera nel 1972 in cui la "sua" San Francisco era già un girone infernale decadente schiava dei "pusher".
P.S. Göttsching resta comunque una divinità!
TI ringrazio. Qualche punto grossolano è inevitabile, date le poche righe. Lo ammetto: Göttsching è un semidio.
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