I Mermen, guidati dal grande chitarrista Jim Thomas (con Allen Whitman e Martyn Jones), sono un trio di San Francisco che propone pezzi strumentali largamente derivati dalla surf music a cavallo tra Cinquanta e Sessanta.
Dick Dale (la cui Misirlou fu messa nuovamente in voga da Pulp fiction), Duane Eddy e, soprattutto, il sottovalutato Link Wray, sono alla base delle loro scorribande elettriche sporcate, tuttavia, da una vena pessimistica propria dei tempi attuali.
La surf music americana era, probabilmente, la concrezione sonora di un’epoca felice e priva di dubbi (in Italia il corrispettivo sono le canzoni dei musicarelli), in cui la nazione, la parte anglosassone bianca almeno, uscita ideologicamente ed economicamente rafforzata da una guerra mondiale vittoriosa, ritrovava la propria salute e forza; proprio la messa in dubbio di tali convinzioni, con le prime sollevazioni delle Università e delle minoranze, minò le radici ideologiche e il candore di questa età dell’oro e del movimento surf. Pet sounds dei Beach Boys segnò, simbolicamente e musicalmente, l’inizio della fine; il lentissimo degenerare della speranza di Un mercoledì da leoni di Milius (ambientato fra il 1962 ed il 1974) fu, invece, sotto le vesti di un facile romanzo di formazione, la presa d’atto cinematografica e la ratifica del dileguarsi del vero ed unico sogno americano (l’unico mai realizzato peraltro).
Food for other fish inizia la matura storia discografica dei Mermen*; con Be my noir, introdotta dal suono della risacca, si entra da subito nel loro mondo: lunghi assoli evocativi, di spiagge desolate e di tramonti rivissuti con “calor di fiamma lontana”, che, di volta in volta, si acquietano o accelerano oppure vengono sapientemente franti da Thomas con brevi spezzoni quasi noise. Raglan ed Ocean beach sono episodi monocromatici e tranquilli, ma My black bag già ruggisce con toni hard che esulano dalla consuetudine. La finale Dancing on her sleep chiude il cerchio al suono delle onde oceaniche, smorzando i toni della precedente Pull of the moon che riecheggia, nella seconda parte, le tirate psichedeliche californiane dei Sessanta.
Nello splendido A glorious lethal euphoria convivono, ancora una volta, episodi convenzionali (Drub), brucianti accelerazioni (Pulpin’ line, Lizards, la grande Blue xoam) e distese contemplazioni dell’orizzonte oceanico (Under the kou tree, With no definite future, le strazianti Obsession for men e The flowers they’ll bloom), ma sempre tarmate dalla nostalgia e da una riposta irrequietezza per il dileguarsi storico di un’epoca irrecuperabile.
Proprio l’EP Songs for the cows sarà il lavoro più indicativo di questa inclinazione: i Mermen raccoglieranno di nuovo (con l’eccezione di un pezzo, l’iniziale Curve) l’eredità formale ed ideologica della surf music, ma questa, oramai sconfitta nelle proprie credenze intime, verrà coerentemente rappresentata con toni esagitati e distorti; nonostante sia possibile rintracciare, a sprazzi, il puro tessuto originario (Meandher, Varykino show), le galoppate di Thomas, ormai prive di innocenza, sono inevitabilmente acide e furiose. Brainwash (Rumination) riecheggia il Neil Young della colonna sonora Dead man; la paradigmatica A heart with paper walls, che evoca in tono desolato gli assolati paesaggi marini della California, mostra come le composizioni dei Mermen evitino il rischio di una riproposizione retrò evolvendo, anzi, in meditazioni sulla scomparsa di un pezzo di cultura popolare e sulla fine dell’impero americano quale nuovo regno di inesausta speranza e sicura felicità.
* Essi avevano già pubblicato un disco nel 1989, Krill slippin’.
* Essi avevano già pubblicato un disco nel 1989, Krill slippin’.
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