L'incendio hardcore negli Stati dell'Unione con varie gradazioni di calore: la California è l'epicentro |
Scrive Steven Blush nel fondamentale American punk hardcore: "L'hardcore è stata la risposta dell'America dei sobborghi alla rivoluzione punk di fine anni Settanta ... [che] gettava nel cesso la cultura rock dominante. L'unica regola vigente era quella di infrangere sempre le regole ... [poi] le major hanno inventato una versione annacquata del punk, smerciata sotto l'etichetta new wave, in modo da ammorbidirne l'immagine per il consumo di massa ... [finché] è arrivata una generazione di adolescenti stanchi che volevano il furore del punk senza la zavorra da accademia d'arte della new wave. Erano stati gettati i semi dell'hardcore".
Si può essere d'accordo sulla nascita del genere, pur tratteggiata a grandi linee; ma Blush non spiega perché, nel breve volgere di un lustro, quei pochi adolescenti stanchi, stimolati dai focherelli inglesi, si diedero ad appiccare roghi devastanti nella nazione dove la felicità è garantita dalla Costituzione. Quale elemento favorì questa rapida e devastante combustione? La sconfitta degli ideali dei Settanta, la brutale competizione sociale, lo smantellamento reaganiano del welfare, il militarismo, la propaganda dei media mainstream alleati col conformismo più soffocante riuscirono, forse, a coagulare, seppur fugacemente, il frontismo latente in parte della società. Asociali, fricchettoni, agitatori politici, provocatori, snob, demagoghi, semplici goliardi (tutti giovanissimi), trovarono in uno stile aspro ed elementale il mezzo per dire no. Come Bartleby: I would prefer not to.
Una moltitudine di kids, eterogenea, presentì, in modo immediato e apolitico, l'ingiustizia profonda del sistema americano che tende ad espellere i non allineati come lebbrosi; la risposta può essere condensata nell'icastico "They hate us, we hate them". Non mancarono modaioli, pagliacci, epigoni dell'ultima ora, ma l'ondata fu inarrestabile come il ballo di San Vito nel Medioevo: durò circa sei anni, 1980-1986, il tempo dei Black Flag, anche se notevole fu il primo triennio; il riflusso lasciò sulla battigia, come dopo un naufragio epocale, rifiuti e relitti di valore, bizzarre conchiglie, mostri marini, reperti scheggiati di indecifrabile provenienza. Centinaia di gruppi improvvisati nacquero in pochi mesi lasciando una discografia sterminata che attende, almeno da noi, una filologia accurata: a volte gruppi dignitosi incisero semplici 7'' o, addirittura, lasciarono traccia solo su bootleg. Molti di noi hanno sicuramente ascoltato Dead Kennedys o Misfits, ma già Saccharine Trust e Adolescents dicono poco ad alcuni; Secret Hate, Rejectors, Silly Killers, Fu's dicono quasi niente a parecchi. Lo stile hardcore, a differenza del melodismo inglese, fu sguaiato, ruvido ed offensivo. Urtante. Molti musicisti non sapevano da che parte tenere la chitarra, Henry Rollins era un gelataio; le loro produzioni furono miserabili, i tour portati avanti tra debiti, privazioni e pestaggi. Fu vera controcultura e, per questo è doveroso ascoltarli con attenzione, nella loro totalità: perché la critica è continua risistemazione estetica del passato; occorre scavare, riconsiderare, svalutare, sottolineare, in alcuni casi dimenticare e, in vista di ciò, sentire TUTTO (non tutti i generi, proprio TUTTO).
Per sturare propedeuticamente le orecchie ecco dieci compilazioni di varia natura, che coprono la scena da Ovest a Est. In seguito si cercherà di creare una compilazione che inglobi TUTTE le band stato per stato.
Per sturare propedeuticamente le orecchie ecco dieci compilazioni di varia natura, che coprono la scena da Ovest a Est. In seguito si cercherà di creare una compilazione che inglobi TUTTE le band stato per stato.
Buon ascolto.
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