Nati nell'Ohio, presso l'Oberlin College, i Bitch Magnet (il trio Sooyoung Park, voce, basso; Jon Fine, chitarra; Orestes Delatorre, batteria, poi sostituito da Pete Pollack; oltre a David Galt e David Grubbs alla chitarra) sono alla confluenza tra declino definitivo del rock dei Settanta (sancito dall'hardcore) e sonorità del decennio insorgente.
Dopo l'antipasto lavico di Star booty, i Magnet trovano subito la loro via; Umber possiede l'energia elementale del rock sorgivo, nonché la propensione d'esso allo svolgimento classico della canzone (con evidenti tracce di melodia); tale nucleo, tuttavia, deborda meravigliosamente verso certe istanze dei primi anni Novanta, verso le sessioni infuocate dei Polvo, ad esempio (tra gli altri; qualcuno cita Don Caballero, altri Big Black, altri addirittura Sonic Youth, per quel che vale).
In realtà i Magnet operano una trasmutazione dell'hard rock classico: ne accettano alcune cadenze, ma le scarnificano formalmente; il risultato è una derubricazione di quella carica purissima (ed ingenua) e dell'importanza della parte vocale e della retorica eroica del frontman, a tutto favore di una sorta di un compatto e costruttivo hard rock che non si consegna, però, all'algida stilizzazione, ma vive, anzi, di momenti incandescenti (Goat legged country rock) e ben definiti (Joyless street o Motor e Big pining, due singoli trascinanti e canonici).
Il successivo Ben Hur conferma le doti di Umber; la materia si arroventa ancor più (i nove minuti del capolavoro Dragoon, sorta di progressive hard per power trio), le parti vocali, coerentemente, si riducono alla marginalità. Una festa di sciabolate chitarristiche, acrobazie torride, indurimenti quasi metal, fughe improvvise: un disco eccezionale, all'altezza del predecessore.
Per i Bitch Magnet non è sprecato l'aggettivo seminale: Grubbs fonderà Gastr del Sol e Bastro; Sooyoung Park i Seam.
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