martedì 25 ottobre 2011

Black Sabbath - Beyond the wall of Spock


Quando, nei primissimi anni Ottanta, fra polvere e acari, in un negozio viterbese in cui regnava una splendida anarchia organizzativa, intravidi la copertina del primo dei Sabbath rimasi attonito. Cosa significava quella indistinta ed enigmatica figura di donna sullo sfondo della campagna britannica? Cos’era, la strega di un racconto di Machen? Una fata di Sir Arthur Conan Doyle? Un ominoso revenant concepito da Algernon Blackwood o M.R.James? All’interno il vinile raccontava di ascolti ripetuti, ma la qualità era ancora buona; nei solchi trovai un hard-blues roccioso tra messe nere e citazioni da Lovecraft. Lire 2000 ben spese. Come spesso accadeva in quel tempo, gli innamoramenti travolgenti si alternavano all’ascolto contemplativo dei tesori vinilici dissepolti: Sabbath e Deep Purple, Bowie-Reed-Velvet, la musica californiana, il krautrock, Genesis e Pink Floyd, Zappa naturalmente, il southern rock e Canterbury, il punk-hardcore (americano!). Allora non esistevano guide rock, i soldi scarseggiavano, i mezzi pubblici erano diligenze da assaltare (consideravamo il biglietto una gabella troppo onerosa), i collegamenti erano affidati al telefono fisso, adeguatamente filtrato dal Super Ego genitoriale in guisa di centralinista: eppure eravamo miracolosamente già istradati verso il male e sentivamo, pur oscuramente, l’attrazione verso manifestazioni sonore che, più accuratamente di quanto sembrasse, giudicavamo antiborghesi, anticonformiste e, per dirla tutta, antitaliane. Nel 1981, schiantati tutti i movimenti alternativi (l’anno maledetto di svolta fu il 1976), si era ormai avviati verso ciò che gli sprovveduti chiamarono il riflusso, ovvero il ritorno all’ordine. In realtà dall’ordine non c’eravamo mai allontanati: bassa marea e paludi in Italia sono la norma, l'alta marea consistette in quei brevi anni a cavallo fra Sessanta e Settanta: niente di eclatante, qualche persona sensata e parecchie orge di stupidità, ma l’eterna cappa del conformismo italico mostrava delle brecce. Bastò questa debole minaccia per sprofondare il sistema nel panico; terrorizzato esso decise di pagare un prezzo vergognosamente alto per la restaurazione (e con moneta non propria): centinaia di morti, l’abdicazione al simulacro della democrazia e la propria festante dissoluzione nel nascente turbocapitalismo. Nel frattempo, tredicenni e inconsapevoli, ci avviavamo supinamente verso i decenni più squallidi della Repubblica. Importava poco: Roma era ancora punteggiata di negozi e rivendite di vinile nuovo e usato, che, come i templi pagani dopo l’editto di Costantino, testimoniavano di un passato irrecuperabile; a Baldo degli Ubaldi si trovava l’amatissima Discoland (ora Star Music, ma è un’altra cosa) che offriva questo servizio al pubblico: qualcuno scartava i vinili, se li godeva, poi li rimetteva negli scaffali: il disco veniva venduto come nuovo, ma il prezzo, summo cum gaudio, sbracava da Lire 13500 a 8500, se non meno; lì acquistai, tra le decine, The rise and fall of Ziggy Stardust: su It ain’t easy la puntina saltava un po’, pazienza! Impazzavano i riversamenti da vinile a cassetta, le compilation improvvisate, i prestiti, le registrazioni da segnali radio malfermi; per tutta la settimana ci negavamo la colazione a metà mattina per intascare Lire 500 adeguatamente provvedute dai nostri vecchi che, debbo ammetterlo, erano premurosi; furti, ricatti, vendite bislacche e provvigioni bimestrali da parte delle madri dei padri garantivano tesoretti quasi settimanali buoni per il sabato pomeriggio, quando iniziava la caccia: in Via Gregorio VII (negozio scomparso, una prece) intravidi Sheik yerbouti fresco fresco, Lire 16000, un affare. Dalle parti di via delle Medaglie d’Oro (una prece) un paio di Doors a Lire 7000; nel buchetto di Via dei Genovesi 2 (prima Revolver poi, forse, Tendenze Musicali. Comunque una prece) il triplo Lotus a Lire 10000; a Via Rosazza 6 (Revolver, una prece; trasferitosi poi a Via Gherardi, una prece) mi liberai dei regali nefasti di Purple rain e Rio (i Duran Duran!) nonché del doppione di Station to Station per avere alla pari Paranoid, Fragile e Crown of creation: lo scambio del decennio. Attesi come un crotalo per mesi che scendesse il prezzo di Ummagumma: lo acchiappai per Lire 9000 a Via delle Botteghe Oscure, nel sottoscala di Rinascita (doppia prece); a Via Pietro Maffi (una prece) beccai la musicassetta di Let it bleed, Lire 6000, di cui erano ansiosi di liberarsi; a via Torrevecchia (una prece) m’accattai un controverso Never mind the bollocks; in un fallimento dalle parti di Via Guido Reni (una prece) Masters of reality, The end of an ear, Genesis live e persino un Nosferatu a Lire 3000; inoltre, come non ricordare Variety in Via Pasquale Fiore con la proprietaria valde bona (una prece; vi comprai Gabriel III e Gentlemen take polaroids)? Il buchetto a Via Oderisi da Gubbio? Come non ricordare che, ogni tanto, un pazzo apriva la saracinesca del proprio garage (una prece per i garages) e svendeva per fare cassa o per far posto agli incipienti CD (Live at the Apollo, Waterloo Lily, Angel’s egg, One size fits all a Lire 5000)? E la bazza dei mastodontici Metropoli Rock a Via Palermo (una prece; delizioso il loro catalogo azzurrino; ora a Via Cavour: una prece? Comunque non è la stessa cosa) e Disfunzioni Musicali a Via degli Etruschi (una prece) e l’enorme Ricordi vicino alla stazione Termini (una prece) e Babilonia a Via del Corso? Quanti ne dimentico? E quanti altri Eterno riposo dona a Loro Signore potrebbero recitare a Roma Sud e Roma Est?
I
Black Sabbath li ho amati e li amo ancora. Questo è il loro miglior disco (tranquilli, ci sono Paranoid, Iron man e War pigs), un bootleg* dal Sabotage tour con almeno metà dei componenti strafatti. Julian Cope adora questa roba. A ragione: Osbourne bercia da par suo e l’italiano Iommi, operaio metalmeccanico, quello che non sa suonare**, come Neil Young e David Gilmour, pompa alla grande. Usatelo per disincrostare i padiglioni e ripartire da zero. Buon ascolto.

* Registrato presso la Asbury Convention Hall il 6 Agosto 1975; il titolo è una distorsione del lovecraftiano Beyond the wall of sleep.
** In una classifica dei migliori chitarristi all-time, stilata da Rolling Stone, Iommi è al numero 86 ed Eric Clapton al numero 4.

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