giovedì 6 ottobre 2011

Azalia Snail - Snailbait (1990)/Fumarole rising (1994)


La polistrumentista Azalia Snail (è il suo vero nome), nata nel Maryland, ma formatasi definitivamente nell’ambiente dell’avanguardia newyorchese, segna con la sua opera un’ulteriore evoluzione del pop psichedelico.
L’esordio è, da subito, segnato dal suo inconfondibile stile in cui lo strumming simil-folk e la voce, dilatati e apparentemente sbilenchi (Another slave labour day, Flight 520, i grandi strumentali Azalia bloom #16 e Driftless), sono potenziati dalla sovrapposizione di una seconda linea di chitarra e voce nonché dai ghirigori delle tastiere; l’assenza della sezione ritmica consente, inoltre, fluttuazioni davvero psichedeliche ed una magistrale rarefazione. Snail riesce a mantenere in rotta l’andamento periclitante delle canzoni che, solo raramente, collassano nel rumorismo puro (Hiss and crackle) o si accendono in rock e folk quasi canonici (rispettivamente Loveless land e Anywhere is here, quest’ultima con l’occasionale uso delle percussioni). Nella conclusiva So much more to go (22’58’’) i quattro minuti iniziali e i quattro finali (un pezzo tipicamente “azaliano” con una celestiale voce secondaria), racchiudono una silloge di assoli sfasati, registrazioni spurie, inopinati cambi di ritmo, cacofonie assortite – materiale, anche questo, tutto dominato dal tono svagato e fuori registro che contraddistingue l’intera opera.
In Fumarole rising ogni pezzo è, basicamente, una ‘bella canzone’ trasfigurata volontariamente e lucidamente dal suono spaziale e straniato di chitarra e voce, e resa unica, di volta in volta, da arrangiamenti e trattamenti peculiari; il risultato è quello di render vita ad un disco compatto e, ad un tempo, straordinariamente variato. Se, ad esempio, in Fumarole/Fumarole rising, la tromba accompagna sognante la narratrice, nell’iniziale e bellissima Into yr. world i fiati intermezzano trionfanti la elementare struttura testuale; Cast away (the saga of Jeannie Berlin) ha un andamento da filastrocca psichedelica; il breve capolavoro You belong to you presenta percussioni in avanscoperta, voce fluttuante, e ancora i fiati a dare nerbo, sullo sfondo; in Sour cherry è invece l’armonica l’elemento caratterizzante, mentre in Solace nemesis le consuete atmosfere sognanti si avviano, inaspettatamente, ad una coda con solo di chitarra vagamente spagnoleggiante. Please don’t come here annega nel noise deliberato, ma è con i due strumentali Cuckoo clock e, soprattutto, Hidden Addendum che Snail tocca il vertice del suo lato free form: il primo pezzo è dominato dalla chitarra onirica dell’Autrice il cui andamento pare (pare!) sempre sul punto di slabbrarsi definitivamente; in Hidden, invece, due linee musicali simbiotiche, l’una più pesante e cupa, l’altra sfuggente e spacey, costruiscono quattro minuti dal sapore enigmatico ed arcano.
Azalia Snail delimitò, durante gli anni Novanta, un enclave creativo unico, sconosciuto ai più, le cui vie d’accesso, viste le difficoltà di classificazione, risultano ancor oggi ardue. Per questo merita l’ascolto e il proselitismo.


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