Mary Louise Brooks nasce a Cherryvale, nel Kansas, il 14 Novembre 1906. Il padre, Leonard Porter Brooks, è un onesto avvocato di provincia; la madre, Myra Rude, donna colta, amante della musica classica e delle buone letture, avrà una grande influenza sul carattere di Louise spingendola, peraltro, sin da giovanissima, alla danza. Infatti, a soli quindici anni, Louise abbandona il liceo per recarsi a New York dove entra a far parte della compagnia Denishawn. Da qui allontanata a causa del suo atteggiamento insofferente e anticonformista, lavora dapprima per George White's Scandals, quindi, dopo una breve parentesi al Café de Paris a Londra, viene ingaggiata nelle Follies di Florenz Ziegfeld.
Spirito erratico e mutevole, Louise riesce a distinguersi nella vita mondana per la franchezza disarmante delle battute, inusuale in una giovanissima provinciale, che, in un ambiente di ipocrisie e verità sottaciute, viene presa per snobismo o insolenza: "feci il mio ingresso nel mondo con una radicale abitudine alla verità che ha automaticamente eliminato dalla mia vita quella piatta monotonia che devono provare i bugiardi (...) e così sono rimasta, in una crudele ricerca di verità e perfezione, come il carnefice inumano di ogni ipocrisia , evitata da tutti, tranne da quei pochi che hanno vinto la propria avversione alla verità per poter liberare quanto di buono c'è in loro".
Tuttavia il carattere irriducibile e disinibito fa della Brooks il prototipo perfetto della ragazza flapper, caratteristica che riuscirà a trasferire nelle prime commedie della propria carriera cinematografica. La flapper girl, ispirata da una novella di Francis Scott Fitzgerald, This site of Paradise, si distingue per la gioventù, l'indipendenza, la capricciosa volubilità e fiducia nel futuro nonché per l'assenza delle tradizionali virtù femminili (quali la fedeltà) e, nel tipo fisico, per una figura snella e quasi da ragazzo sottolineata dal corto taglio di capelli acconciati a caschetto.
Dopo l'esordio cinematografico nel 1925 in The street of forgotten men, grazie anche all'amicizia col produttore Walter Wanger, Louise gira A social celebrity con Adolphe Menjou, quindi It's the old Army game con W. C. Fields sino a Love 'em and leave 'em, il miglior film del periodo di New York.
Louise fissa definitivamente il tipo della maschietta anni '20 : il caschetto di capelli neri e lisci, gli occhi vivissimi e una vitalità irrefrenabile; nel film, dove interpreta la pestifera sorella minore della virtuosa Evelyn Brent, semina a ripetizione seduzioni, fatali intrighi, falsi pentimenti e malversazioni con deliziosa amoralità (restando oltretutto impunita): il versante leggero dell'età del jazz si ritrova anche qui.
Nel luglio del 1926 Louise sposa il regista Eddie Sutherland che, come quasi tutti, si era innamorato a prima vista, accettando, come suo solito, con svagata avventatezza: "[lo sposai] perché era un uomo attraente che mi aveva ricoperta d'oro. Apparteneva anima e corpo a Hollywood, e io, là, mi sentivo un'estranea: lui amava le feste, io la solitudine".
La Brooks non credette mai nel matrimonio (nell'ottobre del 1927 aveva intrecciato una relazione con l'uomo d'affari e cinefilo George Marshall) e nell'aprile del 1928 divorzierà, abbastanza tumultuosamente: appare comunque già qui la sua insofferenza per l'impersonale macchina hollywoodiana rispetto ai giorni felici di New York.
Un'insofferenza che si tramuterà poi in ripulsa esistenziale come testimonierà decenni più tardi in una memorabile lettera a Guido Crepax (il personaggio di Valentina è, infatti direttamente ispirato da Louise). Il 1928, comunque, fu un anno di svolta per la carriera cinematografica della Brooks: infatti gira Beggars of life di William Wellman e A girl in every port (Capitan Barbablù) di Howard Hawks. Il primo film rappresenta la migliore prova drammatica dell'attrice in terra americana: Louise interpreta il ruolo di una ragazza che, ucciso il patrigno che voleva abusare di lei, sarà costretta a fuggire, vestita da uomo, assieme ad un altro vagabondo da poco conosciuto. L'avvio, quasi chapliniano per certi toni melanconici e randagi, é pervaso dall'insinuante erotismo dettato dal contrasto tra la morbida e minuziosa bellezza di Louise e il suo dimesso abbigliamento maschile. La seconda parte risente della pervasiva gigioneria di Wallace Beery e, tuttavia, la scena in cui i vagabondi improvvisano una Corte di Giustizia sul treno (tre anni prima di M) e il tono generale del film che anticipa certi temi della Depressione lo impongono come pellicola da scoprire e, negli USA, da riscoprire (c'è da dire che Louise elogiò con enfasi Beery sino a definire la sua caratterizzazione "un piccolo capolavoro"). In A girl in every port, il maggior successo muto di Howard Hawks, torna a vestire i panni della seduttrice seminando discordia tra i due marinai Victor MacLaglen e Robert Armstrong.
Lo spettatore più interessato all'interpretazione di Louise sarà però il regista austriaco G. W. Pabst che, con intuizione felicissima, la vorrà per il ruolo di Lulu in Die Büchse der Pandora (Lulu o il vaso di Pandora), trasposizione cinematografica dei due drammi di Frank Wedekind Il vaso di Pandora e Lo spirito della terra.
Louise sarà la protagonista assoluta del film e regalerà un'interpretazione leggendaria che può anche essere letta come una sintesi della sua vita e delle sue pulsioni più segrete.
Lulu rappresenta davvero lo spirito della terra, un erotismo immediato, elementale, fuori dalla società e dalla storia; in Lulu tutti si perdono poiché il suo istinto non conosce mascheramenti o valori, e gli uomini che si imbattono in lei, che in essi e per essi vivono, riconosceranno in Lulu la falsità della vita normale e la propria perdizione.
Non a caso l'unico personaggio a lei pari sarà il suo assassino Jack lo Squartatore, anche lui un outcast , un reietto: durante il loro incontro fatale Lulu si donerà assolutamente, sino alla morte (tanto che nel prostituirsi a lui non aveva chiesto denaro), mentre Jack non potrà che prenderla nel modo più estremo. Nel film, che procede per quadri descrittivi, per slanci improvvisi, le istituzioni vengono necessariamente svelate nella loro menzogna, dall'arte (il teatro, la rivista) al matrimonio, dal mondo degli affari (rappresentato da Schön) alla Giustizia (nella scena del processo), dalla putrescenza dell'aristocrazia alla ipocrita filantropia dell'Esercito della Salvezza sino al pervertimento del sesso. Se storicamente Lulu decifra il disagio della Germania pre - hitleriana, esso può venir letto come uno scontro tra una civiltà che mente a sè stessa per sopravvivere e la vera ed aspra natura umana.
Nel successivo capolavoro di Pabst il personaggio di Louise Brooks si raffina ed il tono appare più controllato rispetto all'incandescenza del film precedente. Infatti in Das Tagebuch einer Verlorenen (Diario di una donna perduta) la protagonista Thymian è, al principio, nettamente inserita nella società borghese: solo dopo esserne stata espulsa in nome di una rispettabilità esteriore (viene infatti sedotta e messa incinta) saprà riconoscerne la sostanziale falsità. Non solo, ma ciò che la società addita come male (in questo caso il bordello) appare invece come fondamentalmente sincero e riposante rispetto all'inferno delle istituzioni classiche (la famiglia, la Casa di correzione, le dame di carità...). Appare: il breve attimo in cui Thymian riconosce una piega avida nella bocca della tenutaria del bordello (e Thymian passa dal sorriso alla tristezza), danno il senso del film: non c'è differenza tra bene e male: tutto è involto nella meschinità del male, senza salvezza. Il finale, con la redenzione, conferma paradossalmente le scene che lo precedono. Thymian, insomma, è una Lulu consapevole.
Da notare che il film, censuratissimo, è ancora più radicale nella versione originale dove Thymian, con simmetrico rigore, diviene la tenutaria del bordello ponendosi così in perfetta, bensì apparente, contrapposizione al perbenismo dominante.
Hollywood non attira Louise, così, nel 1930, ella gira, a Parigi, Prix de beauté (Miss Europa), per la regia del nostro Augusto Genina (su sceneggiatura di Pabst e René Clair). Il film parla di una modesta impiegata che, vinto un concorso di bellezza ed entrata nel mondo dello spettacolo, grazie anche alle lusinghe di un principe, verrà poi uccisa dal marito, incapace di rassegnarsi a perderla.
La sola presenza della Brooks basta a giustificare la pellicola: è il suo semplice esserci a sprigionare una sensualità diffusa e impalpabile fra le eleganti ambientazioni costruite da Genina; e l'indimenticabile sequenza finale illumina retrospettivamente il film accendendolo di toni melodrammatici e simbolici: Lucienne - Louise verrà infatti uccisa mentre assiste ad un filmato dove lei stessa recita. Quando Lucienne giacerà morta la sua immagine sullo schermo continuerà a sorridere ed a cantare.
Il contrasto simbolico tra caducità e grettezza del reale e inalterabilità dell'arte diverrà, in seguito, anche l'involontaria epitome della vita di Louise Brooks la cui icona rifiuta il tempo e sta indifferente di fronte a qualsiasi giudizio di valore.
Interessante ricordare ora la succitata lettera a Guido Crepax: "[...] c'è stato un momento a Parigi nel 1929, quando giravo Prix de beauté e vivevo in pace con me stessa: credo che fosse perché non parlavo il francese. Il fatto di essere perduta era perfettamente naturale tra quelle persone con cui non potevo esprimere né pensieri nè sentimenti [...] Ricorda che quando tornò il figliol prodigo il padre disse : 'era perduto ed è ritrovato'. Fu il padre a trovare il figlio perduto: In certo modo mi è mancato questo esser ritrovata."
Louise Brooks si considerava irrimediabilmente perduta e anelava, senza saperlo, alla propria autodistruzione: i seguenti anni congiureranno velocemente a questo.
Nel 1930 rifiuterà di doppiare un suo precedente film muto, The Canary murder case, (La canarina assassinata), tratto da un romanzo giallo di S. S. Van Dine, e si attirerà la vendetta degli studios hollywoodiani.
La sua parte verrà doppiata (male) da Margaret Livingston e contribuirà a creare la fama che il declino della Brooks fosse dovuto alla sua pessima voce incompatibile con l'avvento del sonoro. Il film rimane comunque memorabile a causa di Louise e del suo costume da canarina ideato dal figurinista Travis Banton.
Da notare che, finita la spensieratezza degli anni '20, il pubblico della Depressione sembra orientarsi su attrici più clamorosamenti fatali. Come ammetterà la stessa Louise in un articolo su Marlene Dietrich: "Le attrici brune, di piccola taglia si eclissarono o si fecero bionde e si ridisegnarono le loro sopracciglie con archi stretti e con false ciglia. Davanti alla macchina da presa lanciavano in primi piani sguardi misteriosi, gettando la testa indietro ad ogni momento e afflosciandosi su letti o divani, prive di difesa".
Sarà proprio da un tipo d'attrice come quello appena descritto che Louise si vedrà soffiare il posto come protagonista di The public enemy (Nemico pubblico) con James Cagney. Il regista William Wellman si era ricordato di lei, ma la Brooks decise che era meglio correre tra le braccia di George Marshall (o fu forse lui a consigliarla in tal senso) che girare un film che si rivelerà storico. Louise girerà alcuni film anonimi (nel 1935 non si concretizzerà un film con Pabst e la Garbo), si risposerà e divorzierà nel giro di alcuni mesi, e poi scomparirà per tornare, nel 1936, con due western, Empty saddles, e Overland stage raiders, con un giovane John Wayne.
Overland sarà l'ultimo film della Brooks: a soli trentadue anni la divina Louise è un'attrice finita e una donna profondamente sola.
Nel 1940 apre una scuola di danza a Wichita che terrà sino al 1943 quando si trasferirà New York: "[...] mi resi conto che l'unica carriera ben retribuita che mi si offriva era quella della squillo. Cancellai il mio passato, mi rifiutai di vedere i pochi amici che mi legavano ancora al mondo del cinema, e cominciai ad affezionarmi a delle bottigliette piene di piccoli sonniferi gialli".
Louise cerca ancora l'oblio, la dimenticanza, ma sarà la grigia quotidianità a scovarla. E' costretta a lavorare alla radio in alcune soap operas, per la pubblicità e ai grandi magazzini Saks, presso il negozio della Fifth Avenue (lei, che era inetta al lavoro manuale).
Lasciato l'impiego nel 1948 si accontenterà di essere mantenuta da alcuni ricchi amici sino al 1955 quando un doppio avvenimento segnerà il resto della sua vita. Infatti, a Parigi, il direttore della Cineteca Nazionale, Henri Langlois, in occasione della mostra 60 ans de cinéma, non solo riproporrà i suoi film dimenticati, ma userà il suo volto come simbolo della mostra stessa (assieme a quello di Renée Falconetti). Interrogato in merito all'esclusione di attrici come Marlene Dietrich e Greta Garbo, il vulcanico Langlois, fine conoscitore del periodo muto, risponderà:"Ma quale Dietrich, ma quale Garbo, c'é solo Louise Brooks!".
Ma un altro incontro si rivelerà decisivo (e fatale), quello con James Card, il fondatore, nel 1947, della cineteca della George Eastman House e, come Langlois, profondissimo conoscitore e ricercatore del periodo muto. Card, figura affascinante e passionale, non solo le aprì le porte degli archivi (dove vide per la prima volta le sue pellicole), ma, colpito dalla qualità della sua prosa, la incoraggiò a scrivere.
Louise, che aveva già distrutto una propria autobiografia, Naked on my goat, comincerà a comporre articoli su Bogart, Lillian Gish, Chaplin, Buster Keaton, pubblicati su riviste come Positif e Sight and sound, con uno stile difficilmente definibile e di alto livello letterario.
Viene alla mente un' espressione foscoliana: "calore di fiamma lontana"; in scritti come Marion Davies' niece, ad esempio, dedicato alla morte dell'amica Pepi Lederer, si ritrovano infatti inseparabilmente frammisti autobiografismo e pettegolezzo fintamente svagato, l'ironico distacco (a volte feroce verso se stessa) e la nostalgia per un tempo e una giovinezza ormai perduti per sempre.
Non a caso Louise nutrirà sempre un amore inestinguibile per la Recherche di Marcel Proust: sapeva quindi del conforto e del dolore della memoria.
Nel 1956 Louise si era definitivamente trasferita a Rochester (New York) dove rimarrà sino alla morte conducendo una vita riservatissima (come rarissima eccezione un viaggio a Parigi nel 1958 dove stringerà amicizia con Lotte Eisner). Nel 1979 Kenneth Tynan le dedicò un lungo articolo sul New Yorker che la fece riscoprire presso il grande pubblico; nel 1982 fu pubblicato con successo Lulu in Hollywood, una raccolta di suoi scritti; si rifiutò sempre di pubblicare una sua autobiografia come spiegò coerentemente nel bellissimo Why I'll never write my memoirs. Come confesserà a Lotte Eisner: "scrivere la verità per lettori nutriti dalle sciocchezze della pubblicità è un esercizio senza senso".
Gravemente malata per un enfisema, non acconsentì a lenire i dolori con i farmaci rimanendo lucida sino alla fine. Muore l'8 Agosto 1985.
Spirito erratico e mutevole, Louise riesce a distinguersi nella vita mondana per la franchezza disarmante delle battute, inusuale in una giovanissima provinciale, che, in un ambiente di ipocrisie e verità sottaciute, viene presa per snobismo o insolenza: "feci il mio ingresso nel mondo con una radicale abitudine alla verità che ha automaticamente eliminato dalla mia vita quella piatta monotonia che devono provare i bugiardi (...) e così sono rimasta, in una crudele ricerca di verità e perfezione, come il carnefice inumano di ogni ipocrisia , evitata da tutti, tranne da quei pochi che hanno vinto la propria avversione alla verità per poter liberare quanto di buono c'è in loro".
Tuttavia il carattere irriducibile e disinibito fa della Brooks il prototipo perfetto della ragazza flapper, caratteristica che riuscirà a trasferire nelle prime commedie della propria carriera cinematografica. La flapper girl, ispirata da una novella di Francis Scott Fitzgerald, This site of Paradise, si distingue per la gioventù, l'indipendenza, la capricciosa volubilità e fiducia nel futuro nonché per l'assenza delle tradizionali virtù femminili (quali la fedeltà) e, nel tipo fisico, per una figura snella e quasi da ragazzo sottolineata dal corto taglio di capelli acconciati a caschetto.
Dopo l'esordio cinematografico nel 1925 in The street of forgotten men, grazie anche all'amicizia col produttore Walter Wanger, Louise gira A social celebrity con Adolphe Menjou, quindi It's the old Army game con W. C. Fields sino a Love 'em and leave 'em, il miglior film del periodo di New York.
Louise fissa definitivamente il tipo della maschietta anni '20 : il caschetto di capelli neri e lisci, gli occhi vivissimi e una vitalità irrefrenabile; nel film, dove interpreta la pestifera sorella minore della virtuosa Evelyn Brent, semina a ripetizione seduzioni, fatali intrighi, falsi pentimenti e malversazioni con deliziosa amoralità (restando oltretutto impunita): il versante leggero dell'età del jazz si ritrova anche qui.
Nel luglio del 1926 Louise sposa il regista Eddie Sutherland che, come quasi tutti, si era innamorato a prima vista, accettando, come suo solito, con svagata avventatezza: "[lo sposai] perché era un uomo attraente che mi aveva ricoperta d'oro. Apparteneva anima e corpo a Hollywood, e io, là, mi sentivo un'estranea: lui amava le feste, io la solitudine".
La Brooks non credette mai nel matrimonio (nell'ottobre del 1927 aveva intrecciato una relazione con l'uomo d'affari e cinefilo George Marshall) e nell'aprile del 1928 divorzierà, abbastanza tumultuosamente: appare comunque già qui la sua insofferenza per l'impersonale macchina hollywoodiana rispetto ai giorni felici di New York.
Un'insofferenza che si tramuterà poi in ripulsa esistenziale come testimonierà decenni più tardi in una memorabile lettera a Guido Crepax (il personaggio di Valentina è, infatti direttamente ispirato da Louise). Il 1928, comunque, fu un anno di svolta per la carriera cinematografica della Brooks: infatti gira Beggars of life di William Wellman e A girl in every port (Capitan Barbablù) di Howard Hawks. Il primo film rappresenta la migliore prova drammatica dell'attrice in terra americana: Louise interpreta il ruolo di una ragazza che, ucciso il patrigno che voleva abusare di lei, sarà costretta a fuggire, vestita da uomo, assieme ad un altro vagabondo da poco conosciuto. L'avvio, quasi chapliniano per certi toni melanconici e randagi, é pervaso dall'insinuante erotismo dettato dal contrasto tra la morbida e minuziosa bellezza di Louise e il suo dimesso abbigliamento maschile. La seconda parte risente della pervasiva gigioneria di Wallace Beery e, tuttavia, la scena in cui i vagabondi improvvisano una Corte di Giustizia sul treno (tre anni prima di M) e il tono generale del film che anticipa certi temi della Depressione lo impongono come pellicola da scoprire e, negli USA, da riscoprire (c'è da dire che Louise elogiò con enfasi Beery sino a definire la sua caratterizzazione "un piccolo capolavoro"). In A girl in every port, il maggior successo muto di Howard Hawks, torna a vestire i panni della seduttrice seminando discordia tra i due marinai Victor MacLaglen e Robert Armstrong.
Lo spettatore più interessato all'interpretazione di Louise sarà però il regista austriaco G. W. Pabst che, con intuizione felicissima, la vorrà per il ruolo di Lulu in Die Büchse der Pandora (Lulu o il vaso di Pandora), trasposizione cinematografica dei due drammi di Frank Wedekind Il vaso di Pandora e Lo spirito della terra.
Louise sarà la protagonista assoluta del film e regalerà un'interpretazione leggendaria che può anche essere letta come una sintesi della sua vita e delle sue pulsioni più segrete.
Lulu rappresenta davvero lo spirito della terra, un erotismo immediato, elementale, fuori dalla società e dalla storia; in Lulu tutti si perdono poiché il suo istinto non conosce mascheramenti o valori, e gli uomini che si imbattono in lei, che in essi e per essi vivono, riconosceranno in Lulu la falsità della vita normale e la propria perdizione.
Non a caso l'unico personaggio a lei pari sarà il suo assassino Jack lo Squartatore, anche lui un outcast , un reietto: durante il loro incontro fatale Lulu si donerà assolutamente, sino alla morte (tanto che nel prostituirsi a lui non aveva chiesto denaro), mentre Jack non potrà che prenderla nel modo più estremo. Nel film, che procede per quadri descrittivi, per slanci improvvisi, le istituzioni vengono necessariamente svelate nella loro menzogna, dall'arte (il teatro, la rivista) al matrimonio, dal mondo degli affari (rappresentato da Schön) alla Giustizia (nella scena del processo), dalla putrescenza dell'aristocrazia alla ipocrita filantropia dell'Esercito della Salvezza sino al pervertimento del sesso. Se storicamente Lulu decifra il disagio della Germania pre - hitleriana, esso può venir letto come uno scontro tra una civiltà che mente a sè stessa per sopravvivere e la vera ed aspra natura umana.
Nel successivo capolavoro di Pabst il personaggio di Louise Brooks si raffina ed il tono appare più controllato rispetto all'incandescenza del film precedente. Infatti in Das Tagebuch einer Verlorenen (Diario di una donna perduta) la protagonista Thymian è, al principio, nettamente inserita nella società borghese: solo dopo esserne stata espulsa in nome di una rispettabilità esteriore (viene infatti sedotta e messa incinta) saprà riconoscerne la sostanziale falsità. Non solo, ma ciò che la società addita come male (in questo caso il bordello) appare invece come fondamentalmente sincero e riposante rispetto all'inferno delle istituzioni classiche (la famiglia, la Casa di correzione, le dame di carità...). Appare: il breve attimo in cui Thymian riconosce una piega avida nella bocca della tenutaria del bordello (e Thymian passa dal sorriso alla tristezza), danno il senso del film: non c'è differenza tra bene e male: tutto è involto nella meschinità del male, senza salvezza. Il finale, con la redenzione, conferma paradossalmente le scene che lo precedono. Thymian, insomma, è una Lulu consapevole.
Da notare che il film, censuratissimo, è ancora più radicale nella versione originale dove Thymian, con simmetrico rigore, diviene la tenutaria del bordello ponendosi così in perfetta, bensì apparente, contrapposizione al perbenismo dominante.
Hollywood non attira Louise, così, nel 1930, ella gira, a Parigi, Prix de beauté (Miss Europa), per la regia del nostro Augusto Genina (su sceneggiatura di Pabst e René Clair). Il film parla di una modesta impiegata che, vinto un concorso di bellezza ed entrata nel mondo dello spettacolo, grazie anche alle lusinghe di un principe, verrà poi uccisa dal marito, incapace di rassegnarsi a perderla.
La sola presenza della Brooks basta a giustificare la pellicola: è il suo semplice esserci a sprigionare una sensualità diffusa e impalpabile fra le eleganti ambientazioni costruite da Genina; e l'indimenticabile sequenza finale illumina retrospettivamente il film accendendolo di toni melodrammatici e simbolici: Lucienne - Louise verrà infatti uccisa mentre assiste ad un filmato dove lei stessa recita. Quando Lucienne giacerà morta la sua immagine sullo schermo continuerà a sorridere ed a cantare.
Il contrasto simbolico tra caducità e grettezza del reale e inalterabilità dell'arte diverrà, in seguito, anche l'involontaria epitome della vita di Louise Brooks la cui icona rifiuta il tempo e sta indifferente di fronte a qualsiasi giudizio di valore.
Interessante ricordare ora la succitata lettera a Guido Crepax: "[...] c'è stato un momento a Parigi nel 1929, quando giravo Prix de beauté e vivevo in pace con me stessa: credo che fosse perché non parlavo il francese. Il fatto di essere perduta era perfettamente naturale tra quelle persone con cui non potevo esprimere né pensieri nè sentimenti [...] Ricorda che quando tornò il figliol prodigo il padre disse : 'era perduto ed è ritrovato'. Fu il padre a trovare il figlio perduto: In certo modo mi è mancato questo esser ritrovata."
Louise Brooks si considerava irrimediabilmente perduta e anelava, senza saperlo, alla propria autodistruzione: i seguenti anni congiureranno velocemente a questo.
Nel 1930 rifiuterà di doppiare un suo precedente film muto, The Canary murder case, (La canarina assassinata), tratto da un romanzo giallo di S. S. Van Dine, e si attirerà la vendetta degli studios hollywoodiani.
La sua parte verrà doppiata (male) da Margaret Livingston e contribuirà a creare la fama che il declino della Brooks fosse dovuto alla sua pessima voce incompatibile con l'avvento del sonoro. Il film rimane comunque memorabile a causa di Louise e del suo costume da canarina ideato dal figurinista Travis Banton.
Da notare che, finita la spensieratezza degli anni '20, il pubblico della Depressione sembra orientarsi su attrici più clamorosamenti fatali. Come ammetterà la stessa Louise in un articolo su Marlene Dietrich: "Le attrici brune, di piccola taglia si eclissarono o si fecero bionde e si ridisegnarono le loro sopracciglie con archi stretti e con false ciglia. Davanti alla macchina da presa lanciavano in primi piani sguardi misteriosi, gettando la testa indietro ad ogni momento e afflosciandosi su letti o divani, prive di difesa".
Sarà proprio da un tipo d'attrice come quello appena descritto che Louise si vedrà soffiare il posto come protagonista di The public enemy (Nemico pubblico) con James Cagney. Il regista William Wellman si era ricordato di lei, ma la Brooks decise che era meglio correre tra le braccia di George Marshall (o fu forse lui a consigliarla in tal senso) che girare un film che si rivelerà storico. Louise girerà alcuni film anonimi (nel 1935 non si concretizzerà un film con Pabst e la Garbo), si risposerà e divorzierà nel giro di alcuni mesi, e poi scomparirà per tornare, nel 1936, con due western, Empty saddles, e Overland stage raiders, con un giovane John Wayne.
Overland sarà l'ultimo film della Brooks: a soli trentadue anni la divina Louise è un'attrice finita e una donna profondamente sola.
Nel 1940 apre una scuola di danza a Wichita che terrà sino al 1943 quando si trasferirà New York: "[...] mi resi conto che l'unica carriera ben retribuita che mi si offriva era quella della squillo. Cancellai il mio passato, mi rifiutai di vedere i pochi amici che mi legavano ancora al mondo del cinema, e cominciai ad affezionarmi a delle bottigliette piene di piccoli sonniferi gialli".
Louise cerca ancora l'oblio, la dimenticanza, ma sarà la grigia quotidianità a scovarla. E' costretta a lavorare alla radio in alcune soap operas, per la pubblicità e ai grandi magazzini Saks, presso il negozio della Fifth Avenue (lei, che era inetta al lavoro manuale).
Lasciato l'impiego nel 1948 si accontenterà di essere mantenuta da alcuni ricchi amici sino al 1955 quando un doppio avvenimento segnerà il resto della sua vita. Infatti, a Parigi, il direttore della Cineteca Nazionale, Henri Langlois, in occasione della mostra 60 ans de cinéma, non solo riproporrà i suoi film dimenticati, ma userà il suo volto come simbolo della mostra stessa (assieme a quello di Renée Falconetti). Interrogato in merito all'esclusione di attrici come Marlene Dietrich e Greta Garbo, il vulcanico Langlois, fine conoscitore del periodo muto, risponderà:"Ma quale Dietrich, ma quale Garbo, c'é solo Louise Brooks!".
Ma un altro incontro si rivelerà decisivo (e fatale), quello con James Card, il fondatore, nel 1947, della cineteca della George Eastman House e, come Langlois, profondissimo conoscitore e ricercatore del periodo muto. Card, figura affascinante e passionale, non solo le aprì le porte degli archivi (dove vide per la prima volta le sue pellicole), ma, colpito dalla qualità della sua prosa, la incoraggiò a scrivere.
Louise, che aveva già distrutto una propria autobiografia, Naked on my goat, comincerà a comporre articoli su Bogart, Lillian Gish, Chaplin, Buster Keaton, pubblicati su riviste come Positif e Sight and sound, con uno stile difficilmente definibile e di alto livello letterario.
Viene alla mente un' espressione foscoliana: "calore di fiamma lontana"; in scritti come Marion Davies' niece, ad esempio, dedicato alla morte dell'amica Pepi Lederer, si ritrovano infatti inseparabilmente frammisti autobiografismo e pettegolezzo fintamente svagato, l'ironico distacco (a volte feroce verso se stessa) e la nostalgia per un tempo e una giovinezza ormai perduti per sempre.
Non a caso Louise nutrirà sempre un amore inestinguibile per la Recherche di Marcel Proust: sapeva quindi del conforto e del dolore della memoria.
Nel 1956 Louise si era definitivamente trasferita a Rochester (New York) dove rimarrà sino alla morte conducendo una vita riservatissima (come rarissima eccezione un viaggio a Parigi nel 1958 dove stringerà amicizia con Lotte Eisner). Nel 1979 Kenneth Tynan le dedicò un lungo articolo sul New Yorker che la fece riscoprire presso il grande pubblico; nel 1982 fu pubblicato con successo Lulu in Hollywood, una raccolta di suoi scritti; si rifiutò sempre di pubblicare una sua autobiografia come spiegò coerentemente nel bellissimo Why I'll never write my memoirs. Come confesserà a Lotte Eisner: "scrivere la verità per lettori nutriti dalle sciocchezze della pubblicità è un esercizio senza senso".
Gravemente malata per un enfisema, non acconsentì a lenire i dolori con i farmaci rimanendo lucida sino alla fine. Muore l'8 Agosto 1985.
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