martedì 3 novembre 2015

Aspettando un bonifico dalla RAI

Ho appena visto su RAI3 uno scrittore pasciuto e pelato fare pubblicità al suo libro.
Non ricordo chi cazzullo egli fosse; il libro cianciava di guerre mondiali, nonni e Ungaretti. L’intervistatrice, una tizia salariata coi soldi della mia IMU, rammentava al telespettatore di quanto il tale libro fosse stato un successo (250.000 copie).
Non presto mai attenzione alle ciarle che spetezza la televisione; di solito non presto attenzione alla televisione in toto, con l’eccezione delle previsioni del tempo di cui sono ghiotto; ho, infatti, prestato servizio nell’Aeronautica Militare per un anno (paga base: lire 130.000) e mi è rimasto nel sangue, evidentemente, un po’ di spirito di corpo: a vedere in televisione i miei ufficiali in divisa azzurra a divinare pioggia o sole mi ridona un certo orgoglio. Per il resto, se ci sia pioggia, solleone o tiri vento me ne impipo altamente.
Ma torniamo al libro.
Riflettevo fra me. Questo tipo, rotondo, sazio, occhialuto, inutile quanto il suo libro, a cui la vita ha risparmiato tutto, avrà un ritorno economico da questo passaggio in televisione?
Credo di sì, altrimenti non sarebbe stravaccato a cianciare sui velluti da me pagati.
Ovviamente questo non è, né è stato, né sarà il solo passaggio pubblicitario (a mie spese).
Insomma, a presentare il pezzo di carta (a mie spese) si guadagna: in copie, autorevolezza, popolarità.
E quanto si guadagna?
Questo lo deve stabilire la RAI.
Ecco come procedere.
La RAI, coi suoi potenti mezzi, faccia un po’ di conteggi (ne avrà di ragionieri in corpo, o no?) e poi richieda il dovuto al tizio che ha usufruito del know how (studios, registi, sceneggiatori, truccatori, operatori, uomini immagine, luciferi) da me profumatamente pagato.
Una volta ottenuto il dovuto la RAI lo giri al sottoscritto. Fosse anche un milionesimo di centesimo lo accetto volentieri.
Si comincerebbe, quindi, a derogare al celeberrimo andazzo del parassitismo nazionale sintetizzato mirabilmente dal motto: “Privatizzare i guadagni, socializzare le perdite”.
Conosco le obiezioni: si tarperebbe il diritto di cronaca di informazione di libera scelta … et cetera … si conculcherebbe la libertà del giornalista, del lavoratore … la deontologia … non può esservi, insomma, relazione fra le mie rimostranze di contribuente e i comportamenti del professionista, anche di quello pagato coi soldi di tutti …
Non ho che due risposte.
La prima. Sono troppo cresciuto, smaliziato e incattivito per creder a cazzullate del genere, quindi: raus.
La seconda. Visto che l’ignominia del canone andrà in bolletta vorrei sapere, se non è disturbo, qual è la relazione fra accendere lampade, stereo e lavatrice e il pagamento di queste marchette?
Un saluto.

In attesa del prossimo convegno sul declino della letteratura italiana, beninteso.

3 commenti:

  1. Il canone in bolletta è uno scandalo da dittatura, indegno della cosiddetta (e presunta) democrazia in cui viviamo. Sono un fiero ed orgoglioso e****e di questa marchetta indecente.
    Allora, in cambio di questo sopruso, come contentino pretendo il diritto di accedere a qualsiasi cosa presente negli archivi Rai.

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    1. Ci sono andato presso gli archivi RAI ... è impossibile accedervi, figuriamoci visionare o ascoltare qualcosa.
      Posso anche anticiparti che molti filmati e registrazioni sono perduti.

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  2. ..E' un atto mafioso, assurdo e fuorilegge.

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