Non ho mai considerato, nella mia vita di ascoltatore, i canadesi Rush (Alex Lifeson, chitarra; Geddy Lee, voce, basso, tastiere; Neil Peart, batteria); per le stesse motivazioni, probabilmente, che m'indussero a trascurare i Dream Theater. La fusione, spesso di cattiva lega, che gruppi a loro simili avevano operato su progressive e hard rock aveva scoraggiato, a priori, un'analisi approfondita (id est, di tutta la discografia).
E questo, naturalmente, fu un errore. Non che i Nostri non abbondino, specialmente nella produzione tarda, in compiacimenti formali, ma alcuni episodi della seconda metà dei Settanta sono innegabilmente notevoli; e in questo live essi vengono riuniti in larga parte e sublimati dall'esecuzione di uno dei power trio migliori di sempre (non si accettano obiezioni). Jacob's ladder, Broon's bane/The trees/Xanadu e i due strumentali, YYZ, con piacionico assolo di Peart, e la straordinaria La villa strangiato (sorta di neologismo angloispanico) valgono, eccome, il prezzo del biglietto.
Resta da stabilire se i Nostri siano destri o mancini, un enigma che ha appassionato parecchi in Italia; sulla sponda sinistra, soprattutto. Nella canzone The trees, forse, la risposta: il testo di Peart parla di aceri e querce; i primi sono invidiosi dell'altezza delle seconde e chiedono pari diritti e pari opportunità di luce. La ottengono e così, conclude l'apologo, tutti saranno uguali per l'ascia, la sega e l'accetta.
L'ideologia di Peart, che ha fortemente subito le suggestioni della scrittrice Ayn Rand, è quella di un libertario individualista, ovviamente di destra, devoto della libera impresa e di uno Stato che assommi esclusivamente le funzioni di guardiano della pace sociale; ogni pulsione collettivista e livellatrice di matrice socialista (o comunista) e fascista (o nazionalsocialista), va dunque aborrita. Si delinea una sorta di anarcocapitalismo moderato che contempla esclusivamente la forza creatrice dell'individuo (un egoista razionale) - un individuo che ha il diritto morale, in tali termini, di perseguire la propria felicità senza danneggiare il prossimo. Una visione del mondo che si è inverata, senza residui e sforzi, proprio nella nazione, gli Stati Uniti, che accolse nel proprio seno l'esule ebrea russa Ayn Rand.
Peccato che la Rand non avesse previsto che tale filosofia (garante, a suo dire, di una pace perpetua e della fine della storia) sarebbe rovinata, in virtù proprio delle premesse, entro un capitalismo di guerra sorretto da un nichilismo tecnico e psicopatico. Non stupisce che nel Collettivo Ayn Rand, un gruppo di studio devoto all'ideologia della russa, sedesse il futuro presidente della Federal Reserve, il genocida seriale Alan Greenspan.
Chissà se Neil s'è mai accorto del ginepraio ideologico a monte delle proprie canzonette.
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