Presenza costante, Musa tenebrosa, outsider ispiratore: H.P. Lovecraft. Perché uno scrittore reputato di terz'ordine abbia assunto tale allusiva centralità nella nuova musica è dibattuto: il fatto di essere relegato nelle note a pié di pagine delle storie letterarie lo ha, forse, reso simpatico a chi veniva relegato nelle note a pié di pagine delle storie della musica moderna: il richiamo dell'outlaw accademico. Forse, più probabilmente, Lovecraft affascina, perché, dopo secoli, crea una nuova mitologia; egli evoca una serie di deità inumane, indifferenti all'uomo, incommensurabilmente antiche, e a fronte delle quali le trascurabili creazioni greche, mediorientali ed orientali vengono annientate. Il disagio indotto nel lettore da questo immane cambio di prospettiva è la cifra peculiare dello scrittore – un disagio che rimane ad onta d'una scrittura che, a tratti, nel tentativo di suscitare l'orrore, deborda nel pleonasmo ridicolo.
Azathoth, l'Entità Suprema, il Caos Assoluto, il dio cieco e idiota che gorgoglia tra lo strepito di flauti e sistri al centro di un universo insensato, fornisce il moniker al micidiale trio St. Louis, Missouri* (trasferitosi poi a New York).
John Zorn, Glenn Branca, dub, metal, echi di Pop Group, prodromi di Scorn, informano la fornace ardente di Undertow, undici strumentali in cui brani di alleggerimento dub (il secondo, il quarto, il sesto e il nono) s'alternano a devastanti palle di fuoco fusion, dove il nucleo originario, quasi heavy metal, è sublimato dalle distorsioni e dai grovigli elettrici di Hawkins, dall'inesausto drumming di Epstein, dai gloglottii del basso (su tutti Drowning). La finale e breve Purged specimen riunisce mirabilmente, in meno di due minuti, tutte le istanze ispirative dell'album, vi aggiunge un sassofono distorto e un assolo con la rincorsa di Hawkins: crossover, new-hardcore, dub-metal?
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