La produzione di Maurice DeJong è una delle più estreme esplorazioni del Male. Egli riesce a concretare musicalmente l’angoscia di un’umanità oppressa da forze incombenti e minacciose che, indifferenti alla nostra sorte, creano e schiantano l’universo a loro capriccio mentre “i migliori angeli della nostra anima” vengono esiliati dal gelo del sadismo e della sopraffazione.
Costretto dall’enormità della propria visione di sfacelo cosmico, l’olandese oltrepassa inevitabilmente qualsiasi genere pregresso (dal doom all’industrial) e fonda, in territori assolutamente inumani, una personale sinfonia dell’orrore metafisico.
La sua ultima opera, monografia in cinque atti dedicata alla Morte, sembra un triumphus tardo medioevale: nell’affresco di Clusone (BG)*, uno dei più pregevoli, la Signora del Mondo, ammantata nei simboli della regalità e circondata da scheletri, domina sui cadaveri del Papa e dell’Imperatore, tormentati da bestie immonde; commercianti, filosofi e giudici offrono ricchezze per ottenere la salvazione, ma Essa rimane insensibile alle tarde e vili offerte di mercimonio. Il titolo francese, inoltre, pare alludere ad un dipinto complementare a quello precedente, L'entrée du Christ à Bruxelles, del belga James Ensor, in cui il Cristo, Signore dell’Oltremondo, viene schernito da una folla brutale pronta all'ossequio e al deicidio. DeJong sembra dirci che l’esistenza non ha redenzione e il suo unico orizzonte, la fine fisica, ha scacciato la speranza, retaggio di fedi ormai insensate; qualsiasi figura salvifica viene derisa come lo Sconfitto di Ensor.
L’olandese costruisce il trionfo sviluppando un tono epico, costruito da cori, pesanti clangori gotici, bassi distorti e urla straziate: la Morte incede venerata dal proprio corteo macabro, quindi siede sul trono niveo mentre un canto che celebra l’ineffabile splendore della nuova Imperatrice percorre come un vento di follia ghiacciato i residui viventi, ormai perduti per sempre.
Le storie letterarie, religiose e artistiche annoverano migliaia di inferni, ma questi, anche i più agghiaccianti, erano riscattati dal calore della creazione e dell’immaginazione e quindi dell’umanità che li aveva dettati; Gnaw Their Tongues priva di ogni forma di empatia le proprie creazioni e ci consegna schegge di nichilismo incontaminato.
* Opera di Giacomo Borlone de Buschis, dipinti verso la fine del Quattrocento, si trovano presso l’Oratorio dei Disciplini.
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