Skullflower è un progetto ideato dal chitarrista inglese Matthew Bower, attorno a cui ruotano, di volta in volta, vari strumentisti (in tale occasione Stuart Dennison, Russell Smith e Anthony DiFranco).
Obsidian shakin codex, probabilmente la punta più alta della loro prima produzione, consta di cinque strumentali che mantengono, per tutta la loro durata, una tensione implacabile aliena sia da cedimenti che da cambi di ritmo.
In Sir Bendalot (9’12’’) un assolo da finis terrae (whistle o pennywhistle, più o meno manipolato) attraversa ominoso i nove minuti del pezzo come un flauto apocalittico rinfocolato da una rocciosa sezione ritmica.
Circular temple (12’37’’) è un altro viaggio in cui basso e percussioni, pur giocando un apparente ruolo di secondo piano, riescono a disboscare lo spazio sonoro che la chitarra può invadere originando una vera colata lavica di accordi straziati.
Crashing silver ghost phallus (11’15’’), dopo la breve illusione dei primi secondi, si trasforma in uno spietato sferragliamento noise, sorta di rivisitazione e decuplicazione dei feedback imitativi nella Star spangled banner di Woodstock.
In Diamond bullet (15’34’’) un effetto drone ossessivo e stordente fa da spina dorsale alle improvvisazioni di Bower, al basso e alla batteria; sovraimposizioni ed un recitativo straniante e ripetitivo alimentano vieppiù l’incedere infernale di questo ennesimo tour de force.
Ghost jaguar (24’56’’) parte piano, ma i nembi si addensano plumbei sin dai primi minuti: brevi rullate, un sommesso e minaccioso basso di fondo e le contorsioni, i gorgoglii e le impennate chitarristiche concrescono gradatamente sino al raggiungimento di un ruggente impasto sonoro che si preserva intatto sino agli attimi finali.
I successivi progetti di Bower, Sunroof e Hototogisu, complicheranno ulteriormente una discografia vasta ed articolata, difficile da valutare nella sua integralità: Obsidian è, tuttavia, la porta privilegiata da cui accedervi.
Circular temple (12’37’’) è un altro viaggio in cui basso e percussioni, pur giocando un apparente ruolo di secondo piano, riescono a disboscare lo spazio sonoro che la chitarra può invadere originando una vera colata lavica di accordi straziati.
Crashing silver ghost phallus (11’15’’), dopo la breve illusione dei primi secondi, si trasforma in uno spietato sferragliamento noise, sorta di rivisitazione e decuplicazione dei feedback imitativi nella Star spangled banner di Woodstock.
In Diamond bullet (15’34’’) un effetto drone ossessivo e stordente fa da spina dorsale alle improvvisazioni di Bower, al basso e alla batteria; sovraimposizioni ed un recitativo straniante e ripetitivo alimentano vieppiù l’incedere infernale di questo ennesimo tour de force.
Ghost jaguar (24’56’’) parte piano, ma i nembi si addensano plumbei sin dai primi minuti: brevi rullate, un sommesso e minaccioso basso di fondo e le contorsioni, i gorgoglii e le impennate chitarristiche concrescono gradatamente sino al raggiungimento di un ruggente impasto sonoro che si preserva intatto sino agli attimi finali.
I successivi progetti di Bower, Sunroof e Hototogisu, complicheranno ulteriormente una discografia vasta ed articolata, difficile da valutare nella sua integralità: Obsidian è, tuttavia, la porta privilegiata da cui accedervi.
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