Esiste una musica borghese (civile, secolare, narrativa) ed una non-borghese (extraurbana, evocativa, spirituale)? Forse sì. La psichedelia strumentale del terzetto norvegese Tangle Edge (Ronald Nygård, chitarra, tastiere, percussioni; Hasse Horrigmoe, basso, chitarra, tastiere; Rune Forselv, batteria), fedele a certe sonorità anni Settanta, e complicata da precise coloriture etniche, appartiene all'ultima, pur lasca, categoria.
Tutti noi ci siamo esaltati nelle cadenze più lineari e rassicuranti (in quattro quarti: U2, Springsteen, Elton John; anche certo AOR, lo si ammetta), oppure in quelle più malate, feroci ed oblique (il numero è legione, dai Velvet ai Pussy Galore) sino ai mantra più esoterici. I primi accordi di Kanaan, degli Amon Düül II, arcani come un tempio Maya sepolto dalla vegetazione, sono un esempio chiarissimo di musica oltremondana, evocativa, anti-narrativa, spirituale, ciclica, allusiva.
Possiamo affermare, con buona dose di sicurezza e una scusabile tendenza alla grossolanità, che il miglior Springsteen (chiunque può aggiungervi il proprio boss) è un buon romanzo di solide virtù medie e tende al monolinguismo, mentre la psichedelia più radicale o il kraut o l'avanguardia rock dai Novanta in poi tende alla lirica interiore, all'epica religiosa, allo sciamanesimo, alla polisemia.
I Tangle Edge contribuiscono al campo anti-prosastico con uno dei lavori più rimarchevoli di fine anni Ottanta: vi si trovano incastonati, fra altre sfavillanti pietruzze, i quindici minuti di Solorgy, ennesima madeleine di un'epoca irrecuperabile di fuoco e nostalgia.
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