Diluire il passato e la cultura in un eterno presente e, per ciò stesso, abolire il futuro. Il Nuovo Potere non ha alternative; la Storia si è chiusa. L’infinita varietà degli esseri umani, l’orizzonte degli eventi delle possibilità, degli incroci, delle giustapposizioni, l’immane quantità di dolore e furore e speranza, tutte le cangianti sfumature dell’animo umano, dal bruto al santo, hanno finalmente trovato riposo nella quiete dell’oggi. Finalmente la pace. Nessuna fuga in avanti, nessuna rivoluzione a salvarci. Il passato, quell’orrore di rovine e strepito, già sbiadisce: l’oggi è confortevole, perché volgersi verso quel lucore barbarico? E il futuro, così simile all’oggi, non esiste.
Atene, Roma, Tunisi, Alessandria, Costantinopoli, le capitali dell’infamia, verranno inghiottite dall’eternità del presente - dalla nuova gioia - e allontanate in un ricordo sempre più flebile. Disperso il genio, annichilite le passioni, profanati gli altari, spenti gli incendi. Perché venerare quei libri, quei luoghi, quelle forme che riaccendono la memoria e l’ardore e la furia? Il Nuovo Potere sussurra: dimenticate il passato, è questo il vero rimedio! Ignoratelo. Riponete nell’ignoranza la vera felicità. Il tepore circolare del presente, senza scatti, senza genio, ma democratico, libero. Siate liberi, finalmente! Godete di queste conquiste e misurate la vostra vita con cucchiaini da caffè. Un giorno dopo l’altro. Dimenticate chi siete e il passato, il vero dolore, si sbriciolerà lasciando aperta qualsiasi porta! Chiudete gli occhi e, soprattutto, obliate quelle memorie d’infamia! Nolite timer, Roma perit!
Come Hegel vedeva le gigantesche spirali del divenire acquietarsi nella perfezione dello Stato prussiano, così il Nuovo Potere decreta la dittatura eterna del presente edonistico in cui l’assenza di ciò che è stato rende incomprensibile i fatti, il futuro, la vita. D’altra parte a chi importa?
I popoli, le loro musiche, le loro arti muoiono lentamente. L’homo novus avanza, indistinguibile. A Roma ogni giorno spariscono i segni del passato: una pietra levigata dai secoli, una breccia del Foro, un’edicola mariana, un arco barocco, un affresco, un terrazzino liberty chiuso da infissi in alluminio anodizzato. Presto non rimarrà che il presente. Atene, Roma, Tunisi Alessandria, Costantinopoli come Seattle, Dubai, Las Vegas, Montecarlo. I mozziconi dei monumenti ristaranno davanti alle nuove generazioni come manufatti alieni, come insensate costruzioni di una civiltà assolutamente altra. Senza scopo, rovineranno su se stessi come gli affreschi romani nella mirabile scena di Roma di Federico Fellini.
Pompei, il Vaticano, Civita, Cortona, il Colosseo.
Scrive Pasolini su il settimanale Tempo (‘Tempo’, non ‘Il Tempo’) il 5 Aprile 1969:
“I monumenti, le cose antiche, fatte di pietra o legni o altre materie, le chiese, le torri, le facciate dei palazzo, tutto questo, reso antropomorfico e come divinizzato in una figura unica e cosciente, si è accorto di non essere più amato, di sopravvivere. E allora ha deciso di uccidersi: un suicidio lento e senza clamore, ma inarrestabile. Ed ecco che tutto ciò che per secoli è sembrato ’perenne’, e lo è stato in effetti fino a due tre anni fa, di colpo comincia sgretolarsi, contemporaneamente. Come cioè percorso da una comune volontà, da uno spirito. Venezia agonizza, i sassi di Matera sono pieni di topi e serpenti, e crollano, migliaia di canali (stupendi) in Lombardia, in Toscana, in Sicilia, stanno diventando dei ruderi: affreschi, che sembravano incorruttibili fino a qualche anno fa, cominciano a mostrare lesioni inguaribili. Le cose sono assolute e rigorose come i bambini e ciò che esse decidono è definitivo e irreversibile. Se un bambino sente che non è amato e desiderato - si sente ’in più’ - incoscientemente decide di ammalarsi e morire: e ciò accade. Così stanno facendo le cose del passato, pietre, legni, colori. E io nel mio sogno l’ho visto chiaramente, come in una visione”.
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Le canzoni di Pier Paolo Pasolini assommano tutti i brani che vantano testi del poeta. Interpreti (Laura Betti, Domenico Modugno, Giovanna Marini, Fabrizio De André) e musiche (Morricone, Umiliani, Endrigo) variano; tra le sedici spicca l’eccezionale versione di Cristo al Mandrione (non quella del video), cantata da Gabriella Ferri su musiche di Piero Piccioni. Il Mandrione era borgata miserrima del sud di Roma, fra Casilina e Porta Furba (famigerate le baracche ricavate presso gli archi dell’Acquedotto Felice).
Ecchime drento qua, tutta gnuda
fracica fino all'ossa de guazza
intorno a me che c'è
quattro muri zozzi un tavolo un bide'
Fileme se ce sei Gesù Cristo
guardeme tutta sporca de fanga
abbi pieta' de me
io che nun so gnente e te er re dei re
lavora senza mai rifiata'
moro e l'anima nun sa
Fileme se ce sei Gesù Cristo
guardeme tutta sporca de pianto
abbi pieta' de me
io che nun so gnente e te er re dei re
Fileme se ce sei Gesù Cristo
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