Pasolini comincia leggero: “Ho visto ieri sera (Venerdì Santo?) un mucchietto di gente davanti al Colosseo … ho creduto in un primo momento che si trattasse del gesto di qualche disoccupato arrampicato in cima al Colosseo. No. Era una funzione religiosa a cui doveva intervenire Paolo VI. C’erano quattro gatti … Credo che non ci fosse nessun romano. Un insuccesso più completo era impossibile immaginarlo”*. Tale spettacolo però lo raggelò nel profondo. Una nuova bestia dagli occhi verdi emergeva dalle acque ribollenti della postmodernità – una bestia suasiva, democratica, permissiva, tecnica: il Nuovo Potere, il Consumismo, il Fascismo Pubblicitario etc etc.
Assieme alla Chiesa spariva improvvisamente dall’orizzonte storico quella tradizione agreste, familista, cautelosamente paleoindustriale, cattolica, che aveva costituito il midollo italiano per millenni e raccolto l’eredità immane della koiné greco-romana - un tronco gigantesco e immutabile da cui rampollavano le varietà straordinarie dei popoli italiani, dei linguaggi, delle arti, delle stratificazioni urbanistiche, degli incroci culturali e di sangue, delle forme, dei paesaggi, dei volti. Lo stesso fascismo storico (quello del ventennio mussoliniano), nonostante i tentativi disperati (linguistici, architettonici …), fu impotente di fronte a tale fioritura eterna. Di qui i fraintendimenti: Pasolini cattolico, Pasolini non antifascista coi fascisti. Vero: Pasolini rimpiangeva quella tradizione contadina, semplice e distillata nei tempi: in tal senso fu un vero cristiano, un dolciniano furente, debole coi semplici ed avverso al mondo clericale e piccolo borghese, crassamente pragmatico e prevaricante. Vero: egli liquidò brutalmente il fascismo storico come "banda di criminali" e "pietoso rudere", come breve accidente storico: per gli antifascisti, perciò, non fu abbastanza antifascista, poiché il suo antifascismo fu sempre diretto contro il nuovo Fascismo dello sfrenamento edonista, dei falsi diritti civili, della falsa democrazia. Si doveva, forse, perdere ancora tempo con Almirante quando il nuovo Moloch avanzava come il Colosso del quadro di Goya? La Chiesa, come il fascismo classico, era ormai INUTILE al Nuovo Potere; lo stesso Paolo VI, nello storico discorsetto di Castelgandolfo**, lo asserì disperato: quel mondo bifronte (il clero, che Pasolini odiava, e la sfera popolare, magica e tradizionale e patriarcale, che Pasolini amava con trasporto) era stato soppiantato (come il fascismo storico) e relegato ad un ruolo vicario e ancillare del Nuovo Potere. Tutto in pochi anni, come in un incubo: gli Italiani come polli d’allevamento, sradicati come schiavi africani, infelici, nevrotizzati, deturpati, afasici, apolitici, feroci, omologati, globalizzati. Ma gli Italiani sono il mondo, il tumore alligna ovunque.
Circa otto prima, nel 1967, uno scrittore clandestino, Guido Morselli, bolognese come Pasolini, licenziava la distopia Roma senza Papa***, resoconto sulla morte inesorabile della Chiesa. Il protagonista, un prete autore dello scritto Difesa dell'Iperdulia (ovvero del culto della Maria Vergine), un dogmatico legato al passato, si muove in una Roma di fine millennio, "magnificamente squallida", avvolta in un’atmosfera pacatamente apocalittica. Il Papa, Giovanni XXIV, un irlandese dal "bel volto fratesco", si è ritirato a Zagarolo; riceve poco, parla poco, sembra disinteressarsi dei destini della Cristianità; sovraintende alla divisione territoriale della Luna (ricca di kennedyo e kruscevio) fra Unione Sovietica e Stati Uniti; si dice abbia una fidanzata, Oona Lynne Berenice Moraswami, coltissima buddista zen; d’altra parte accende anche l’interesse (platonico?) della nuova Presidentessa americana, Jacqueline Kennedy. L’apparato vaticano, ricchissimo di tradizione e di liturgie, è stata liquidato per una burocrazia da terziario avanzato, la guardia svizzera sciolta. Il predecessore di Giovanni, Libero I (successore di Paolo VI), con l’enciclica Foederis mirandi ha posto fine al celibato ecclesiastico e ridimensionato il culto mariano. La Chiesa si è riavvicinata al Nord protestante e ceduto larghe fette di sovranità spirituale alla psicanalisi (sorge l’IPPAC, Istituto per la Promozione della Psicanalisi Cattolica che si occupa di peccato e diavolo; "l'inconscio signori miei"); si guarda con benignità all’omosessualità, all’uso delle droghe, all’ecologismo zoofilo, al tecnicismo scientifico, all’eutanasia, agli anticoncettivi; i seminari pullulano di atei; si scambiano missionari con la Melanesia; Claudio Villa è senatore a vita; il Vicariato di Roma è retto, di fatto, dal Papa nero, generale dell’ordine dei Gesuiti, che, con brillante pragmatismo, asseconda il “vizio del secolo, la volgarizzazione e laicizzazione della sfera ecclesiastica e religiosa ...”: sono, tutti questi, “gli epifenomeni di una tendenza storica irreversibile”.
A quali esiti avrebbe potuto condurre tale sfacelo? Diciamo tre, tanto per fare numero. 1. Il suicidio del Papa e della Chiesa come in Mysterium iniquitatis di Sergio Quinzio. 2. Il ritorno ad una cristianità primitiva resa possibile dalla liberazione dal potere (Pasolini vagheggiava di un Papa che lascia le scenografie vaticane a favore di uno scantinato a Tormarancia). 3. La cooptazione della Chiesa entro il Nuovo Potere (e in funzione subordinata).
Che dire? La terza soluzione è già brillantemente in atto da un paio di decenni, fra alti, bassi, tacitamenti, resistenze, finte apostasie, fughe in avanti.
Il sacro è bandito dall’orizzonte dei fedeli; resta la normalità burocratica (comunioni, natali, pasque, sponsali, battesimi, unzioni varie). Crocefissi ed ostensorî son posti all’incanto, gli altari riadattati a scrivanie dirigenziali, i calici a delicati flûtes per lo sciampagnino dell’ora felice. Il Papa tratta, in veste d’amministratore delegato d’una multinazionale, con governanti, satrapi finanziari, comunicatori di massa, mercanti d’armi, genocidi.
Cosa manca ancora per rendere plastica questa immane resa? Forse un immagine davvero simbolica, sfumata tra il ridicolo e il glamour. All’attesa ha posto fine una rivistucola locale del Nuovo Potere, Vanity Fair: in copertina (16 Gennaio 2013 Anno Domini) campeggia il bel volto del favorito del Pontefice, un arcivescovo fresco di nomina; in esergo la didascalia: “Essere bello non è un peccato”, in micidiale parallelo con la pubblicità dei jeans Jesus che proprio Pasolini esaminò per dimostrare che la Chiesa contava, nell’ambito edonista-postmoderno-consumista, meno di zero. Il Ganimede anzidetto è, a tutti gli effetti, un tassello polimorfo e intercambiabile della Supercasta Internazionalista e Apolide: è un prete, ma potrebbe essere un modello di Prada, un attore del Sacro Bosco di Los Angeles, un pilota di Formula I, un viveur da Costa Azzurra.
La Chiesa di Roma è irreversibilmente sussunta nella sfera atea e demoniaca del Nuovo Potere, strutturato gerarchicamente e globalmente su basi plutocratiche e feudali.
Il cielo è ormai vuoto, il sacro annichilito, le illusioni bandite; a quale sorgente può abbeverarsi un artista, un musicista che voglia proporre esiti autentici, non seriali, sorgivi (lo notammo a proposito di Third Ear Band e Voice of Eye)? La risposta: deve accostarsi al passato o ai territori residuali non ancora lambiti dal nichilismo occidentale. La discoteca di Pasolini**** (che fornirà materiale sonoro a commento dei film), ricca di musica etnica (africana, araba ed orientale, ma anche russa, spagnola e greca), era la testimonianza di una disperata fuga in un passato in cui gli dei ancora sussurravano speranze alle orecchie umane: la grecità (Medea, Edipo re), il Medioevo (Decameron, I racconti di Canterbury), la purezza paleocristiana (Il Vangelo secondo Matteo), il Medioriente favoloso (Il fiore delle Mille e una notte, Sopralluoghi in Palestina, Le mura di Sana’a), l’apologo (La Terra vista dalla Luna, La sequenza del fiore di carta, Che cosa sono le nuvole), le periferie urbane (Accattone, Mamma Roma), le periferie del mondo (Appunti per un film sull’India, Appunti per un’Orestiade africana). Pellicole su civiltà perdute e sonorizzate da musiche di popoli sconfitti dalla storia.
Guido Morselli e Pier Paolo Pasolini testimoniarono in solitudine la disfatta. Ancora oggi molti ne parlano a stento, inebriati dalla potente droga del conformismo, anzi, spesso ne rifuggono come a toccare il ventro flaccido d’un ratto.
Il primo si fece saltare le cervella su una sedia da giardino il 31 Luglio 1973; il secondo finì ammazzato da chissà chi il 2 Novembre 1975, in una delle più luride e desolate periferie della Roma senza Papa.
* Scritto del Marzo 1974, non pubblicato.
** I dilemmi di un Papa, oggi, Corriere della Sera, 22 Settembre 1974.
*** Libro pubblicato postumo nel 1974, come tutte le opere di Morselli.
**** Cfr. La discoteca di Pasolini
Santo Dio: Pasolini 39 anni fa già aveva compreso in che direzione stavamo andando!
RispondiEliminaIn quegli anni, poi, il consumismo era una frazione infinitesima dell'inutilità di cui ci circondiamo oggi e non aveva i cicli isterici della "smartphone economy" moderna: se compravi un televisore questo durava fino ad esaurimento delle valvole, che oltretutto trovavi come pezzi di ricambio.
Un saluto.
Io ho ancora la radio col cordino e un registratore con cassetta di metà anni Settanta. Funzionano. Non ci si fa nulla ormai, ma funzionano.
EliminaLa radio di mio nonno funziona ancora (anni Cinquanta).
Lo stereo Technics del 1981 funziona pure lui (ci ascolto vinili, cassette, cd e MP3).
Funzionava pure una televisione Telefunken B/N di fine Settanta.
Di cellulari ne ho cambiati otto in dieci anni. Ad un certo punto muoiono fulminati.