Ora è un collettivo britannico di musica ambientale formato da Colin Potter, Andrew Chalk e Darren Tate.
I titoli delle otto composizioni dell’opera (all’incirca fra gli otto e dodici minuti) sono riferimenti geografici di paesaggi naturali: fiumi, formazioni glaciali, foreste, valli, protrusioni vulcaniche, falde acquifere, colonne d’acqua …; si potrebbe pensare, vista l’estrazione culturale del terzetto, ad una versione sonora, adattata al nuovo millennio, di una sensibilità tipicamente romantica propria dei laghisti come Wordsworth e Southey. In tale corrente, infatti, non riviveva forse il sentimento delle elegie pagane germaniche compiaciute nella visione di orizzonti desolati e rovinosi - correlativi psicologici di un fatale pessimismo circa le sorti umane? Certamente gl’inglesi temperarono tale sentire troppo acerbo grazie anche agli influssi francesi (e italiani, per via dotta), ma tale temperie romantica traeva dalla contemplazione di momenti e luoghi particolari la predisposizione mentale atta alla produzione e all’apprezzamento artistici. Da ciò la svalutazione, più o meno accentuata, delle composte regole della tradizione classica e una tendenza all’interpretazione soggettiva e magica dell’esperienza che l’autore, al cospetto dello scontro fra uomo e Totalità (di cui la natura è occasione di meditazione ispirativa), interpretava variamente: da una confortante beatitudine, ad una sorta di comunione dei sensi panteista sino al compatimento della finitezza umana, temperate, tuttavia, da una sotterranea malinconia crepuscolare.
L’ascolto degli Ora (ma anche di numerosi gruppi ambientali di estrazione nordica) conforta tale ipotesi: sin dalle prime note ci incamminiamo lungo un itinerario fantastico in cui ampi e sommessi tappeti sonori vengono increspati da risonanze equoree, sospiri, echi di recessi sotterranei, sciabordii, semplici effetti elettronici (In a forest on a glacial till formation on the puget sound; Inside structures on either side of the Meuse River; From a high structure near the Odra River) in cui i paesaggi non vengono evocati ricorrendo alla musica imitativa, ma, piuttosto, ricreati per accumulazione di tocchi sonori, quasi impercettibili su uno sfondo così dilatato; in tal modo la contemplazione della maestà della Natura entra in tensione con l’irrilevanza umana e ingenera quell’esperienza sublime da cui scaturisce l’apprezzamento del bello. Il tutto grazie ad una economia di mezzi invidiabile.
Tale branca della nuova musica (ambientale, drone, new age…) prosegue e rinnova, forse oscuramente, un fondamentale atteggiarsi umano verso l’inconosciuto già variamente espressosi nella storia. Una risposta non tanto all’accademia, ben accetta, ma alla serialità ed al conformismo senza scampo che, quotidianamente, subiamo.