Il chitarrista tolosano Jean-Pierre Grasset "è" i Vertø o Verto: egli ha in mente Gottsching o qualche altra anima bella tedesca, ma vive in pieno zeuhl (Benoît Widemann e Jean-Pierre Fouquey stazioneranno nei Magma) e allora assorbe parte delle qualità tipiche di quel progressive sghembo e poco rassicurante; però in Oka mi pare di sentire consonanze col David Crosby di If I could only ... il risultato è, quindi, incerto, a tratti indecifrabile nella sua esitante varietà. Mezzo crudo? O mezzo cotto? Non importa perché, come sempre, alla domanda principe che dovrebbe farsi un critico minimamente degno del proprio ruolo (questo disco è bello o brutto? Insignificante? Importante? Passabile?) ci si ritrova nel mezzo dei dubbi più terribili. Ovvero: per quei tempi ... e le ambizioni di quei tempi ... e la ricchezza inesauribile di quei tempi ... a vederli retrospettivamente, quei tempi ... sembra un dischettino discreto, piacevole ... e però il sottoscritto lo ascolta nel 2023, capite? E allora, reduce dall'ambient music metropolitana del 2023, dove ti sparano nelle orecchie le peggiori idiozie pop e la sciacquatura di piatti melodica dei talent show - allora, dico, Grasset e i Vertø mi appaiono come un accecante lampo di genio.
Insomma, a dirla tutta, e a farla breve, a uno che è immerso nella merda, anche l'odore di bruciaticcio sembra il profumo dei Campi Elisi.
I 18'35'' di Strato, tuttavia, nonostante il déjà vu, con quelle eco interstellari, non sono poi niente male. Lo affermo oggettivamente, assolutamente, imparzialmente.
Disco dalla Nurse With Wound list.
Bentornato! Cerca di farti vedere un po' più spesso ;-)
RispondiEliminaconcordo con lo sconosciuto di cui sopra
RispondiEliminaMi è piaciuto molto il tuo post! Le tue intuizioni sono state impressionanti. Non vedo l'ora di saperne di più.
RispondiEliminaGreat sharee
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