Inutile girarci intorno, un omaggio è doveroso. Quando scoccavano i primissimi anni Ottanta, 1980-1982, quella fugace, malferma e magica continuazione del decennio in cui avrei voluto vivere avendo vent'anni e più cervello; quando le guide musicali, al pari delle lire, latitavano; quando i negozi di dischi vendevano solo dischi; quando gli MP3 erano nella mente del Dio del Rock, certi album ingigantivano nell'immaginario dei quattordicenni brufolosi come un sogno erotico.
Non solo possedere, ma anche solo intravedere certe copertine regalava brividi mai più provati. A dir la verità mi capita ancora adesso a qualche mostra vintage, ma allora era un'altra cosa.
Uno dei feticci era Transformer (quello con David Bowie ai cori di Satellite of love!) e, prima ancora, Rock and roll animal, una meraviglia live, con Lady Day; anzi no, macché live, fermi tutti, bisogna comprare Berlin, questo è il vero capolavoro asociale di Reed, altro che Transformer; contrordine! Prima ancora ci sono i Velvet Underground (non lo sapevate, coglioni?) e il primo disco (di cui si ignorava il colore della banana: gialla o rosa?): questo è il massimo, ragazzi, anche se, lo ammetto, qualcuno dice che, però, forse, è meglio il secondo dei VU perché ci sono White light white heat, The gift e Sister Ray: cosa dice Bertoncelli di Sister Ray, guarda un po' quella cazzo di guida che hai fregato a casa del porco ricco della classe ... Oh, dico, Sister Ray, venti minuti, vogliamo mettere, questa è musica free form, mica il melodismo della crucca che c'era prima ...
La morte di Lou Reed, e così sarà per i magnifici brontosauri ancora in giro (Dylan, Bowie, Jagger, Townsend), porta via non solo l'artista, ma proprio una parte di se stessi, anzi una parte di quelle ingenuità che, al pari delle esperienze più durature e immortali, formano la nostra personalità.
Basta, non ho altro da dire.
Questo live l'ho sentito mille volte e Rock 'n' roll, il pezzo finale, mille volte più una.