Fever Tree (USA, Houston, Texas) - Fever Tree (1968). Si comincia con un'infelice volgarizzazione di Bach (Imitation situation - Toccata and fugue), si prosegue con una buona composizione di beat psichedelico (Where do you go, con tocchi dal Bolero di Ravel!, replicati inFilligree & shadow), poi i ragazzi rimettono i piedi a terra, virano sui Beatles (Day tripper) e trovano il loro peculiare registro con le ultime due tracce, la notevoleUnlock my door e l'intimista Come with me (Rainsong). Dennis Keller, voce; Michael, chitarra; Rob Landes, tastiere, flauto, violoncello; E. E. Wolfe III, basso; John Tuttle, batteria, percussioni.
Mouse &The Traps (USA, Tyler, Texas) - The Fraternity years (1997; recordings 1965-1968). È nato prima l'uovo (A public esecution dei Mouse Traps) o la gallina (Like a rolling stone o, meglio, il Bob Dylan elettrico)?Ovviamente la gallina, mi affretto a dire con i piedi lambiti dalle fiamme infernali direttamente attizzate da Jimmy 'Aleister' Page di cui ho leso la maestà blues. Certo che l'interpretazione vocale di Weiss e il folk elettricoà la Byrds sono, a tratti, affini in modo sconcertante ai coevi (1965) esperimenti del Vate. Alto il livello, piacevole la varietà (influssi orientali, blues etc etc). Una sorpresa. Mouse (Ronnie Weiss), voce, chitarra; Bugs Henderson, voce, chitarra, banjo; Doug Rhone, voce, chitarra; Tim Gillespie, tastiere; Randy Fouts, tastiere; Robin Hood Brians, tastiere; David Stanley, basso; Don Levi Garrett, batteria; Ken Murray, batteria.
Doors (USA, Los Angeles, California) - Live at The Matrix (2008; recordings 1967). Registrata fra il 7 e il 10 Marzo 1967 al Matrix di San Francisco, questa è una delle migliori esibizioni del miglior periodo dei Doors. Da ascoltare e basta. Jim Morrison, voce; Robbie Krieger, chitarra; Ray Manzarek, tastiere; John Densmore, batteria.
Basczax (Teesside) - The best of Basczax (2009; recordings 1979-1980). Alan Savage, voce, chitarra; John Hodgson, tastiere; Jeff Fogarty, sassofono; Mick Todd, basso; Alan Cornforth, batteria.
Bastard (Crawley/Brighton). Una manciata di singoli introvabili. Alan Ward, voce; Yves Kengen, basso; Nobby Goff, batteria.
Bears (Watford) - On me (1978; 7'')/Insane-Roots of punk (1986; recordings 1977). Mick North, voce; George Gill, chitarra; Kris Kershaw, chitarra; Ron West, basso; Cally Cameron, batteria.
Bee Bee Cee (Edimburgo) - You gotta know girl/We ain't listening (1977; 7''). Dave Gilhooley, voce; Callum McNair, chitarra; Blackie, tastiere; Bob Gilhooley, basso; Zokko, batteria.
Belsen Horrors (Edimburgo) - Virginia plain/Pin up boy contenute nella compilazione Look to the future vol. 1. Lenny Helsing, voce; Steve Fraser, chitarra; Mark Patrizzio, basso; Keith Wilson, batteria.
Bernie Tormé Band (Dublino) - I'm not ready (1978; 7’’)/Weekend (1979; 7’’).
Blanks (Peterborough) - The Northern ripper (1979; 7’’). Neil Singleton, voce; Andy Jackson, chitarra; Allen Adams, basso; Andy Butler, batteria.
Bleach Boys (Hitchin) - Singles and some (recordings 1976-1982)/Stocking clad nazi death squad bitches (1983; 12’’). Frankenstein, voce; Thermo, chitarra; Jimmy Jesus, basso; Nuke, batteria.
Blitz - Strange boy/London is not for tourists (demos). Ruth Carr, voce; Jez Hartley, chitarra; Big George Webley, basso, tastiere; Ed Butler, batteria.
Blitzkrieg Bop (Cleveland) - Top of the Bops (1998; recordings 1977-1978). Blank Frank, voce; Mickey Dunn, chitarra; Gloria, chitarra; Mick Sick, basso; Nicky Knox, batteria.
Blunt Instrument (Londra) - No excuse/Interrogation (1978; 7’’). Robert Sandall, voce, chitarra; Bill Benfield, chitarra; Ed Shaw, basso; David Sinclair, batteria.
Boys (Londra) - I don’t care (1977; 7’’)/The Boys (1977). Matt Dangerfield, voce, chitarra; Honest John Plain, voce, chitarra; Casino Steel, voce, tastiere; Duncan ‘Kid’ Reid, voce, basso; Jack Black, batteria.
Bullets (Birmingham) - Girls on page 3/Grammar school (1978; 7’’).
Buzzcocks (Bolton) - Spiral scratch (1977; 7’’)/Orgasm addict (1977; 7’’)/Singles going steady (1979). Howard Devoto, voce (1976-1977); Pete Shelley, voce, chitarra; Steve Diggle, chitarra, basso; Garth Smith, basso (1977); Steve Garvey, basso; John Maher, batteria.
133. Ibliss
(Germania) - Supernova (1972). Incroci psichedelici e jazz-rock
fortemente ritmati (soprattutto per merito di Hammoudi, già con gli
Organization): un impasto dal sapore fortemente Seventies. L’ultima
traccia, la migliore, dai toni distesi e ammalianti, sfiora il liquido
registro dei Popol Vuh. Basil Hammoudi, voce, flauto, percussioni;
Wolfgang Buellmeyer, chitarra, percussioni; Norbert Buellmeyer, basso,
percussioni; Rainer Buechel, flauto, sassofono; Andreas Homann,
batteria, percussioni.
134.
L’Infonie (Canada) - Volume 333 (1972). Free-jazz, progressive,
improvvisazione, si susseguono felicemente in questo rimarchevole lavoro
proveniente dal Quebec canadese. Provocazioni alla John Cage,
progressive cerebrale di derivazione Canterbury, Beethoven, Zappa,
concessioni all’elettroacustica (Boudreau è ammiratore di Stockhausen,
Xenakis, Ligeti) compongono un pout-pourri inesauribile. Raôul Duguay,
voce; Michel Lefrancois, chitarra; Yvon Trudeau, chitarra; Jacques
Beaudoin, basso; Jacques Valois, basso; Gilles Henault, tastiere; Michel
Gonneville, tastiere; Andre Pelchat, sassofono; Walter Boudreau,
sassofono; Jean Grimard, sassofono; Pierre Daigneult, sassofono; Jacques
Beaudoin, contrabbasso; Ysengourd Knörh, percussioni.
135.
International Harvester (Svezia) - Sov-gott Rose Marie (1968). Gli
International Harvester (il nome deriva da una fabbrica di macchine
agricole statunitense) scaturirono dai Pärson Sound, una delle prime
radici del progg finlandese, anticommerciale e libertario (non
necessariamente riconducibile al prog continentale - una ‘g’). Gli
Harvester reagirono ad una trasformazione della società scandinava in
atto a cavallo fra i Sessanta e i Settanta tesa all’occidentalizzazione
più convulsa (come si può desumere, ad esempio, dai gialli degli svedesi Maj
Sjöwall e Per Wahlöö). Nell’album convivono sketch più immediatamente
politici e vignette polemiche contro lo sviluppo capitalistico (The
Runcorn report on Western progress) assieme a improvvisazioni di più
ampio respiro: I mourn you (12’47’’) e le litanie How to survive
(11’42’’) e Skördetider (24’59), echeggianti il minimalismo di Terry
Riley, cui i Nostri pagheranno un tributo artistico nei lavori
successivi. Bo Anders Persson, voce, chitarra; Thomas Tidholm, voce,
corno; Arne Ericsson, violoncello; Urban Yman, violin; Torbjörn Abelli,
basso; Thomas Gartz, batteria.
136.
Iskra (Svezia) - Allemansrätt (1977). Reparto bizzarrie, ma non troppo:
tribalismi (Den Ensamme Ciclysten), squittii alla Chipmunks, marcette
vaudeville (Halte Kameraden), influssi mediorientali. Sfugge un senso
unitario; a meno che questi non sia da ricondurre ad una ribalda
anarchia. Iskra fu un giornale pre-rivoluzionario russo che vantò come
redattore Vladimir Lenin. Allan Olsson, sassofono, oboe, flauto; Jörgen
Adolfsson, sassofono, flauto, vibrafono, percussioni; Tuomo Haapala,
basso, tromba, percussioni; Arvid Uggla, basso, tuba, percussioni; Sune
Spångberg, batteria, percussioni.
137.
Island (Svizzera) - Pictures (1977). Capolavoro indiscutibile del tardo
progressive europeo. Tutte le sonorità pregresse del genere sembrano
convenire nell’opera: Yes, Genesis, le architetture di Canterbury (lato
Henry Cow, NWW21), anche se l’ascendenza più suggestiva è da ricercarsi nelle
complesse introversioni dei Van der Graaf Generator. Il tutto vale solo
come indicazione, però: la perizia strumentale e la miracolosa fluidità
compositiva (per più di settanta minuti), ottenuta senza il ricorso a
basso e chitarra, rendono gli Island unici. Benjamin Jäger proveniva dai
Toad. Copertina storica di H.R. Giger, creatore di Alien. Benjamin
Jäger, voce, percussioni; Peter Scherer, voce, basso, tastiere; Güge
Jürg Meier, batteria, percussioni; René Fisch, voce, flauto, clarinetto,
sassofono, triangolo.
138.
Martin Davorin Jagodic (Jugoslavia) - Tempo furioso (Tolles Wetter)
(1975). Pubblicato dall’italiana Cramps, il lavoro risente
dell’influenza del concretismo francese; si compone di due lunghe tracce
(20’08’’ e 21’58’’) in cui vengono allineati rumori da foresta
pluviale, inquietanti interferenze elettroniche, estratti da radio e
televisione, rumori di fondo interstellari, monologhi desolati. Il tutto
avvolto in una atmosfera incombente da finis terrae. Da ascoltare.
Se è vero che spesso il genio è insondabile attrazione verso gli aspetti più obliqui e malati d'una corrente artistica o d'un personaggio - attrazione poi sancita dal riconoscimento collettivo (a volte inopinato) e, infine, santificata dal conformismo, allora Led Zeppelin IV è un album geniale.
I simboli lovecraftiani, il satanismo velato, gli sbuffi sulfurei di Aleister Crowley, l'accorta gestione pubblica, le radici blues etc etc. Cosa possono contrapporre a tale spiegamento di mezzi una cricca di inglesi e scozzesi da esportazione, capitanati da un urlatore lascivo (prima) e da uno starnazzatore (poi; una gallina spennata senza voce: Pino Scotto dixit), una masnada di volgari rissaioli con un chitarrista di inesauribile buffoneria (e l'altro che sembra sempre alle soglie dell'infarto al miocardio), capaci di estenuare il buon gusto con una messa in scena dal vivo di geometrica potenza kitsch? C'è poi la questione delle radici blues ... Nessuno sa cosa siano le radici blues, forse ne saprebbe qualcosa un bluesman radicale degli anni Dieci, ma, in mancanza della testimonianza, la citazione è d'obbligo per chiunque si voglia incensare. I Led Zeppelin e i Rolling Stones c'hanno le radici blues, anzi gli Stones, abundatis abundantiam, hanno pure quelle rhythm 'n' blues, tanto chi controlla. Gli AC/DC, invece, al massimo hanno copiato i Free. Certo le radici blues non possono competere con le radici e le ascendenze jazz, vogliamo scherzare. Ne Il pendolo di Foucault di un Umberto Eco in vena di resipiscenze politiche e accademiche cosa fa il protagonista? Mentre in tutta Italia (anni Settanta) tutti menano le mani e cercano di scapolare un 18 di tanto in tanto, egli studia indefessamente e ascolta musica. Quale? Biglietto per l'Inferno, Battisti, Claudio Villa? Macché: del buon jazz naturalmente, magari in penombra sul divanetto mentre centellina qualche liquorino scelto. Gli AC/DC col jazz e le radici blues c'entrano poco, bevono birra a canna, le ascendenze musicali le hanno sicuramente bastarde e sono pure coatti. Allora? Allora dobbiamo prendere coraggio a parecchie mani, prendere la rincorsa e, nel nome di un sano ingaglioffimento e di David Lee Roth, dichiarare solennemente che Back in black è pari a Led Zeppelin IV e che Shoot to thrill è strepitosa (e meno smancerosa e piacionica di Hairway to Steven), che la tracklist in questione è strepitosa anch'essa e che comunque se questi hanno venduto più di cinquanta milioni di copie con un solo disco tanto fessi non sono.
Come vedete mi prendo delle responsabilità storiche.
Buon ascolto.
01 - It's a long way to the top (if you wanna rock 'n' roll)
02 - Live wire
03 - TNT
04 - High voltage
05 - Ain't no fun (waiting round to be a millionaire)
Scrive Gottfired Benn (1888-1956) in Genio e follia: "Ora sorge una domanda particolarmente importante per la nostra indagine: in quale momento in quale condizione affiora la dote geniale all'interno di una famiglia? ... quando la famiglia comincia a degenerare. Quando, dopo generazioni laboriose, cominciano la decadenza, la bancarotta economica, il suicidio, la criminalità, è anche l'ora del genio ... diciamo piuttosto genio e degenerazione, spiegando ... che la degenerazione è la combinazione di una variante corporea negativa e di un evento psichico che non rende più possibile una vita conforme al tipo della maggioranza della specie e rende problematica o annulla la sopravvivenza dell'individuo". E ancora: "Genio è malattia, genio è degenerazione", ma ciò non basta; occorre il sigillo delle folle, della collettività: quest'ultima compie la trasformazione da malato a genio a causa del fascino demoniaco che la malattia e la psicosi riveste, a causa della morbosa piega dei "tratti misteriosi" di tali figure deviate ed anormali. "La comunità culturale ... cerca questa circolazione di psicopatia e anomalie negative; essa forma ... la moderna mitologia fatta di ebbrezza e decadenza e tutto questo lo chiama genio".
Entro il nostro sangue e i nostri umori più profondi ribolle, nonostante il rigoroso controllo del neoencefalo, l'ammirazione panica per ciò che devia dalla norma, dalle consuetudini; persiste, sepolta dalle cortecce razionalistiche, l'adorazione per la follia, per il sacro, per il rito sciamanico, per lo scatenamento liberatorio, per il mistero iniziatico.
Non è forse questo il vero segreto del rockpiù profondo? Il cantante avanza sul palco come un Dioniso orientale, scortato da una pletora variopinta, satiri, pantere, menadi; scatena il furore eccitando pulsioni prima sconosciute; si atteggia come un Dio malato, decadente, androgino, insinuante; lascia intravedere l'unità primigenia rispetto a cui le cure quotidiane appaiono insignificanti e ridicole; possiede i nostri cuori.
Darby Crash (1958-1980), fondatore dei Germs e dell'intero hardcore americano, fu uno di questi dei insani.
"He cried out twice, a cry that was no more than
a breath:
'The horror! The horror!'"
Prima
di un film e di una colonna sonora (celeberrimi), Cuore di tenebra fu un resoconto, impareggiabile e definitivo, sul
nichilismo europeo e sulla devoluzione spirituale dell’uomo occidentale.
Conrad
ci guida verso il nostro cuore di tenebra secondo una Via crucis scandita progressivamente da una prosa precisa,
implacabile e, nel contempo, letterariamente ricchissima: in essa convivono per miracolo sia il registro prezioso che l’andamento narrativo.
Il
libro (il diario d’una spedizione africana verso una stazione coloniale interna
retta da Walter Kurtz) è una gigantesca chiamata in correità (nel tempo e nello
spazio) dell’intera koiné europea: nel
tempo, poiché il narratore, Marlow, associa nel capitalismo di rapina sia i
conquistatori romani dell’Inghilterra che i colonizzatori africani di quasi due
millenni dopo; nello spazio, perché nessuno può dirsi escluso: la Società delle
Colonie ha sede a Bruxelles; Kurtz è mezzo francese mezzo inglese; l’aiutante
di Kurtz russo; Marlow è inglese e si imbarca su di un piroscafo francese e,
prima di inoltrarsi nella giungla, incontra danesi, svedesi, olandesi, di nuovo
francesi, scozzesi.
L’uomo
europeo (e perciò mondiale, globalizzato) è ormai agito non da una divinità
furibonda e lurca di sangue, ma “da un
demone flaccido, bugiardo, miope, di una follia rapace e spietata”, da “un’ottusa rapacità”; la prefigurazione è
quella dell’homo novus attuale,
deprivato empaticamente, sordo ai richiami della cultura passata, tenuto in
piedi esclusivamente dalla propria voracità criminale di cui peraltro ignora la
pulsione profonda e l’utilità (situare la sede di questo virus proprio a Bruxelles è un tocco profetico di prim’ordine).
Il
viaggio verso Kurtz (“estenuante
pellegrinaggio attraverso un repertorio di spunti per incubi”) è la
progressiva scoperta di questa inutile e glaciale follia sterminatrice che pare
propagarsi endemicamente colla semplice presenza (in)umana così come nel film The cure di Kiyoshi Kurosawa il male si
trasferisce per contatto.
Marlow/Conrad
si fa subito gioco di filantropismo, nazionalismo, lumi e progressione sociale,
ovvero della menzogna civilizzatrice: “un’ideada esaltare, davanti alla quale inchinarsi
e alla quale offrire dei sacrifici …”; “dopotutto
ero anch’io parte della grande causa da cui nascevano quelle alte e nobili
imprese”; “[non c’era] nessuna morale
… più di quanta ne abbiano dei ladri che
scassinano una cassaforte”; più oltre: “sulla
stampa e nei discorsi della gente circolavano un mucchio di stupidaggini [sul
come] svezzare quei milioni di ignoranti
dalle loro orride usanze”; “i principî
sono … straccetti graziosi pronti a volarsene via al primo scossone”; “la bandiera [francese] pendeva flaccida” dalla cannoniera; un’altra
bandiera è ridotta a “brandelli
irriconoscibili e penzolanti”: i conquistatori si mascherano dietro una
superiorità ed un paternalismo omicida e tutti i più esaltati e virtuosi labari
ristanno quali orpelli rugginosi. L’Occidente avanza come un Moloch insensato: “c’era un tocco di follia in quel modo di
procedere, un senso di stramberia lugubre”; gli avamposti hanno nomi come
Little Popo o Gran Bassam “[nomi che] che
parevano usciti da una sordida farsa messa in scena davanti a un sinistro
fondale”; lacerti della produzione capitalistica di guerra giacciono inanimati
come i resti perversi diun’orgia innominabile (“un vagone ferroviario abbandonato a terra capovolto con le ruote all’aria”;
una congerie infranta di “tubi da scolo”,
poi “pezzi di macchine guaste, un mucchio
di verghe rugginose”; ancora insensatezze: “una grande fossa artificiale .. lo scopo della quale mi fu impossibile
individuare”; “una sorda e pesante
detonazione scosse la terra, una nuvoletta di fumo uscì dal picco e fu tutto …
Stavano costruendo una ferrovia. Il picco non sbarrava nemmeno la strada, ma
queste esplosioni senza scopo costituivano tutta l’attivita presente”.
Quella
terra, oggetto di distruzione e sfruttamento, rimane peraltro incomprensibile
ai conquistatori: “eravamo tagliati fuori
dalla comprensione, viandanti in una terra preistorica”; l’unico rimedio è
annientare: “in quella vuota immensità di
cielo, terra e acqua … [la cannoniera francese] se ne stava là, incomprensibile, a sparare contro un continente”.
Tutti coloro che si oppongono a questa volontà di potenza sono nemici, ribelli,
criminali e assimilati al vuoto che li riduce in schiavitù: il prigioniero
negro “fissava il vuoto in un modo
intollerabile e spaventoso” … “gli
occhi affossati mi guardarono, enormi e vacui, una specie di cieco bianco
guizzo nelle orbite profonde, che lentamente si spense” … “in un contorto abbandono”, la “testa lanosa” sul petto; un inferno
glaciale, un “quadro di massacri e pestilenze”,
la morte in vita: questa è la Libia, il Congo belga, l’Eritrea, il Sudafrica,
il Cile, l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, il Mali; Conrad, a più di un secolo
di distanza, ci inchioda alla complicità.
Si
arriva finalmente a Kurtz, uomo di oggi, apolide e senza precisa incombenza (lo
descrivono via via come pittore musicista poeta politico e autore del libello “Soppressione dei costumi dei selvaggi”),
concrezione e simbolo della prevaricazione cieca che si rinnova di rapina in
rapina, di omicidio in omicidio; egli vuole tutto, incessantemente, vuole il
potere, la terra, l’avorio: egli stesso è avorio (calvo e bianchissimo), è
volontà inesausta di possesso, insensata e bloccata in un giga irrazionale che
non trova requie: ”aprì la bocca come se
avesse voluto inghiottire tutta l’aria, tutta la terra, tutti gli uomini”.
Siamo alla fine del viaggio, nella scaturigine stessa del novello Occidente,
della tenebra che ha abbuiato i vecchi cuori e forgiato nuove tigri d’acciaio.
Kurtz muore (“Mistah Kurtz. He dead”)
e, nell’agonia, ha rivelazione della malattia epocale che l’haimprigionato e
agito sin lì. Marlow alfine ne prova ammirazione: Kurtz infatti è una ricapitolazione
intatta e gigantesca del male, una figura priva delle ridicole finzioni del
nazionalismo, del progresso, della civiltà, della magnifiche sorti; è crudeltà,
arrivismo, ingordigia, ma senza sordidezze o macchinazioni. Omicida e santo, egli
è un puro; per lui Marlow, disilluso come un Buddha che ha esperito l’orrore
della vita, arriverà a mentire.
Coppola
derubrica l’universale infamia dell’Occidente alla scaramuccia che gli
Americani ebbero nel Sud-Est asiatico; tradisce a tratti la fonte originale,
slitta nel didascalico (il bric-a-brac
letterario di Kurtz, troppo scoperto: Eliot, Weston, Frazer), si affida a scene
facili (la cavalcata degli elicotteri) e spettacolari, ma, specie nella
versione lunga, trova i bagliori eccezionali del capolavoro: l’episodio delle
conigliette di Playboy, l’avamposto nostalgico dei francesi, i monologhi di
Marlon Brando, le scene di desolazione fluviale, l’inizio al ritmo dei Doors, la
battaglia colorata con fuochi d’artificio lisergici.