Luca Barbareschi in Cannibal holocaust |
Riz
Ortolani - Cannibal holocaust
(1994; recordings 1980). Colonna sonora
dell’opera omonima di Ruggero Deodato, Cannibal
non è, a primo orecchio, ‘avanguardia’: lo diviene se debitamente incatenata
alle scene del film, una raggelante catabasi nell’animo dell’umanità. È solo dopo
la visione, infatti, che l’apparentemente innocua main title (e il capolavoro Adulteress’ punishment, d’eccezionale intensità
lirica e drammatica) vi si appiccicheranno addosso trasformandosi in simboli
sonori dell’orrore. Ruggero Deodato è, pur non artisticamente, oltre Herzog e Conrad:
nega ogni afflato poetico e pietismo da colonizzatore compassionevole vietando,
al contempo, facili e immediate chiavi interpretative. La struttura del film è lineare
quanto geniale: nella prima parte il professor Monroe, assistito da due guide, parte
alla ricerca di quattro reporter perduti nella giungla amazzonica; risalendo, come
si risale un rivo d’acqua maligna alle sue fonti, sino alla verità (gli
esploratori sono stati assassinati dagli indigeni) Monroe si imbatte nei segni
di violenze indicibili: unico oggetto sopravvissuto alla strage e alla
distruzione è la cinepresa d’uno dei reporter, che custodisce, come un vaso di
Pandora, la testimonianza sugli eventi accaduti. La seconda parte è occupata
proprio dalle sequenze girate dai quattro, che svelano, a spettatori sempre più
attoniti (fra i quali siamo noi, spettatori degli spettatori), il folle carico
di violenza innescato dai bianchi into the wild: stupri, incendi, assassini,
umiliazioni. Deodato, tuttavia, racconta pure l’altra metà della messa: i cosiddetti
selvaggi non sono, infatti, portatori d’un (inesistente) stato edenico: anch’essi
(che pure sono stati duramente provocati) partecipano alla violenza (che è
violenza umana, congenita) e sono ripresi, perciò, proprio come i bianchi,
quali attori di evirazioni, impalamenti, eviscerazioni, decapitazioni (anche
nei riguardi di tribù rivali); la differenza colla violenza bianca è puramente antropologica:
il manto cultuale e sociale che la avvolge è diverso sol perché frutto d’una diversa
evoluzione, dettata esclusivamente dalle condizioni spietate della
sopravvivenza (che l’hanno, quindi, formata in tal modo peculiare); certo,
sembra suggerire Deodato, essi ci sono forse superiori poiché ‘amorali’, e
fuori d’ogni ipocrisia, non essendo riusciti a sublimare adeguatamente il male entro
artificiose codificazioni etiche e religiose (quelle che il Conrad di Cuore di tenebra appellava ‘tricks and
beliefs’). Solo da tale punto di vista, quindi, i cannibali paiono distanziarci per bontà e naïveté: alla faccia di Rousseau!
Ovvio che tale film, disturbante al di là dell’oggettiva crudeltà della messa in scena, non sia mai stato trasmesso integralmente in televisione (ormai il medium degli idioti).
A voi rimediare.
Maurizio Bianchi - Symphony for a genocide (1981). Devo
ammettere che la maggior parte dei titoli del leggendario Maurizio Bianchi mi
ha lasciato indifferente (forse anche a causa della qualità delle registrazioni):
una serie di borborigmi indistinguibili. Fra le eccezioni troviamo, però,
alcune perle; Symphony for a genocide
è una di queste: MB ci cala direttamente nelle fucine dell’inferno: loop rumoristici
al limite della sostenibilità auditiva, interferenze, risucchi elettronici, concretismi,
sardonici girotondi sonori. Da saggiare con cautela.
Fabio Fabor & Giancarlo Barigozzi - Synthetronics
(1976). Sedici brevi tracce (notevolissime) che Fabio Fabor (FAbio BORgazzi) licenziò
assieme al sassofonista Barigozzi: impossibile capire di chi sia la paternità
dei singoli brani, ma pare indubbio l’influsso preponderante del primo. Il
disco è riccamente variegato: si va dalla
siderale Flying stars’ ai cupi
accenti di Occult sciences e Devil’s foundry sino alle felice
intersezioni fra l’avanguardia e il sax di Barigozzi (Erosion, Aberrations)
alla free psichedelia di LSD trip. Da
ascoltare, ovviamente.
Colgo l’occasione per segnalare che l’ottimo Fabor (almeno dal 1967 al 1970) tenne una rubrica musicale settimanale su Topolino. Lo ignoravo. Evidentemente quando leggevo Topolino non conoscevo Fabor e quando conobbi Fabor non leggevo più Topolino. La rubrica spazia dal jazz alla musica classica al rock sino al pop italico (e allo Zecchino d’Oro), con tono piano e divulgativo; a pensare che milioni di mocciosi italiani appena alfabetizzati potessero leggere di Caterina Caselli, Sinatra, Cino Tortorella quanto di Mozart, Jefferson Airplane e Louis Armstrong mi viene un groppo in gola. Quanta bella Italia abbiamo buttato via?
Due esempi della rubrichetta li vedete sotto; sono compresi, comunque, nel download.
Ed ecco due puntate de "Il Vostro Corrierino della Musica" (poi "Il Vostro Corrierino Musicale"), la rubrica che Fabio Fabor teneva settimanalmente su Topolino (cliccare per allargare):
Topolino nr. 621, 22 ottobre 1967 (Jefferson Airplane)
Toponimo nr. 719, 7 settembre 1969 (Joan Baez)
Altro che groppo in gola, a me vengono i lacrimoni. E quell'era non l'ho vissuta.
RispondiEliminaHai ragione ... io l'ho solo sfiorata.
EliminaAnch io non l ho vissuta. Per niente. Ma credo che se lo avessi fatto, non l'avrei comunque compresa o apprezzata. Tante cose si scoprono solo col tempo.
RispondiEliminaVero. E chissà cosa stiamo capendo dei nostri tempi.
EliminaBellissimo articolo (ah, oggi si dice "post"). Vlad io ho 51 anni mi hai vampirizzato di bellissimi ricordi. Topolino, il Giallo dei Ragazzi, gli sceneggiati, gli amici di mia sorella maggiore che andavano a vedere i concerti di musica progressiva, chi di loro metteva su un gruppo... e mille altre cose. Grazie.
RispondiEliminaCarmine
La vita di oggi è talmente brutta da avermi fatto rivalutare musica, film e RAI di un tempo (i Settanta).
EliminaAnch'io, d'altra parte, sono tuo coetaneo, classe 1968.