Entità concepita nel Michigan dai chitarristi Jeff Walker e Harold Richardson e dal batterista Eric Cook, Gravitar riuscirono a concentrare in pochi album la brutale quintessenza del noise.
Gravitaativarravitar consta, di fatto, di nove strumentali. La voce, infatti, preterisce il cantato limitandosi ad angoscianti grida ed invocazioni quasi ad esternare l’immenso orrore che pervade l’uomo quando perde fiducia nel proprio rapporto con la storia e la realtà. Tale disperazione, purtroppo, non conosce né la gioia per l’abbandono dei vincoli quotidiani e l’adesione alla comune origine - la natura - né la redenzione attraverso il godimento della contemplazione oggettiva del bello. Qui siamo a categorie oltreumane, non c’è posto per scorciatoie ottocentesche; ci si avvia alla consapevolezza di una reificazione senza speranze in cui l’umano viene eroso implacabilmente dall’inanimato: non altro significano queste tracce rivelatrici.
In Why is it so hard, Krug calling Retnik, Automation una linea strumentale più possente, sorta di inesausta colata lavica, convive con una linea più mobile, che ordisce distorsioni estreme, risucchi, gorgoglii cosmici; le percussioni sorreggono marziali cotanto sfacelo che in Strained si lancia verso l’ultima Thule dell’udibile. Solo i dieci minuti finali di Dirt burglar consentono di rintracciare una parvenza di canzone hard-rock, peraltro, anche questa, surriscaldata da folate elettriche letali.
In un libro di Valerio Evangelisti pubblicato nel 1998, Metallo urlante*, gli eserciti di un’umanità anaffettiva e schizoide, sorti sulle ceneri di vecchie civiltà e stati, si eliminano con armi ipertecnologiche tra le vestigia post-industriali di un passato irrecuperabile; i loro corpi sono devastati da morbi apocalittici che li trasmutano gradatamente in metallo; le cose (le corazze da guerra) hanno sviluppato forme di autocoscienza; anche la morte si è snaturata e non offre più rifugio: i soldati uccisi vengono rianimati e usati per nuove battaglie insensate.
Se questo incubo possibile avesse le proprie trombe del giudizio esse striderebbero come i metalli dei Gravitar.
* Faccio riferimento all’ultimo racconto del libro, Metallica. Tale futuro possibile si dispiega anche nelle altre opere di Evangelisti.