lunedì 31 ottobre 2011

Fear Falls Burning - He spoke in dead tongues (2005)


Attivo sin dai primi anni Ottanta, il belga Dirk Serries (celebre con lo pseudonimo Vidna Obmana) ha pubblicato alcune pagine fondamentali di quella che, all’ingrosso, viene definita new age. Egli declinò la propria versatilità nei modi dell’elettronica, dell’avanguardia etnica, della musica totale della Germania anni Settanta, dando vita a collaborazioni storiche con Steve Roach, Robert Rich, Asmus Tietchens.
A
metà degli anni Duemila varò il progetto Fear Falls Burning; il miglior frutto della nuova vita artistica è indubbiamente questo monumentale He spoke in dead tongues, nove composizioni per droni chitarristici (senza titolo) dalla durata complessiva di quasi due ore e mezzo. Opera di fascino indubbio, ma non per tutti. Tale affermazione non deriva da una considerazione esoterica dell’arte, quale manifestazione umana riservata a individui di spiccata sensibilità o, peggio, a cerchie culturali che presumono un livello sapienziale più alto e incomunicabile alla massa (in tale visione certe porzioni d’umanità sono geneticamente o socialmente inette ad accogliere tale complessità: a volte per loro fortuna). L’avvertenza allude alla propedeutica: occorre maturare un gusto per apprezzare un simile tour de force – gusto che può acquisirsi sia con un’esperienza musicale ricca e variegata, ma soprattutto con l’umile accostamento ad un sentire ormai completamente alieno al mondo occidentale (e Occidente non definisce ormai una geografia, ma la visione del mondo dominante che lambisce ogni continente, monocraticamente prosaica ed antispirituale). Occorre prepararsi alle nove tracce come i candidati alle cerimonie d’iniziazione che, debitamente guidati, operavano una netta cesura con l’ambiente quotidiano; solo a tal prezzo, la paralisi dell’intelligenza mondana, l’individuo può assorbire o farsi assorbire da queste emozioni particolari e guadagnare nuovi stati mentali per rigenerarsi ad un diverso livello d’esistenza. Tutte le creazioni di Serries (in particolare la 5 e la 8, rispettivamente 33’08’’ e 34’16’’) ci sprofondano in una atmosfera stuporosa ed avvolgente, ricchissima di riverberi ed echi ancestrali (anche nell’episodio 2, il più tenebroso). Rapiti dalle abituali angustie, liberati ed immersi nel liquido amniotico di queste risonanze intemporali, possiamo attingere al patrimonio comune ed antichissimo dell’umanità già in noi stessi e, una volta tornati presenti al mondo, dirci rinati e riguardare la vita usuale con occhi affatto diversi.
In tale visione la musica non consiste in una breve distrazione da una condizione di pragmatico servilismo – distrazione il cui unico scopo è quello allentare momentaneamente la tensione per consentire la perpetuazione di tale schiavitù. Essa anela, invece, al misticismo: esige una strenua preparazione, ma ci ripaga con rivelazioni risanatrici.


sabato 29 ottobre 2011

Caravan - BBC live sessions 1968-1972/1973-1974/1975-1977


Probabilmente la serie è incompleta. Cfr. http://sound.jp/tknk1/cant/carabbc.html
Non ho trovato, tuttavia, altri riscontri alle apparizioni lì segnalate.

31.12.1968 (broadcast 05.01.1969; Maida Vale 4; Hastings, R. Sinclair, D. Sinclair, Coughlan)
 
- Green Bottles for Marjorie
- A Place of my Own
- Feeling Reeling Squealing
- Ride


19.08.1970 (BBC Transcription Service Top of the Pops; Hastings, R. Sinclair, D. Sinclair, Coughlan)
- Hello Hello
- If I could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You
- As I Feel I die
 

11.03.1971 (broadcast 09.04.1971; Sounds of the Seventies; Alan Black Session; Hastings, R. Sinclair, D. Sinclair, Coughlan)

- Love Song Without Flute
- Love to Love You
- In The Land of Grey and Pink
 

06 o 16.05.1971 (Paris Theatre; John Peel Sunday Concert; ?)

- Nine Feet Underground
- In the Land of Grey and Pink
- Feeling Reeling Squealing

11.04.1972 (02.05.1972; Maida Vale 4;
Hastings, R. Sinclair, Coughlan, Miller)

- Waterloo Lily- Love in Your Eye
- The World Is Yours
- Place of my Own


20.08.1973 o 02.08.1973 (broadcast 30.08.1973; Paris Theatre, BBC in Concert; Hastings, D.Sinclair, Coughlan, Perry, Richardson)

- L'Auberge du Sanglier (A Hunting We Shall Go-Pengola-Backwards)
- Waffle Part One (Be Alright & Chance of a Lifetime)
- Memory Lain, Hugh
- Headloss


07.02.1974 (broadcast 14.02.1974; Hastings, D.Sinclair, Coughlan, Perry, Richardson)

- Love in Your Eye
- Virgin on the Ridiculous
- Mirror for the Day

- For Richard 


21.03.1975 (Paris Theatre; BBC in Concert; Hastings, D.Sinclair, Coughlan, Wedgwood, Richardson) 

- The Love in Your Eye
- For Richard
- The Dabsong Concerto
- Hoedown
 

26.06.1975 (03.07.1975; Maida Vale 6; Hastings, D. Sinclair, Richardson, Wedgewood, Coughlan) 

- The Show of Our Lives
- Stuck in a Hole
- Dabsong Concerto
 

06.05.1976 (broadcast 17.05.1976; Maida Vale 4; Hastings, Richardson, Wedgewood, Coughlan, Schelhaas) 

- All the Way
- A Very Smelly Grubby Little Oik
- Bobbing Wide
- Come on Back
- Grubby Little Oik (Reprise)
 

02.05.1977 (broadcast 10.05.1977; Maida Vale 4; Hastings, Richardson, Coughlan, Messecar) 

- Behind You
- The Last Unicorn
- Better by Far
- Nightmare


venerdì 28 ottobre 2011

Gong - BBC live sessions 1971/1973/1974


 09.11.1971 (broadcast 17.11.1971; Ayers, Allen, Smith, Pyle, Malherbe, Tritsch) 

- Magick Brother
- Clarence in Wonderland
- Tropical Fish/Selene

29.05.1973 (broadcast 12.06.1973; Allen, Smith, Malherbe, Hillage, Blake, Howlett, Moerlen) 

- You Can't Kill Me
- Radio Gnome Direct Broadcast/Crystal Machine
- Zero The Hero and the Orgasm Witch

15.01.1974 (broadcast 29.01.1974; Allen, Di Bond, Malherbe, Hillage, Blake, Howlett, Tat) 

- Captain Capricorn’s Dream Saloon
- Radio Gnome Invisible
- Radio Gnome
- Oily Way

giovedì 27 ottobre 2011

Sergius Golowin - Lord Krishna von Goloka (1973)


Eroe della controcultura svizzera (studioso delle culture marginali, fra cui quella zingara*, nonché di folclore ed esoterismo, protettore di Timothy Leary …), Golowin (1930-2006), prima che musicista, fu un colto cosmopolita in cui confluivano, in virtù della propria infanzia avventurosa e delle proprie ascendenze di sangue, le più varie suggestioni della cultura europea. Nato a Praga da genitori russi e svizzeri (lo scultore Alexander Golowin e la poetessa Alla von Steiger), a pochi anni d’età riparò assieme alla madre a Berna, separandosi dal padre, stabilitosi a Parigi. Tali vicissitudini lo accostano bizzarramente alla figura centrale dell’induismo, Krishna, che fu partorito segretamente (e nascosto al padre), vagò ramingo (si rifugiò a Goloka), ma visse serenamente, in una comunità di giovani pastori, l’amore per Radha (Golowin visse sulle Alpi svizzere con tre mogli – in una placida indifferenza fra anarchismo, socialismo e libertarismo bucolico). Non è, quindi, da scartare, da parte di Golowin, la voluta identificazione, dai ricaschi autobiografici, con la deità Krishna-Visnu.

Il disco rientra in una trilogia produttiva (ordita da Rolf Ulrich Kaiser) assieme a 7up (Ash Ra Tempel e Timothy Leary) e Tarot di Wegmüller, di cui è antecedente e di cui condivide parte della formazione**. Esso è articolato in tre pezzi, Der Reigen (16’57’’), Der Weisse Alm (6’09’’) e Die Hoch-Zeit (19’38’’) accompagnati dai recitativi di Golowin.

Diversamente da Tarot, Lord Krishna von Goloka preterisce i toni più scoperti da Kosmische Courier (anche se, a tratti, l’organo di Klaus Schulze riporta la barra verso quei lidi): le composizioni sono strutturate come lentissime distensioni, sottolineate da flauto, tastiere e chitarre acustiche, e somigliano a pacate e fluviali meditazioni. Ogni pezzo si prende tutto il tempo disponibile: non esistono qui forzature, non v’è l’urgenza, dettata dalla moda, di assecondare i gusti più triti del pubblico; mancano gli effetti più banali, la strofa ammiccante.
Può intuirsi che la musica germanica, in quel decennio mirabolante, scaturisse da una salda filosofia, teorica e di vita, nata dall’impasto fra la politica libertaria dei Settanta (influssi orientali inclusi) e un secolare retaggio culturale amante dei chiaroscuri, delle passioni ardenti, ma trattenute, di nostalgie ineffabili e, soprattutto, di un anelito alla totalità e di un disprezzo dei compromessi già identificati da Tacito.

Lord Krishna
, sotto le mentite spoglie d’una saga orientale, si dimostra l’ennesima concrezione sonora dell’anima di un popolo.


* Tali esperienze vissute con Wegmüller furono raccolte in Die Welt des Tarot.
** Jerry Berkers (basso, percussioni); Jurgen Dollase (tastiere, chitarra); Jorg Mierke (tastiere, chiatarra, percussioni, flauto); Klaus Schulze (batteria, chitarra, tastiere); Bernd Witthüser (chitarra, flauto, percussioni); Walter Westrupp (chitarra).

martedì 25 ottobre 2011

Black Sabbath - Beyond the wall of Spock


Quando, nei primissimi anni Ottanta, fra polvere e acari, in un negozio viterbese in cui regnava una splendida anarchia organizzativa, intravidi la copertina del primo dei Sabbath rimasi attonito. Cosa significava quella indistinta ed enigmatica figura di donna sullo sfondo della campagna britannica? Cos’era, la strega di un racconto di Machen? Una fata di Sir Arthur Conan Doyle? Un ominoso revenant concepito da Algernon Blackwood o M.R.James? All’interno il vinile raccontava di ascolti ripetuti, ma la qualità era ancora buona; nei solchi trovai un hard-blues roccioso tra messe nere e citazioni da Lovecraft. Lire 2000 ben spese. Come spesso accadeva in quel tempo, gli innamoramenti travolgenti si alternavano all’ascolto contemplativo dei tesori vinilici dissepolti: Sabbath e Deep Purple, Bowie-Reed-Velvet, la musica californiana, il krautrock, Genesis e Pink Floyd, Zappa naturalmente, il southern rock e Canterbury, il punk-hardcore (americano!). Allora non esistevano guide rock, i soldi scarseggiavano, i mezzi pubblici erano diligenze da assaltare (consideravamo il biglietto una gabella troppo onerosa), i collegamenti erano affidati al telefono fisso, adeguatamente filtrato dal Super Ego genitoriale in guisa di centralinista: eppure eravamo miracolosamente già istradati verso il male e sentivamo, pur oscuramente, l’attrazione verso manifestazioni sonore che, più accuratamente di quanto sembrasse, giudicavamo antiborghesi, anticonformiste e, per dirla tutta, antitaliane. Nel 1981, schiantati tutti i movimenti alternativi (l’anno maledetto di svolta fu il 1976), si era ormai avviati verso ciò che gli sprovveduti chiamarono il riflusso, ovvero il ritorno all’ordine. In realtà dall’ordine non c’eravamo mai allontanati: bassa marea e paludi in Italia sono la norma, l'alta marea consistette in quei brevi anni a cavallo fra Sessanta e Settanta: niente di eclatante, qualche persona sensata e parecchie orge di stupidità, ma l’eterna cappa del conformismo italico mostrava delle brecce. Bastò questa debole minaccia per sprofondare il sistema nel panico; terrorizzato esso decise di pagare un prezzo vergognosamente alto per la restaurazione (e con moneta non propria): centinaia di morti, l’abdicazione al simulacro della democrazia e la propria festante dissoluzione nel nascente turbocapitalismo. Nel frattempo, tredicenni e inconsapevoli, ci avviavamo supinamente verso i decenni più squallidi della Repubblica. Importava poco: Roma era ancora punteggiata di negozi e rivendite di vinile nuovo e usato, che, come i templi pagani dopo l’editto di Costantino, testimoniavano di un passato irrecuperabile; a Baldo degli Ubaldi si trovava l’amatissima Discoland (ora Star Music, ma è un’altra cosa) che offriva questo servizio al pubblico: qualcuno scartava i vinili, se li godeva, poi li rimetteva negli scaffali: il disco veniva venduto come nuovo, ma il prezzo, summo cum gaudio, sbracava da Lire 13500 a 8500, se non meno; lì acquistai, tra le decine, The rise and fall of Ziggy Stardust: su It ain’t easy la puntina saltava un po’, pazienza! Impazzavano i riversamenti da vinile a cassetta, le compilation improvvisate, i prestiti, le registrazioni da segnali radio malfermi; per tutta la settimana ci negavamo la colazione a metà mattina per intascare Lire 500 adeguatamente provvedute dai nostri vecchi che, debbo ammetterlo, erano premurosi; furti, ricatti, vendite bislacche e provvigioni bimestrali da parte delle madri dei padri garantivano tesoretti quasi settimanali buoni per il sabato pomeriggio, quando iniziava la caccia: in Via Gregorio VII (negozio scomparso, una prece) intravidi Sheik yerbouti fresco fresco, Lire 16000, un affare. Dalle parti di via delle Medaglie d’Oro (una prece) un paio di Doors a Lire 7000; nel buchetto di Via dei Genovesi 2 (prima Revolver poi, forse, Tendenze Musicali. Comunque una prece) il triplo Lotus a Lire 10000; a Via Rosazza 6 (Revolver, una prece; trasferitosi poi a Via Gherardi, una prece) mi liberai dei regali nefasti di Purple rain e Rio (i Duran Duran!) nonché del doppione di Station to Station per avere alla pari Paranoid, Fragile e Crown of creation: lo scambio del decennio. Attesi come un crotalo per mesi che scendesse il prezzo di Ummagumma: lo acchiappai per Lire 9000 a Via delle Botteghe Oscure, nel sottoscala di Rinascita (doppia prece); a Via Pietro Maffi (una prece) beccai la musicassetta di Let it bleed, Lire 6000, di cui erano ansiosi di liberarsi; a via Torrevecchia (una prece) m’accattai un controverso Never mind the bollocks; in un fallimento dalle parti di Via Guido Reni (una prece) Masters of reality, The end of an ear, Genesis live e persino un Nosferatu a Lire 3000; inoltre, come non ricordare Variety in Via Pasquale Fiore con la proprietaria valde bona (una prece; vi comprai Gabriel III e Gentlemen take polaroids)? Il buchetto a Via Oderisi da Gubbio? Come non ricordare che, ogni tanto, un pazzo apriva la saracinesca del proprio garage (una prece per i garages) e svendeva per fare cassa o per far posto agli incipienti CD (Live at the Apollo, Waterloo Lily, Angel’s egg, One size fits all a Lire 5000)? E la bazza dei mastodontici Metropoli Rock a Via Palermo (una prece; delizioso il loro catalogo azzurrino; ora a Via Cavour: una prece? Comunque non è la stessa cosa) e Disfunzioni Musicali a Via degli Etruschi (una prece) e l’enorme Ricordi vicino alla stazione Termini (una prece) e Babilonia a Via del Corso? Quanti ne dimentico? E quanti altri Eterno riposo dona a Loro Signore potrebbero recitare a Roma Sud e Roma Est?
I
Black Sabbath li ho amati e li amo ancora. Questo è il loro miglior disco (tranquilli, ci sono Paranoid, Iron man e War pigs), un bootleg* dal Sabotage tour con almeno metà dei componenti strafatti. Julian Cope adora questa roba. A ragione: Osbourne bercia da par suo e l’italiano Iommi, operaio metalmeccanico, quello che non sa suonare**, come Neil Young e David Gilmour, pompa alla grande. Usatelo per disincrostare i padiglioni e ripartire da zero. Buon ascolto.

* Registrato presso la Asbury Convention Hall il 6 Agosto 1975; il titolo è una distorsione del lovecraftiano Beyond the wall of sleep.
** In una classifica dei migliori chitarristi all-time, stilata da Rolling Stone, Iommi è al numero 86 ed Eric Clapton al numero 4.

domenica 23 ottobre 2011

Bardo Pond - Bufo Alvarius (1995)



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(Prego, ringraziate i Bardo Pond)

I Bardo Pond, da Philadelphia, (John e Michael Gibbons, chitarra; Clint Takeda, basso; Joe Culver, batteria, Isobel Sollenberger, voce) derivano il proprio nome dal Libro tibetano dei morti, in cui il bardo (uno dei sei) è, secondo il buddismo, uno stato di coscienza intermedio fra vita e morte. Tale riferimento, addizionato a quello relativo al Bufo Alvarius, varietà d'anfibio americano che secerne sostanze allucinogene, può già suggerire il tono della musica del gruppo.
Lo strumentale Vent è, forse, la sintesi esplicativa dell'estetica dei Bardo Pond: il viluppo inestricabile e fragoroso d'una chitarra offre il centro di gravità attorno a cui orbitano i vari altri strumenti che, a turno, si concedono alcune divagazioni consistenti in un breve assolo della seconda sei corde o nelle diversioni della batteria, quasi dimentiche di un ruolo d'interazione con il resto della band. Il pezzo, asserita esteticamente l'assenza di qualsivoglia finalità melodica, finisce coerentemente ex abrupto. Se, apparentemente, la struttura sembra simile alle jam dei Subarachnoid Space, essa, ad un più attento ascolto, se ne differenzia sia perché nelle composizioni di Mason Jones sono proprio le percussioni a dettare i frequenti cambi di ritmo, sia per il suono, dagli accenti  volutamente noise; Adhesive, On a side street (in cui i sommessi recitativi vengono sommersi dalla divaricazioni della chitarra e della batteria) o Capillary river (dove a fatica la voce emerge da un groviglio elettrico di fondo) confermano tali qualità.
Back porch
  e No time to waste, sorta di blues degenerati sempre sul punto di accartocciarsi su se stessi, si ritagliano uno spazio diverso nell’ambito dell’opera, ma con la monumentale Amen (29’20’’) si ripiomba nel consueto flusso di coscienza rumoristico: lo scampanio iniziale è presto soppiantato da implacabili e diuturni assoli chitarristici, talora ridotti a semplici crepitii o a feedback: li accompagna esclusivamente una languida linea di basso e i bisbigli indefiniti della Sollenberger; i trenta minuti potrebbero in realtà estendersi smisuratamente, poiché, come la voce in un mantra religioso, le sonorità entrano gradatamente in sintonia col nostro pulsare interiore.

Se
certa psichedelica classica costruisce colle sue progressioni immagini cosmiche, i Bardo Pond disegnano, invece, visioni fluttuanti dell’animo, quasi degli stati meditativi equidistanti dalla realtà e dalla morte.

venerdì 21 ottobre 2011

Eluvium - Talk amongst the trees (2005)


Matthew Cooper (nato nel Tennessee, cresciuto a Louisville, Kentucky, ora residente nell’Oregon, a Portland), tastierista e chitarrista, raggiunge, con Talk amongst the trees, assieme all’esordio Copia,  il vertice della propria produzione.
La sua musica gode di una struttura elementare, basata com’è sul gioco dei due strumenti anzidetti, ma Cooper riesce comunque a generare composte architetture minimali e ambientali fidando soprattutto sulla lunga durata; le sue avvolgenti sonorità abbisognano, infatti, per formalizzarsi compiutamente  in oggetto e nella mente dell’ascoltatore, di dipanarsi lentamente: negli episodi più alti (Taken, New animals from the air, One) uno strumento assolve il compito di una frase ripetitiva o di semplice bordone, mentre l’altro esegue minime variazioni su quel tema insistito che possono anche evolvere in crescendo come in Taken (16’56’’): qui un delicato e ripetitivo strumming di chitarra viene gradatamente sommerso dal gonfiarsi dell’onda delle tastiere. New animals from the air (10’47’’), invece, pur vantando la stessa impostazione, non ne altera il ritmo per tutta la sua durata; One (7’44’’) è ancor più spoglia, dominata da profonde pulsazioni e labili tastiere (quasi un Trollmann av Ildtoppberg); Show us our homes (4’46’’) è un breve quadro di musica ovattata e sospesa come in un paesaggio nebbioso e invernale; Calm of the cast-light cloud (5’30’’) è pura monocromia.
L’impressione generale è che Eluvium si tenga lontano dalla feconda ambiguità dei Labradford o dall’attonita meraviglia dei Lightwave o da certe cupe profondità di alcuni contemporanei: la sua peculiarità consiste nell’iterare, variandole lentamente, sonorità pulite ed ordinate, venate da freddi accenti crepuscolari, seppur mai problematiche o davvero profonde.

mercoledì 19 ottobre 2011

Matching Mole/Robert Wyatt - BBC live sessions Matching Mole/Robert Wyatt/Robert Wyatt (with Hendrix, Ayers, London Sinfonietta, Symbiosis)/Robert Wyatt (with Monkman, WMWM, Slapp Happy)


MATCHING MOLE 

17.01.1972 (broadcast 25.01.1972; Playhouse Theatre; BBC Top Gear recording; Sinclair, MacRae, Miller, MacCormick, Wyatt) 

- Part of the Dance
- Immediate Kitten 

06.03.1972 (broadcast 24.03.1972; Kensington House; BBC Sounds Of The 70's; MacRae, Miller, MacCormick, Wyatt) 

- No 'Alf Measures
- Lithing and Gracing
 


17.04.1972 (broadcast 09.05.1972; Kensington House; BBC Top Gear; MacRae, Miller, MacCormick, Wyatt) 

- Marchides-Instant Pussy-Smoke Signal 

21.06.1972 (broadcast 06.07.1972; Maida Vale; BBC Sounds Of The 70's; MacRae, Miller, MacCormick, Wyatt) 

- Gloria Gloom-Nan's True Hole-Brandy as in Benj 

27.07.1972 (broadcast 09.09.1972; Paris Theatre; BBC in Concert; MacRae, Miller, MacCormick, Wyatt) 

- Instant Pussy
- Lithing and Gracing
- Marchides
- Part of the Dance
- Brandy as in Benj

ROBERT WYATT 

10.09.1974 (broadcast 26.09.1974; Langham 1; BBC Top Gear) 

- Alifib
- Soup Song
- Sea Song
- I'm A Believer
 

03.06.1983 (broadcast 03.06.1983; BBC Studios; The Old Grey Whistle Test) 

- Born Again Cretin
- Shipbuilding

WITH THE JIMI HENDRIX EXPERIENCE 

15.12.1967 (broadcast 24.12.1967, Playhouse Theatre, Top Gear) 

- Day Tripper (vocals)
WITH KEVIN AYERS 

10.02.1970 (broadcast 28.02.1970; Maida Vale; BBC Top Gear)

- Stop This Train (drums)
- Clarence in Wonderland
(piano, vocals)
- Why Are We Sleeping?
(drums, vocals)
- You Say You Like my Hat
(trumpet, vocals) 

21.03.1972 (broadcast 14.04.1972; Kensington House; BBC Top Gear) 

- Take Me to Tahiti (vocals)
- Whatevershebringswesing
(vocals)
- Stranger in Blue Suede Shoes
(vocals)
- The Interview
(vocals)

WITH WMWM (Wyatt, Mc Rae, Windo, Matthewson) 

?-03-04.1973 (broadcast 04.04.1973; Langham 1; BBC Jazz Workshop) 

- Toddler (drums, voice)
- Caramus
(drums, voice)

WITH LONDON SINFONIETTA 

06.09.1970 (broadcast 20.10.1970; Queen Elizabeth Hall; BBC Radio 3 Music in Our Time) 

- Garden of Love (drums, percussion)

WITH SYMBIOSIS 

11.01.1971 (broadcast 30.01.1971; Maida Vale; BBC Top Gear) 

- Volume 4: Bebop (drums)
- Aura
(bass variations) (drums)
- Standfast
(drums)

WITH FRANCIS MONKMAN 

05.12.1972 (broadcast 19.12.1972; Langham 1; BBC Top Gear) 

- We Got an Arts Council Grant (percussion, vocals)
- Righteous Rhumba
(percussion, vocals)
- Little Child (vocals)
- God Song (percussion, vocals)
- Fol De Rol
(percussion, vocals)

WITH SLAPP HAPPY 

25.06.1974 (broadcast 19.07.1974; Langham 1; BBC Top Gear) 

- Europa (percussion)
- A Little Something
(percussion)
- War is Energy Enslaved
(percussion, vocals)

lunedì 17 ottobre 2011

Walter Wegmüller – Tarot (1973)


Questo disco è una sorta di Aleph della musica dei Settanta. La kosmische musik è solo la forma che riveste una delle più ardite operazioni di assimilazione e rielaborazione rock mai attuate sino ad allora (e che solo lo spirito onnicomprensivo tedesco poteva tentare); dal pop alla ballata all’avanguardia: ogni forma precedente, debitamente canonizzata, viene qui accolta e filtrata dalla sensibilità di una koiné artistica e culturale che, apparentemente legata alla contingenza (il fenomeno volgarmente chiamato krautrock), affonda invece nella sensibilità musicale dei popoli germanici.
Wegmüller, svizzero di origine, articola questo tour de force in ventidue pezzi (i ventidue arcani maggiori dei tarocchi*) e li accompagna coi propri recitativi stranianti sorretto da una formazione d’eccezione che, nell’iniziale Die Narr (Il matto, ovvero l’arcano dal numero zero) viene presentata con toni da vaudeville: Hartmut Enke, Manuel Gottsching e Rosi Muller dagli Ash Ra Tempel (chitarra; chitarra; cori), Jurgen Dollase, Jerry Berkers e Harold Grosskopf dai Wallenstein (tastiere; basso; batteria), il duo Walter Witthüser e Bernd Westrupp (chitarre, flauto; voce), Dieter Dierks dai Cosmic Jokers (cori) e Sua Eminenza Klaus Schulze alle tastiere. Le singole parti non prevaricano l’intera opera, anzi operano sia per forza d’accumulazione sia, vista la varietà dei toni, interagendo le une con le altre alla stregua di accorti accostamenti cromatici: solo riguardando a posteriori il disco, nella piena interezza e da una debita distanza, possiamo comprenderne la forza evocativa e la magnificenza.
Definire i vari episodi risulta, quindi, controproducente: vale solo come breve resoconto di un saliscendi musicale imperterrito. Der Magier risuona delle iniziali folate elettroniche di Faust IV poi si stabilizza sui colpi di coda dei sintetizzatori; Die Hohepriesterin, basata su semplici tappeti di tastiere e sulle cadenze ieratiche di Wegmüller (cui la lingua tedesca dona effetti arcani), sfuma nelle percussioni di Die Herrscherin, le cui risonanze etniche e i cui toni distesi ricordano i Popol Vuh. Con Der Herrscher si passa a toni pienamente rock mentre il successivo Der Hohepriester è una ballata per flauto e pianoforte che non stonerebbe come lato B dell’arcinota Angie (o il contrario); Der Gerechtigkeit materiato dal bordone delle tastiere e dalle percussioni rituali come nel capolavoro di Tony Conrad sfuma nella delicata ballata Der Weise (poi replicata in Der Zerstörung); Die Sterne-Der Mond-Die Sonne-Das Gericht formano un unico impalpabile episodio cosmico; non mancano il folk con accenni ispanici di Der Teufel, i magistrali crescendo space-rock alla Hawkwind (Der Wagen, Die Kraft, la finale Die Welt) e brani di raccordo come Die Entscheidug o Die Tod (basata su un semplice effetto sonoro), indispensabili per salvaguardare l’equilibrio del disco.
Non è casuale che tale opera si articoli secondo i ventidue arcani maggiori dei Tarocchi, quelli che simboleggiano la totalità e, se correttamente interpretati, la rendono intellegibile; allo stesso modo, secondo Wegmüller e i suoi apostoli, i diversi generi simboleggiano una musica universale a cui aspirare nello sforzo creativo. Prima ancora della considerazione estetica (comunque notevolissima), riconosciamo, pienamente, a Tarot questo anelito titanico.
 
* Sergius Golowin, anch’egli svizzero, e autore di un altro album storico con Klaus Schulze, fu folclorista e studioso dei tarocchi.

sabato 15 ottobre 2011

Lida Husik - Bozo (1991)/Your bag (1992)/The return of red Emma (1993)

Lida Husik, da Washington, appartiene, quasi inevitabilmente in Italia, a quella cerchia di artisti destinati alla clandestinità sonora (per l’impossibilità fisica di procurarsene gli album) e che, col tempo, vengono derubricati a flatus vocis, ovvero a figure di cui si parla o a cui si fa riferimento solo perché qualche benemerito, da lidi musicalmente propizî, ne ha parlato con reverenza nei decenni scorsi. Si verifica, quindi, quel curioso fenomeno, di cui parlava Gianfranco Contini, per cui storici valenti stilano ricchissime bibliografie su autori di cui non hanno letto nemmeno una riga. Gli album proposti (i primi tre, il vertice della sua creatività) cercano di colmare questo vuoto.
L
a Husik gravitava attorno a personaggi come Don Fleming (militò per breve tempo nei Velvet Monkeys) e Mark Kramer (duo che ritrovammo nei B.A.L.L.); grazie agli arrangiamenti minimali di quest’ultimo (anche alla chitarra) nell’esordio Bozo (capolavoro) essa presentò un pop psichedelico caratterizzato da liriche recitate laconicamente, rese ancor più straniate dall’uso dell’organo e da inserzioni vocali; la sua psichedelia apparentemente può richiamare quella di Azalia Snail, ma, ad esame più attento, se ne distingue per un pessimismo più marcato, per l’uso tradizionale di batteria e chitarra e per il tono che, alieno dalle gioiose sfasature di Snail, raggiunge la rarefazione psichedelica in virtù proprio di quella indefinibile languidezza vocale che permette atmosfere sospese come materia di sogno in Billboard, Mom, Hitchhiker e nella bellissima Diamond day nonché di formalizzare deliziosi quadretti come Halloween e Snow.
I
n Your bag i pezzi si allungano e vengono screziati dall’elettronica (nel brano eponimo e in The match from Mars), come si notava nel precedente Farmhouse. Notevole, inoltre, la varietà offerta: alle ballate Whirlybird e Ship going down ed ai toni danzerecci di Your bag (con inserzioni vocali e percussioni à la Laurie Anderson) si affiancano episodi più complessi: Toy surprise (le iniziali cadenze infantili presto si accendono in una linea chitarristica ripetitiva ed ipnotica), la bellissima Marcel (anche qui la ballata decade in un affascinante mantra materiato dal blocco sonoro della sei corde, da canti eterei, da tasselli vocali), The match from Mars (impasto di cadenze elettroniche e dance, registrazioni di rumori dal vero, recitativi …) donano spessore all’intera operazione.
I
n The return of red Emma, come lascia intuire il titolo, segna un ritorno alla forma canzone di Bozo. Husik reitera i suoi quadri declamati con toni quasi apatici, e vi ritrova la naturale semplicità degli inizi, appena venata dagli effetti di tastiere e fiati, grazie agli arrangiamenti davvero essenziali (sempre di Kramer). Suicide sedan, Earthquake blues (con ruttino finale), Pyramus and Thisbe, Match girl alcuni degli episodi più eclatanti.

La multi strumentista proseguirà la carriera alternando il registro di Your bag (nelle collaborazioni con Beaumont Hannant) a quello intimistico, a lei più congeniale: con maggior consapevolezza musicale e produzioni sempre di buon livello, ma forse definitivamente deprivate dell’aura delle prime tre prove.


venerdì 14 ottobre 2011

Trollmann av Ildtoppberg - Arcane runes adorn the ice-wrought monoliths of the ancient cavern of the stars (2003)/Tolling beyond the tombs of ancient grimnity (2003)

 

Duo inglese e nome norvegese (traduzione di Warlock of the Firetop Mountain, titolo del primo libro di una serie fantasy di Steve Jackson e Ian Livingstone), i Trollmann av Ildtoppberg consistono di David Terry (soprannome Thundarr, basso) e James Baker (Mordraaneth, organo, morto nel 2009), nativi di Newcastle upon Tyne, già Novocastro, ma in origine Pons Aelius (nome latino in terra inglese, quindi fonte gravida di rimembranze come insegna Machen).
Se l'ispirazione musicale rimanda a certo ambient di ambiente anglosassone e nordico, le fonti letterarie di Trollmann, desumibili dal lambiccato titolo, proprio di certe vaghezze della letteratura fantastica bassa, risiedono nelle saghe scandinave, in Tolkien, Robert E. Howard, Lovecraft. Da un tale materiale, apparentemente frusto e prevedibile, essi riescono, con mezzi poverissimi (basso più organo Roland, il tutto davvero low fidelity), ad organizzare larghe praterie monocrome in cui le esangui linee melodiche dei due strumenti, ripetute ossessivamente, pervengono ad un grado evocativo altrimenti impossibile con un’orchestrazione più complessa.

La title track, opera del bassista David Terry, introduce, nella sua pacatezza equorea, alle atmosfere dei successivi monoliti, Aeons of Darkness, Beyond the Void e, soprattutto, The Doom-Trolls of Grelch, di venticinque minuti. Si è da subito  trasportati a volo d’aquila sopra paesaggi di solitudine antartica e ghiacci perenni, immobilizzati da tempi immemori, in cui torreggiano reperti di civiltà ignote, irriducibili all’umanità.
L’antecedente letterario più prossimo a tali suggestioni è il romanzo breve di Lovecraft At the Mountains of Madness, a sua volta ispirato alle battute finali del Gordon Pym di Edgar Allan Poe (“Ma ecco sorgere sul nostro cammino una figura umana dal volto velato, di proporzioni assai più grandi che ogni altro abitatore della terra. E il colore della sua pelle era il bianco perfetto della neve”); ma tale causalità vale solo a livello conscio. Vista l’origine anglosassone dei Nostri saremmo portati ad azzardare una ipotesi più profonda: che in tale opera, come in quella di certi gruppi drone-doom dell'Europa fredda, agisca una predilezione pagana antica e inconscia per le vedute desolate ed ampie, per l’elegia virile, per il rigore delle stagioni e l’inclemenza di un destino ineluttabile.
Il successivo EP si compone di tre lunghe tracce (rispettivamente 15, 17 e 11 minuti). Le glaciali contemplazioni di Ancient runes sono lontane; Aether e Doom's children, fondate su pesanti strumming di basso, tastiere spettrali e cupi recitativi, potrebbero funzionare, ma quali colonne sonore di horror minori anni Settanta; solo il pezzo eponimo, con lo scampanio in sottofondo, riesce  a distinguersi appena dal tono dominante, già appiattito sulla maniera e i luoghi comuni del genere.

mercoledì 12 ottobre 2011

Soft Machine - BBC live sessions 1967-1969/1970 1^ parte/1970 2^ parte/1971 1^ parte/1971 2^ parte/1972-1974 1^ parte/1972-1974 2^ parte


Le avvertenze sono quelle date per il post sui Van der Graaf Generator.
Ringrazio, per alcuni dati, il sito http://www.hulloder.nl/

05.12.67 (17.12.1967; Aeolian Hall Studio 2; Top Gear; Ayers, Ratledge, Wyatt) 

- Clarence in Wonderland
- We Know What You Mea
- A Certain Kind

- Hope for Happiness

- Strangest Scene
 

10.06.1969 (broadcast 15.06.1969 o 21.06.1969; Maida Vale 4; Top Gear; H.Hopper, B.Hopper, Ratledge, WyattB.Hopper only on Facelift) 

- Facelift/Mouse trap/Noisette/Backwards/Mousetrap reprise
- Moon in June
 

10.11.1969 (broadcast 29.11.1969; Playhouse Theatre, Northumberland Avenue; Top Gear; H.Hopper,  Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Instant Pussy
- Mousetrap/Noisette/Backwards /Mousetrap Reprise
- Esther’s Nose Job
 


04.05.1970 (broadcast 16.05.1970; Playhouse Theatre, Northumberland Avenue; Top Gear; H.Hopper,  Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Slightly All The Time
- Out Bloody Rageous
- Eamonn Andrews
 

21.05.1970 (broadcast 31.05.1970; Paris Theatre; BBC in Concert; H.Hopper, Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Facelift-Esther's Nose Job 

13.08.1970 (Royal Albert Hall; BBC Proms; H.Hopper, Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Out Bloody Rageous
- Facelift
- Esther's Nose Job
 

27.08.1970 

- Eamonn Andrews 

17.09.1970 (broadcast 25.09.1970 except Esther's Nose Job 30.10.1970; Camden Theatre; BBC Sounds Of The 70's; H.Hopper, Ratledge, Dean, Wyatt) 

- Out Bloody Rageous-Slightly All The Time-Mousetrap- Esther's Nose Job 

15.12.1970 (broadcast 02.01.1971; Maida Vale 4; Top Gear; H.Hopper, Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Virtually
- Fletcher's Blemish
 

11.03.1971 (broadcast 21.03.1971; Paris Cinema, Lower Regent Street; H.Hopper, Ratledge, Wyatt, Dean) 

- John Peel introduction
- Blind Badger
- Neo Caliban Grides
- Out Bloody Rageous-Eamonn Andrews-All White-Kings and Queens-Teeth-Pigling Band-10-30 Returns to the Bedrooms
- Slightly All the Time/Noisette
 


01.06.1971 (broadcast 26.06.1971; Maida Vale 4; Top Gear; H.Hopper, Ratledge, Wyatt, Dean) 

- Neo-Caliban Grides
- Dedicated to You but You Weren't Listening
- Eamonn Andrews/All White
 

15.11.1971 (broadcast 24.11.1971; Playhouse Theatre, Northumberland Avenue; John Peel; H.Hopper,  Ratledge, Howard, Dean) 

- As If
- Drop
- Welcome to Frillsville
 

16.11.1971 (broadcast 20.12.1971 except Neo Caliban Grides, All White, Slight All the Time 10.01.1972; Sounds of the Seventies; H.Hopper, Ratledge, Howard, Dean) 

- From a Work in Progress
- As If/Pigling Bland
- Neo-Caliban Grides
- All White
- Slightly All the Time


11.07.1972 (broadcast 18.07.1972; Maida Vale 4; H.Hopper, Ratledge, Marshall, Jenkins) 

- Stumble/Lbo/As If
- Fanfare/All White/M.C./Drop
 

20.07.1972 (broadcast 02.09.1972; BBC in Concert; H.Hopper, Ratledge, Marshall, Jenkins) 

- Fanfare
- All White
- Slightly All the Time
- M.C.
- Drop
- Stumble
- L.B.O.
- As If
- Riff
 

17.10.1972 (Sounds of the Seventies; H.Hopper, Ratledge, Marshall, Jenkins) 

- The Soft Weed Factor
- Fanfare/All White/Between/Riff
- Ceseureht/EPV/Stumble
 

29.12.1972 (BBC TV Full House; H.Hopper, Ratledge, Marshall, Jenkins) 

- Unknown song 

30.10.1973 (broadcast 20.11.1973; Langham 1; John Peel; Ratledge, Marshall, Jenkins, Babbington) 

- Signpost
- Stanley Stamp's Gibbon Album
- Hazard Profile

- Down The Road
 

10.06.1974 (broadcast 26.08.1074; BBC 3 Jazz in Britain; Ratledge, Marshall, Jenkins, Babbington, Holdsworth) 

- North Point
- The Man Who Waved at Trains
- Hazard Profile

 

lunedì 10 ottobre 2011

Tragic Mulatto - The suspect-No juice (1983)/Judo for the blind (1984)/Locos por el sexo (1987)/Hot man pussy (1989)/Chartreuse Toulouse (1990)


I Tragic Mulatto*, da San Francisco, vantano, a tutt’oggi, la discografia più compattamente eccentrica del rock d’avanguardia mondiale (quattro opere tutte di alto livello).
La loro prima testimonianza musicale (preceduta da un 7’’ rivelatore), l’incredibile EP Judo for the blind, è già un evento: sedici minuti di allucinato cabaret per sezione ritmica e fiati che anche il Cristo della copertina, assiso sulla coppa del cesso, pare subire con assorta rassegnazione (mentre una [santa?] figura femminile irrora la propria vulva in una vasca); otto composizioni di circa due minuti l’una, in cui un ossessivo tam tam e i singulti del basso sostengono il sassofono e la tromba che se ne vanno a spasso sbarazzini mentre Shanksley declama le più empie provocazioni. Tac squad (“I believe in God, family and McDonalds”), le gemelle Not my barn dance e Not in my movie (orge con fiati impazziti, strilli di maiale e abbaiamenti in cui si richiama lo Zappa più discorsivo e goliarda) e la scorrevole Stop my hand si imprimono subito nella memoria anche se il disco vola via in un baleno. Il Siciliano di California e Beefheart sono paragoni inevitabili, ma i Nostri fanno storia a parte.
Tale stuzzicante anteprima prepara il pasto appena più sostanzioso di Locos por el sexo, ancora otto brani per poco più di mezzora. I Mulatto, ridotti a quattro elementi, abbandonano il free-jazz dell’esordio, le cadenze si fanno più pesanti (compare la chitarra) e si aggiunge la voce di ‘Flatula’ Lee Roth (probabilmente già al sassofono nel precedente disco), urlatrice coprolalica di prim’ordine. Si comincia con Freddy, sbracato rock-blues in cui la cantilena dissacrante di Roth sul galateo spermatico viene contrappuntata dai latrati di Shanksley che innervano anche l’eccezionale Sexy money: qui la voce del Reverendo, il consueto bulldozer ritmico e una chitarra sporchissima formano il blocco sonoro che, davvero inopinatamente, viene interrotto dagli assoli di tuba di Flatula. Quest’ultima, peraltro, diviene progressivamente padrona del disco grazie alle interpretazioni sfrenate, che oscillano fra sguaiataggine e isterismo, ed alle geniali inserzioni di sassofono in Potato wine, Underwear maintenance e nel capolavoro Twerpenstein.
I
l successivo Hot man pussy (in copertina si sbeffeggia l’Adamo di Lucas Cranach!) perde molto della sua ribalderia circense limitando le scorrerie dei fiati allo straniamento di pezzi quasi canonici (Fist of the fleet, Hardcore bigot scum get stubbed con assolo di tuba di Flatula, ribattezzatasi Fistula, The hat, Mr. Cheese), ma, in compenso, propina i consueti atti terroristici stavolta guidati dalle distorsioni della chitarra: da She’s a ho (con iniziale omaggio ai Bee Gees seppelliti dallo scarico dello sciacquone) a I say, dall’eccezionale My name is not O’Neill con uno Shanksley davvero beefheartiano sino ad una Whole lotta love degna del Vecchio Dirigibile.
C
hartreuse Toulouse
mantiene le caratteristiche del precedente disco sciorinando altre dieci composizioni distorte, confezionate da un gruppo ormai maturo e saldamente guidato dalla tuba e dalla voce sopra le righe di Flatula (nuovo cambio di nome): Stinking corpse Lily, Rhythm of Barcelona, Bathroom at Amelia’s, Scabs on Lori’s arm, Rise up get down sono i nuovi inni degli scalmanati californiani.
E
sibizionisti, viscerali, scatofili, i Tragic Mulatto vantano come degni compari i coevi, e ben più considerati, Butthole Surfers; le prime due opere, davvero notevolissime, stemperarono poi in un hardcore più professionale, ma indenne da qualsiasi compromesso. Sconosciuti ai più, introvabili per lungo tempo anche in Rete, possono essere ormai annoverati tra i maggiori degli anni Ottanta.


* Il “mulatto tragico” è una figura topica della letteratura americana, introdotta da una novella di Lydia Maria Child, The Quadroons (1842): la disperazione dell’uomo nato da genitori bianchi e neri rifiutato da entrambe le razze o inadatto alla vita entro una sola d’esse.
** Difficile definire le formazioni, mutevoli, nei sei anni di vita di un gruppo che, oltretutto, si diverte a stilare in modo volutamente erroneo le track-list: il quintetto di Judo for the blind vede Fluffy (basso), Blossom (batteria), Flossy (voce), Sweetums (tromba) e A Piece of Eczema (sassofono), nomignoli sotto cui si nascondono almeno due dei successivi componenti; il quartetto di Locos por el sexo vanta Flatula Lee Roth (voce, tuba, sassofono); Jazzbo Smith (batteria); Richard Skidmark (chitarra); Reverend Elvister Allistair Shankley (voce, basso); il settetto di Hot man pussy vede le new entries Bambi Nonymous (batteria), Humpty Doody (batteria), Jack-Buh (chitarra); il finale Chartreuse Toulouse consiste in un quintetto, forse il nocciolo duro di Locos più il chitarrista Jehu.

sabato 8 ottobre 2011

Jacula - In cauda semper stat venenum (1969) Tardo pede in magiam versus (1972)/Antonius Rex - Neque semper arcum tendit rex (1974)



Progetti del chitarrista marchigiano Antonio Bartoccetti, Jacula e Antonius Rex sono una delle più clandestine e bizzarre infiorescenze del rock italiano.
L'estrema marginalità della produzione, le vendite inesistenti, il rifiuto di esibirsi dal vivo, i recitativi da liturgia nera, il latinorum, hanno creato un culto prima ancora che l’opera fosse concretamente conosciuta dal pubblico e vagliata dalla critica; questo corpo già indistinto venne poi avvinto da catene di edere velenose ovvero da un’aneddotica varia e tenace che, se ha contribuito a rinfocolare la fama maledetta dei Nostri, d’altra parte ha reso opaca, almeno ad una filologia più superficiale, l’analisi della loro prima produzione, la più famigerata**. A questo si aggiunga che il suono originale degli album, almeno quello di In cauda e Neque, fu surrettiziamente rimaneggiato a metà degli anni Ottanta quando fu editato in CD e poi, conseguentemente, riversato nelle nuove edizioni viniliche; tali aggiornamenti importano, ad ogni modo, solo per la valutazione storica del gruppo, comunque originale, più che per quella strettamente estetica.
In cauda semper stat venenum ricrea, attraverso la recitazione ossessiva di liriche oblique sopra estesi tappeti d’organo da chiesa, certa ingenua atmosfera degli Hammer movies inglesi o dei gotici italiani allora in voga (il migliore d’essi, La maschera del diavolo di Bava, è del 1968); la materia, ammesso che fosse partorita nel 1969, è davvero monotona e povera; più indovinati, invece, sia gli aggressivi inserti chitarristici di Bartoccetti che lo scandire delle percussioni (entrambi probabilmente aggiunti o rielaborati in pieni anni Ottanta), specialmente in Triumphatus sad e Veneficium. Da tale costruzione non si distacca il successivo Tardo pede in magiam versus, che, infatti, ha la sua punta di diamante proprio nell’episodio meno caratterizzante, U.F.D.E.M., sorta di denuncia ecologista ed antiplutocratica declamata in toni beat dalla Norton in versione Patty Pravo. Jacula valzer, tema che pare estirpato da una delle tante commedie italiane del periodo (soprattuto a tema soft-horror), fa sorgere il sospetto che sia il cinema e non l’esoterismo la maggior fonte d’ispirazione di Bartoccetti.
Con Neque semper arcum tendit rex si assiste ad un certo salto di qualità del gruppo: Antonius Rex fatica a liberarsi dalle ragnatele spray e dalle rovine di polistirolo degli album precedenti (come nel cascame Devil letter), ma, nei restanti episodi, le percussioni di Goodman, le tastiere di Doris Norton (anche al piano) e il tetragono incedere metal della chitarra rendono profondità alle cruente invettive antimoderniste di Bartoccetti contro l’asservimento al denaro, la violenza verso la natura, l’appiattimento indotto dalla televisione, il disseccamento spirituale; i testi, pur oscuri e stilisticamente farraginosi, rimangono un tratto distintivo essenziale per una delle prime produzioni progressive-dark italiane finalmente dignitose e curate.
Caso tipico di alcuni gruppi minori dei Settanta, in cui l’avventurosità della carriera discografica e la scarsa conoscenza del materiale registrato alimentano fin troppe sopravvalutazioni, gli Jacula/Antonius Rex possono, tuttavia, ostentare una coerenza musicale e tematica pluridecennale, tanto più ammirevole quanto più difficile da sostenere, almeno in Italia.

* Jacula (Antonio Bartoccetti, voce, chitarra; Doris Norton alias Fiamma dello Spirito, voce, violino, flauto; Charles Tiring, tastiere); Antonius Rex (Antonio Bartoccetti, voce, chitarra; Doris Norton, voce, tastiere; Albert Goodman, batteria)
** Aneddotica: registrazione del primo album in una chiesa sconsacrata; il ricorso al medium Franz Parthenzy di cui si rielaboravano i messaggi ultraterreni; l’occultista Asmodeo; l’esuberanza venerea di Tiring à la Aleister Crowley; il logo ‘Jacula’ identico a quello del fumetto horror-softcore omonimo (il 1969, anno di In cauda sempre stat venenum fu anche quello di pubblicazione di tale strip che, pare, regalasse punti buoni per l’acquisto del disco); la donazione di parte delle copie invendute a sette religiose, la morte prematura di Goodman …